POETANDO

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domenica, aprile 13

MODELLO DEL LAICO CRISTIANO – SAN GIUSEPPE 6 – CAMMINO DI FEDE DI GIUSEPPE - 6° Conferenza di Padre Claudio Truzzi OCD

 

Raffaello Sanzio : Sposalizio della Vergine con San Giuseppe

MODELLO DEL LAICO CRISTIANO – SAN GIUSEPPE

6 – CAMMINO DI FEDE DI GIUSEPPE

GIUSEPPE «CARPENTIERE» – Il lavoro, espressione dell’amore

Giuseppe – il quale sin dall'inizio accettò mediante «l'obbedienza della fede» la sua paternità umana nei riguardi di Gesù – seguendo la luce dello Spirito Santo, che per mezzo della fede si dona all'uomo, certamente scopriva più ampiamente il dono ineffabile di questa sua paternità». (Giov. Paolo II, Redemptoris Custos, III, 15-8-89)

Espressione quotidiana di quest’amore di Giuseppe nella vita della Famiglia di Nazareth è il lavoro. 

Il testo evangelico precisa il tipo di lavoro, mediante il quale Giuseppe cercava di assicurare il mantenimento alla Famiglia: quello di carpentiere. Questa semplice parola copre l'intero arco della vita di Giuseppe. 

Per Gesù sono questi gli anni della vita nascosta, di cui parla l'Evangelista dopo l'episodio avvenuto al tempio: «Partì dunque con loro e tornò a Nazareth e stava loro sottomesso» (Lc 2,51). 

Tale «sottomissione», cioè l'obbedienza di Gesù nella casa di Nazareth, è intesa anche come partecipazione al lavoro di Giuseppe. Colui che era conosciuto come il «figlio del carpentiere», aveva imparato il lavoro dal suo «padre» putativo. 

Se la Famiglia di Nazareth, nell'ordine della salvezza e della santità, è l'esempio e il modello per le fami-glie umane, lo è pure anche il lavoro di Gesù a fianco di Giuseppe carpentiere. Nella nostra epoca la Chiesa ha posto in rilievo tale aspetto pure con la memoria liturgica di san Giuseppe artigiano, fissata al 1° maggio. 

Il lavoro umano e, in particolare, il lavoro manuale, trovano nel Vangelo un accento speciale. 

Insieme all'umanità del Figlio di Dio, esso è stato accolto nel mistero dell'Incarnazione, come pure è stato in particolar modo redento. Grazie al banco di lavoro presso il quale esercitava il suo mestiere con Gesù, Giuseppe avvicinò il lavoro umano al mistero della Redenzione. Nella crescita umana di Gesù «in sapienza, in età e in grazia» ebbe una parte notevole la virtù della laboriosità, essendo «il lavoro un bene dell'uomo» che «trasforma la natura» e rende l'uomo «in un certo senso, più uomo» (Laborem Exersens, 9).

L'importanza del lavoro nella vita richiede che se ne conoscano ed assimilino i contenuti «per aiutare tutti gli uomini ad avvicinarsi per il suo tramite a Dio, creatore e redentore, a partecipare ai suoi piani salvifici nei riguardi dell'uomo e del mondo e per approfondire nella loro vita l'amicizia con Cristo, assumendo mediante la fede viva una partecipazione alla sua triplice missione: di sacerdote, di profeta e di re» (Laborem Exercens, 24)

Si tratta, in definitiva, della santificazione della vita quotidiana, che ciascuno deve acquisire secondo il proprio stato e che può esser promossa secondo un modello accessibile a tutti. 

LAVORO E ASCESI

«Bisogna arrivare a convincere ognuno che il proprio tavolo di lavoro – sia esso una cattedra, sia un tavolo di ufficio, sia una sedia davanti ad una macchina – è sempre come un altare, nel quale l’uomo può offrire ogni giorno il più e il meglio di sé al Signore, in spirito d’amore... 

Il lavoro professionale condotto per tutta la vita, con queste disposizioni, diventa uno strumento preziosissimo di ascetica, ossia di perfezione cristiana. 

Esso, infatti, ha un valore soprannaturale insopprimibile, l’aumento cioè di grazia santificante che c’è sempre in ogni opera buona fatta in stato di grazia e con retta intenzione. 

