L’isola dei bambini mai arrivati
Ciò significa, sempre per il rapporto citato, che in questi ultimi dieci anni ogni giorno un bambino è scomparso nel mare. Mancava perfino la mano di uno dei genitori a dare l’ultimo aiuto. Sette bambini su dieci che hanno effettuato la traversata viaggiavano soli. Quanti sono giunti sull’altra riva e interrogati hanno confessato che, durante il viaggio, molti di loro hanno sofferto violenze fisiche e altri sono stati arbitrariamente detenuti. Sono fuggiti da guerre, conflitti, violenze, miseria e soprattutto l’abbandono di una parte d’ Africa che ha tradito e venduto il loro futuro ai commercianti di vite umane. I bambini fanno parte delle oltre 20 mila persone morte o disperse nel corso egli ultimi dieci anni nello stesso Mare.
L’isola dei bambini si è creata da sè, come per caso, un giorno feriale di un anno che nessuno ricorda. Il numero dei piccoli migranti mai arrivati aumentava al quotidiano e si rese necessario, col tempo, organizzare la vita della colonia e far sentire i nuovi arrivati come a casa loro. All’inizio non è stato facile perché i bambini cercavano di imitare quello che ricordavano della società dei grandi. Armi, guerre, muri come frontiere e parole armate generatrici di violenza e divisione. Si organizzò dunque una prima assemblea consultativa aperta a tutti i residenti senza distinzione. Si decise all’unanimità che l’isola sarebbe stata guidata senza più tener conto del sistema creato dai grandi.
Inventarono strade, cortili, piazze, giochi e feste. Alcuni dei più grandi che già avevano imparato un mestiere si industriarono a trasmettere ad altri il loro sapere. Le bambine più grandi organizzavano la cucina, la cura dei più piccoli e rallegravano la vita dell’isola con canti e danze improvvisate. L’isola dei bambini mai arrivati era anch’essa migrante e, in realtà, non andava da nessuna parte. Si muoveva, invisibile o visibile secondo le stagioni e, come esse, mutevole nei colori e nella forma. Quando, da lontano, spuntava un’imbarcazione i bambini migranti innalzavano una bandiera inesistente e accendevano fuochi sperando che il fumo avrebbe segnalato la loro presenza.
L’isola è ben là fino a tutt’oggi e continua a ricevere nuovi ospiti ai quali viene chiesto il nome, l’età e il Paese di origine. Nel caso di neonati i nomi sono scelti a seconda dei giorni di sole, di pioggia e di vento. Non c’è una rotta prestabilita perché l’isola inventa ogni giorno nuovi orizzonti e c’è chi giura d’averla vista passare ma c’era nebbia quel giorno. Alcuni dei primi residenti immaginano che un giorno l’isola dei bambini si trasformerà in un continente che avrà dimenticato per sempre l’arte della guerra.
(Ho trovato un'opera che rappresenta in modo orribile ma chiaro, eseguita nel 2019, Lo zerbino col bambino migrante gettato nel mare: chi lo salverà?
«Welcome (?)», l’opera d’arte contemporanea di Federico Clapis, è rimasta in balìa delle onde al largo di Catania per tre giorni. Recuperata il 12 agosto, sarà messa all’asta in settembre per sostenere la ong Mediterranea-Saving Humans. La si potrebbe definire un’opera molto «site specific». È uno zerbino con la scritta «Welcome» e un bambolotto che raffigura un bambino migrante aggrappato strenuamente che per giorni è stato lasciato in mare abbandonato al suo destino. L’opera d’arte è stata concepita dall’artista contemporaneo Federico Clapis La scritta è ovviamente provocatoria: quanto sono «benvenuti» i migranti oggi in Italia?) (Danila)
Mauro Armanino, Niamey, 25 aprile 2025
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