C’è poi in esso l’occasione di esercitare tutto un complesso di virtù, in particolare la pazienza, la generosità, la carità, l’umiltà, la mortificazione, lo spirito di sacrificio. 

Ma oltre che mezzo di santificazione, il lavoro – condotto con queste disposizioni – diventa anche un mezzo potentissimo di apostolato... 

Pensate ad una maestra e ai suoi scolari: e, dietro agli scolari, i loro genitori, i loro parenti. 

Pensate ad un’impiegata: quali e quanti rapporti di collaborazione nell'ufficio, nell’azienda: con i padroni, dirigenti, colleghi di lavoro, spesso con tutto un pubblico che accede all’ufficio, all’azienda... 

Ho presente alla mente, in questo momento, una missionaria, maestra elementare in un paesino di montagna. Ella ha trasformato quel paese. Anche i comunisti l’ammirano. Fra i suoi scolaretti sono usciti già cinque o sei seminaristi o religiosi. Pensate cosa sarebbe l’Italia se avessimo qualche migliaio di maestre di questo taglio». (Card. Antonelli, da «Seme», 1994)

«San Giuseppe è il modello degli umili che il cristianesimo solleva a grandi destini; 

san Giuseppe è la prova che per essere buoni ed autentici seguaci di Cristo non occorrono "grandi cose", ma si richiedono soltanto virtù comuni, umane, semplici, ma vere ed autentiche».   (Paolo VI).

«RISPOSTA OPEROSA ALLA CHIAMATA DI DIO» 

– Nel corso della sua vita, che fu una peregrinazione nella fede, Giuseppe, come Maria, rimase fedele sino alla fine alla chiamata di Dio. La vita di Maria fu il compimento sino in fondo di quel primo «fiat» pronunciato al momento dell'Annunciazione, mentre Giuseppe al momento della sua “annunciazione” non proferì nessuna parola: semplicemente egli «fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore» (Mt 1,24). 

E questo primo “fece” divenne l'inizio della “via di Giuseppe”. Lungo questa via i Vangeli non annotano parola alcuna pronunciata da lui. Ma il silenzio di Giuseppe ha una speciale eloquenza: grazie ad esso si può leggere pienamente la verità contenuta nel giudizio che di lui dà il Vangelo: il «giusto» (Mt 1,19).

Anche sul lavoro di carpentiere nella casa di Nazareth si stende lo stesso clima di silenzio, che accompagna tutto quanto si riferisce alla figura di Giuseppe. 

Si tratta di un silenzio, però, che svela in modo speciale il profilo interiore di quest’uomo. 

I Vangeli, è vero, parlano esclusivamente di ciò che Giuseppe «fece»; consentono, tuttavia, di scoprire nelle sue “azioni”, avvolte dal silenzio, un clima di profonda contemplazione. Giuseppe era in quotidiano contatto col mistero «nascosto da secoli», che «prese dimora» sotto il tetto di casa sua. Questo spiega, ad esempio, perché santa Teresa di Gesù – la grande riformatrice del Carmelo contemplativo – si fece promotrice del rinnovamento del culto di san Giuseppe nella cristianità occidentale.

Il sacrificio totale che Giuseppe fece di tutta la sua esistenza alle esigenze della venuta del Messia nella propria casa, trova la ragione adeguata nella «sua insondabile vita interiore, dalla quale vengono a lui ordini e conforti singolarissimi, e derivano a lui la logica e la forza, propria delle anime semplici e limpide, delle grandi decisioni, come quella di mettere subito a disposizione dei disegni divini la sua libertà, la sua legittima vocazione umana, la sua felicità coniugale, accettando della famiglia la condizione, la responsabilità ed il peso, e rinunciando per un incomparabile virgineo amore al naturale amore coniugale che la costituisce e  la alimenta». (“Insegnamenti di Paolo VI”).

Scrive Papa Wojtyla, nell’ Enciclica su san Giuseppe: “Redemptoris Custos”V :

«La comunione di vita tra Giuseppe e Gesù ci porta a considerare il mistero dell'Incarnazione proprio sotto l'aspetto dell'umanità di Cristo, strumento efficace della divinità in ordine alla santificazione degli uomini. [...]. La testimonianza apostolica non ha trascurato la narrazione della nascita di Gesù, della circoncisione e presentazione al tempio, della fuga in Egitto e della vita nascosta a Nazareth, causa del «mistero» di grazia contenuto in tali «gesti», tutti salvifici, perché partecipi della stessa sorgente di amore: la divinità di Cristo. 

Se quest’amore attraverso la sua umanità s’irradiava su tutti gli uomini, ne erano certamente beneficiari, in primo luogo, coloro che la volontà divina aveva collocato nella sua più stretta intimità: Maria sua madre e il padre putativo Giuseppe.

Poiché l'amore “paterno” di Giuseppe non poteva non influire sull'amore “filiale” di Gesù e, viceversa, l'amore “filiale” di Gesù non poteva non influire sull'amore “paterno” di Giuseppe, come inoltrarsi nelle profondità di tale singolarissima relazione? Le anime più sensibili agli impulsi dell'amore divino vedono a ragione in Giuseppe un luminoso esempio di vita interiore.

Inoltre, l'apparente tensione tra la vita attiva e quella contemplativa trova in lui un ideale supera-mento, possibile a chi possiede la perfezione della carità. Seguendo la nota distinzione tra l'amore della verità e l'esigenza dell'amore, possiamo affermare che Giuseppe ha sperimentato sia l'amore della verità – cioè, il puro amore di contemplazione della verità divina che irradiava dall'umanità di Cristo –, sia l'esigenza dell'amore: l'amore altrettanto puro del servizio richiesto dalla tutela e dallo sviluppo di tale stessa umanità». (Ibidem)

Nessun uomo è al di fuori del disegno di Dio: siamo tutti dei “chiamati da Dio”. Dobbiamo esser persuasi di questa fondamentale verità per poter interpretare la nostra vita. Ed “essere chiamati” da Dio significa, proprio, essere collocati da Lui nel disegno di salvezza per esserne ad un tempo beneficiari e collaboratori. 

Non siamo, infatti, soltanto dei “salvati”, ma siamo anche dei “chiamati” ad essere a nostra volta salvatori.

Gli uomini s’interrogano spesso sul senso della vita, ed è bene, perché nessuna domanda è più essenziale e fondamentale. Non bisogna, tuttavia, dimenticare che l'uomo resta realtà indecifrabile, quando lo separiamo da Dio e lo pensiamo fuori del suo piano di salvezza.

•  Giuseppe è un esempio di come la creatura debba rispondere al piano di Dio nei suoi confronti. Dall’iniziativa di Dio egli si trova inserito nel mistero dell'Incarnazione del Figlio: è lo sposo di Maria, sarà il padre putativo di Gesù e porterà avanti l'Incarnazione come avvenimento storico, come fatto umano e societario. Sarà lui a presiedere alla famiglia di Nazareth, a sostenerla con il suo lavoro, a difenderla e a proteggerla, senza atteggiarsi a protagonista, ma lasciando a Dio di esserlo.

••• Noi a volte, pecchiamo d’intemperanza e ci facciamo quasi concorrenti di Dio, dimenticando che la dignità dell'uomo consiste proprio nell'essere creatura di Dio, chiamata al suo servizio.

Giuseppe ciò lo capì bene, non attraverso tanti filosofici ragionamenti, ma perché comprese la cosa essenziale: che a Dio si dice sempre di “sì”: e si manifesta il  “sì” in umiltà e si dice “sì” in obbedienza.

In tal modo egli si realizzò pure come uomo, e noi lo vediamo oggi ai vertici della storia umana della salvezza, con il suo “sì” pieno di fede e d’abbandono.

A questo Santo tributiamo onore e gloria, ma dobbiamo farlo “cristianamente”. I santi, cioè, sono onorati non tanto dalle nostre parole e dalle nostre devozioni, quanto dalla nostra configurazione spirituale. 

Da Giuseppe si deve imparare, soprattutto, a convertirsi, vale a dire a diventare sempre più dei “poveri di Dio”, creature semplici, piccoli figli del Padre, con una certezza in cuore che si chiama fede, con la libertà dell'anima che è la speranza filiale – quella fede e quella speranza che furono la sostanza più profonda dell'a-more e del servizio del giusto Giuseppe.

-––– Approfondiamo tale aspetto fondamentale del nostro “essere cristiani”

"VIVERE DI FEDE" 

Soffermiamoci, innanzitutto, ancora una volta, sulla docilità di Giuseppe di fronte agli interventi misteriosi di Dio. Gli furono manifestate e richieste cose “paradossali” («Giuseppe, prendi Maria come sposa...»), o difficili impegnative: «Giuseppe, destatosi dal sonno, fece come gli aveva ordinato l'angelo» (Mt 1, 24).

L'insegnamento vale anche per noi: nella nostra esistenza dobbiamo vivere di fede. 

Ma qual è il grande ostacolo a credere? È la superbia del nostro spirito, che si manifesta sia a livello delle nostre idee sia a livello dei nostri capricci. Avremmo ormai dovuto imparare – specie oggi che ascoltiamo tanta Parola di Dio – che Dio è buono, che è Padre, ma che non rinuncia ad essere il Signore. "Io sono il Signore": l'ha detto e lo ripete ancora, anche a noi. Per credere, bisogna lasciarci condurre, chinare il capo: non si può discutere con Dio. Bisogna esser docili, umili ed accettare che il Signore sia più grande di noi, ci trascenda, sia di là delle nostre viste, al di sopra della nostra volontà e dei nostri desideri.

Giuseppe è un mirabile esempio per la nostra fede: la sua vita è stata veramente travolta dalle iniziative di Dio, iniziative misteriose, iniziative di là della possibilità di capire. Giuseppe si è lasciato condurre perché era giusto, e “giusto” è l'uomo che vive di fede. 

Dove lo porta il Signore? Non lo sa: Dio non gli spiega nulla e lui obbedisce ugualmente. Lui ha sempre detto di “sì” con la vita, non con le parole. Non ha mai avuto questioni da sollevare, dubbi da proporre. 

La sua risposta al dono di Dio è la sua stessa esistenza, sono le sue opere, il suo consenso. 

E la sua obbedienza immediata è il modo concreto di credere.

Tale atteggiamento di fede semplice, silenziosa ed obbediente non soltanto rese Giuseppe cooperatore preziosissimo nel mistero dell'Incarnazione, ma gli donò anche la serenità e la pace de cuore. Giuseppe è un pacifico  e un “pacificatore”; avvolge la vita di tutti con una presenza rasserenante e consolatrice. 

Mentre lo contempliamo, così invitante per la nostra pietà, impariamo da lui, affinché la nostra fede diventi semplice e obbediente come la sua, così da poter divenire noi pure delle creature serene e pacifiche, balsamo di consolazione nella vita degli altri.

  UN SILENZIO UMILE DI FRONTE 

ALLA MISTERIOSA VOLONTÀ DI DIO

  Giuseppe “patì” la signoria di Dio sino in fondo, e dobbiamo riconoscere che Dio nella vita di lui agì da Signore, e in una maniera tremenda. 

Lo chiamò ad essere depositario dei suoi misteri senza chiedergli il permesso; non gli chiese neppure se fosse disposto o no: fece tutto Dio. Un angelo disse a Giuseppe: «Quel che è generato in Maria viene dallo Spirito Santo»  (Mt 1,20), e lui non pronunciò sillaba. 

Questo suo accettare la Signoria di Dio si rivela tanto più drammatico quanto più ne approfondiamo il dramma interiore: un dramma nella luce di una giustizia, che lascia però subito posto ai diritti di Dio. 

San Giuseppe è giusto e non tradirebbe la Legge per nulla al mondo, però non contesta a Dio ogni Sua libertà sulla legge.

Il commento a tale signoria di Dio nella propria vita è il silenzio e l'umiltà. 

Ciò è tanto più da ammirare se pensiamo che per Giuseppe questo “lasciar fare” al Signore non era confortato da fatti visibili. Maria fece in tempo a vedere qualcosa; fu testimone almeno dei miracoli di Gesù come premio alla sua fede e al suo abbandono. Giuseppe, invece, no. 

Anche sul piano esistenziale, Dio chiese a Giuseppe di “stare da parte”, di non ingombrare la strada. Dio entra nella vita di Gesù e della Madre sua quando e come vuole Lui, ed egli scompare quando e come lo vuole Lui .

Il silenzio è il linguaggio degli umili, che tacciono sempre. 

Giuseppe è così. Per questo è il modello delle anime interiori. 

Lui è esemplare per simile suprema libertà “concessa” al Signore nella propria vita, per questo essere totalmente disponibile nelle mani di Dio. Ha veramente sperimentato che cosa significhi” cadere vivi nelle mani di Dio vivo”, e per tale misteriosa esperienza, io credo che Giuseppe abbia ricevuto dal Signore la grazia d’aiutare le anime che devono vivere di Dio e per Dio. Perciò raccomandiamoci a lui affinché 

ci insegni a fare della nostra vita spirituale 

un luogo di fede, d’umiltà e di silenzio.

Non è scritto – neppure in un vangelo apocrifo! – quanti confessori e direttori spirituali avesse san Giuseppe per trarsi fuori dei suoi casi difficili... Era nelle mani di Dio e consumò nell'umiltà del suo silenzio: drammi, angosce, notti e purificazioni, di cui non riusciamo che intravederne la profondità.

Noi non lo vediamo neppure oggi in una luce di trasparenza, presente al centro di tutto il mistero delle opere di Dio, così vicino alle cose più belle della salvezza del mondo e della gloria del Signore. Ma proprio questo è il suo posto peculiare, e gli dobbiamo voler bene: non merita quindi un po' di tenerezza da parte nostra, visto che, da parte di Dio, ne ha avuta così poca!)

–– UNA SILENZIOSA OPEROSITÀ

Sia molto utile, credo, soprattutto soffermare la nostra attenzione sul silenzio di san Giuseppe.

Il Vangelo raccoglie di Maria poche parole, ma di Giuseppe nessuna. I suoi colloqui con gli angeli non hanno altra risposta che le opere. Gli angeli parlano, lui tace e... si da da fare: opera! 

Nella vicenda così penosa ed angustiante dello smarrimento di Gesù, la Madonna è tutta una foga di sentimenti e li manifesta. San Giuseppe tace. Un silenzio, il suo, che è il commento più perfetto alla sua fede, alla sua docilità, alla dedizione.

Forse, talvolta, ci possiamo un po' rammaricare di non conoscere neppure una parola di quelle pronunziate da ‘sto santo Patriarca nei confronti di Gesù e di Maria. Ne possiamo immaginare tante, ma non ne cono-sciamo nessuna! Tutto ciò non è privo di significato, perché ci pone di fronte ad un insegnamento molto prezioso per la nostra vita spirituale: vale a dire che il miglior commento a tutto ciò che il Signore fa e dice, a tutto ciò che il Signore vuole, è l'operoso silenzio.

San Giuseppe è una creatura aperta alla voce di Dio, uno che ascolta. 

È troppo occupato nell'ascoltare il Signore; ha paura d’interromperlo, di prevenirlo e, così... tace per sempre! 

E com’è fecondo tale silenzio! Esso permette che tra la parola di Dio e l'obbedienza di Giuseppe non ci sia soluzione di continuità. Dio parla e san Giuseppe agisce.

«Non temere...», e lui non teme; tutti i drammi sono finiti. «Alzati…!», e lui si alza; eccolo già per strada.

••• Abbiamo mai pensato che nella nostra vita il silenzio è una delle condizioni della nostra fedeltà, 

una delle dimensioni della nostra corrispondenza e della nostra prontezza ai cenni di Dio?

Non si tratta semplicemente di mortificare la lingua. Si tratta d’assumere un atteggiamento d’estremo abbandono, per essere veramente agibili nelle mani di Dio, affinché il Signore trovi sempre la nostra risposta così immediata tra il suo cenno ed il compiersi dei suoi disegni, che niente, neppure un palpito del cuore gli opponga resistenza, ma tutto in noi sia adesione, fiducia e, soprattutto, amore.

•• Il dramma dell’uomo Giuseppe: 

Lui trasforma i suoi dubbi in impegni e certezze

«Nell'approssimarsi del Natale, dopo aver immaginato d’incontrare le statuette più famose del presepe (l'oste, la sentinella, il vecchio accompagnato dal bambino, la donna con l'anfora e infine il pastore dormiente) oggi ho il desiderio di dialogare con Giuseppe. Non ho l'ardire di farlo entrare in confessionale! Sono io che lo raggiungo. L'ho sempre visto come l'uomo dei dubbi. Tutti li hanno, ma pochi li sanno affrontare come lui. 

«Scusa, Giuseppe. Posso? Ti confesso che a volte mi sento confuso. 

Vorrei una fede più splendente e invece è tremula come la fiamma di una candela che ogni tanto va riaccesa perché si spegne con i venti contrari della vita. 

Vorrei una speranza più determinata e invece mi lascio inquinare da frustrazioni, rabbie, pessimismi, “permalosismi”. 

Vorrei un amore più limpido e invece mi ingarbuglio nelle mie fragilità che fatico ad ammettere. Mi sveli il tuo segreto? Ma tu come fai?».

Il sapiente falegname di Nazareth mi sorride: 

«Quando ho visto nascere Gesù mi chiedevo se mai mi avrebbe chiamato papà! 

Io non l'ho generato, però gli ho dato la vita, nel senso che gli ho offerto tutta la mia vita e ho fatto quanto potevo affinché avesse la vita che voleva. Non è stato facile! 

A volte è proprio complicato amare; soprattutto quando chiede di mettere da parte un orgoglio ferito. 

Quando Maria è venuta a dirmi che era incinta (e non ero stato io!) mi è crollato il mondo addosso! 

Mi sentivo trascurato, deluso, amareggiato. Colpa sua? Colpa mia? Disagio mio che proiettavo su lei? 

In quel momento non eravamo sposati e le leggi del nostro tempo, in quell'angolo del mondo di cultura “araba” (semitica) e di religione ebraica, stabilivano il peggio: per Maria c'era la pena di morte per lapidazione. 

Avevo davanti la strada di un amore assurdo, apparentemente impercorribile, perché vedevo ferita la mia immagine di uomo, perché vedevo inquinata la mia storia di coppia, perché vedevo sgretolarsi i miei progetti e perché sentivo calpestata la mia sensibilità. 

Eppure, il “noi” era più importante di ogni ferita, di ogni fatica, di ogni colpa, di ogni mancanza. 

Ho messo da parte il mio ego ferito e ho scelto il “noi”. Se Maria ha fatto nascere Gesù, io ho fatto vivere lei, per amore, solo per amore. Il noi, grazie a lei, ha ridato vita a me. Perché avrei dovuto buttare via tutto ciò che di vero, di bello, di buono avevamo condiviso fino a quel momento? Ho guardato in modo diverso me stesso e la donna che amavo. Non solo mi sono fidato, soprattutto mi sono affidato. 

Il dubbio sull'amore mi ha insegnato che se e quando non si ama troppo, non si ama abbastanza. 

Il dubbio sul futuro mi ha insegnato che il segreto dell'esistenza non è comprendere la vita, ma gustarla. 
Il dubbio sulla fede mi ha insegnato a non chiedermi soltanto cosa voglio dalla vita, ma anche a chiedermi che cosa vuole la vita da me. 
Il dubbio sulla fiducia mi ha insegnato l'importanza del tornare a sorridere vincendo i fantasmi che corrodono e incupiscono. 

Il dubbio su che cosa fare mi ha insegnato a mettermi in discussione e a rimettere tutto in gioco. 

Ora sono l'uomo più felice del mondo per aver scelto di essere il custode. 

Custode di una vita nuova, dono di Dio, che appena ha stretto con la sua manina il mio dito calloso, ha sciolto tutta la mia durezza, ruvidezza, freddezza. 

Custode di una donna che mi ha cambiato, nella buona e nella cattiva sorte, perché m’ha completato e mi fatto sentire pienamente uomo. 

Custode di me stesso, con le mie fragilità e i miei dubbi, che hanno bisogno di sentirsi compresi. 

Custode di un noi, in una storia che sono certo essere divina perché anche nelle stagioni più difficili sa riempire l'anima. 

Questa forza mi è venuta in quella notte di Natale, al gelo, nel buio, tra mille punti di domanda. Quel bambino ha fatto venire alla luce me e quanto c'era nel mio cuore. Ho scelto questo e ho abbandonato i dubbi.

Provaci! La fatica e il dolore spaventano, ma possono essere doglie che trasformano anche grida di rabbia in vagiti di vita nuova, di amore rinnovato».

«Grazie, Giuseppe! In questo Natale mi hai fatto il più bel regalo: mi hai donato la logica preziosa del “comunque e nonostante tutto”!. È divina!»  Di Giulio Dellavite (da    II Giornale)

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