Pubblico un primo spezzone del lungo racconto del grande Kahlil, prossimamente il seguito.
LA TEMPESTA di Kahlil Gibran
Prima parte
Yusif el Fakhri aveva trent’anni quando si ritirò dalla società per andare a
vivere in un eremo che si trovava nei pressi della Valle Kedeesha, nel Libano
settentrionale. La gente dei villaggi vicini udì svariate storie riguardo a
Yusif; alcuni raccontavano che la sua famiglia era nobile e ricca, e che egli
amava una donna che l’aveva tradito, e proprio per questo l’aveva indotto a
condurre una vita solitaria, mentre altri dicevano che era un poeta e aveva
abbandonato la città rumorosa per ritirarsi in quel luogo, dove avrebbe potuto
annotare i suoi pensieri e comporre quel che l’ispirazione gli dettava; e molti
erano sicuri che fosse un mistico che si beava del mondo spirituale, anche se
la maggior parte della gente sosteneva che si trattasse di un pazzo.
Quanto a me, non potevo trarre alcuna conclusione
riguardo a quell’uomo, poiché sapevo che doveva esserci un segreto racchiuso in
fondo al suo cuore e non mi sembrava il caso di affidarne la rivelazione a
delle semplici congetture. Avevo a lungo sperato che mi si presentasse
l’opportunità d’incontrare quello strano uomo e mi ero sforzato di conquistarne
l’amicizia per vie traverse, poiché volevo studiare la sua visione della realtà
e apprendere la sua storia indagando sullo scopo della sua vita, ma i miei
sforzi risultarono vani.
Quando l’incontrai per la prima volta, passeggiava
per la foresta dei Sacri Cedri del Libano, e io lo salutai scegliendo con somma
cura le parole, ma egli rispose al mio saluto con un semplice cenno del capo,
per poi allontanarsi a grandi passi.
In un’altra occasione, lo trovai che stava in piedi
nel mezzo di una piccola vigna presso un monastero, e ancora una volta l’avvicinai
e lo salutai dicendo: “Gli abitanti del villaggio dicono che questo monastero fu costruito nel
quattordicesimo secolo da un gruppo siriaco; tu sai qualcosa della sua
storia?”.
Egli mi rispose freddamente: “Non so chi abbia
costruito questo monastero, e neppure m’importa saperlo”. Quindi mi voltò le
spalle e aggiunse: “Perché non fai questa domanda ai tuoi nonni, che sono più
vecchi di me e che ne sanno più di me sulla storia di queste valli?”.
Rendendomi conto del mio completo fallimento, me ne andai.
Passarono così due anni, e l’eccentrica vita di
questo strano uomo mi rodeva la mente e disturbava i miei sogni.
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autoritratto di Gibran |
Seconda Parte
Un giorno d’autunno, mentre vagavo per le colline e i
poggi adiacenti l’eremo di Yusif el Fakhri, fui sorpreso da un forte vento e da
una pioggia torrenziale, e la tempesta mi scaraventò di qua e di là come una
barca dal timone rotto e dagli alberi spezzati da una burrasca nel mare
agitato. Con difficoltà, diressi i miei passi verso la dimora di Yusif, dicendo
a me stesso: “Questa, finalmente, è l’opportunità che ho cercato per tanto
tempo. La tempesta mi offrirà un pretesto per entrare, mentre i miei vestiti
bagnati mi daranno un buon motivo per trattenermi”:
Ero in condizioni pietose quando raggiunsi l’eremo e,
quando bussai alla porta, venne ad aprirmi l’uomo che avevo tanto desideravo
vedere. Teneva in mano un uccello morente, col capo ferito e le ali spezzate.
Lo salutai dicendo:
“Ti chiedo perdono per questa mia fastidiosa
intrusione, ma la violenta tempesta mi ha sorpreso lontano da casa”: Aggrottò
le sopracciglia dicendo:” In questo deserto ci sono molte caverne in cui
avresti potuto trovare riparo”.
Tuttavia, non richiuse la porta, e le pulsazioni del
mio cuore accelerarono, presentendo l’imminente realizzazione del mio grande
desiderio. Cominciò a toccare dolcemente la testolina dell’uccello, con cura e
sollecitudine estreme, rivelando al mio animo una qualità importante. Rimasi
sospeso per aver riscontrato in quell’uomo due caratteristiche opposte: pietà e crudeltà al tempo stesso. Ci accorgemmo del
silenzio innaturale che regnava tra noi in quel momento. Lui era risentito a
causa della mia presenza, io invece desideravo rimanere.
Sembrò leggermi nel pensiero, poiché levò lo sguardo
e disse: “La tempesta è pura e rifiuta di mangiare carne guasta. Perché cerchi
di sfuggirle?”: Con una punta d’umorismo risposi: “Può darsi che la tempesta
non desideri cose salate e guaste, ma ha la tendenza a intirizzire e
indebolire, e senza dubbio le piacerebbe divorarmi, se mi riprendesse”: Aveva
l’espressione severa quando replicò: “Se
ti avesse inghiottito, la tempesta ti avrebbe concesso un grande onore,
di cui non sei degno”. Ne convenni: “Sì, signore, sono fuggito alla tempesta
perché non mi elargisse un onore che non merito”. Distolse lo sguardo da me
nello sforzo di soffocare un sorriso, poi si mosse verso una panca di legno
accanto al caminetto e m’invitò a sedermici sopra e ad asciugarmi gli abiti.
Riuscivo a stento a controllare la mia euforia.
Lo ringraziai e mi sedetti mentre lui si accomodava
di fronte a me, su un sedile scolpito nella pietra. Cominciò a immergere la
punta delle dita in una sorta di unguento contenuto in un vaso di terraglia, per spalmarlo
delicatamente sul capo e sulle ali dell’uccello. Senza alzare lo sguardo, disse:
“I forti venti hanno fatto cadere questo uccello sulle rocce tra la Vita e la
Morte”. Restituendo la similitudine, replicai: “E i forti venti mi hanno spinto
alla deriva fino alla tua porta, giusto in tempo per evitare di ferirmi alla
testa e di spezzarmi le ali”: Mi guardò con serietà e disse: E’ mio desiderio
che l’uomo dimostri l’istinto degli uccelli e che la tempesta spezzi le ali
della gente, poiché l’uomo è incline alla paura e alla vigliaccheria e, non
appena sente il risveglio della tempesta, striscia nelle crepe e nelle caverne
della terra e si nasconde”:
Il mio scopo era quello di riuscire a carpirgli la
storia dell’esilio che si era autoimposto, perciò lo provocai: “Sì, gli uccelli
sono in possesso di un senso dell’onore e di un coraggio che l’uomo non
possiede…L’uomo vive all’ombra di leggi e di consuetudini da lui stesso create
e foggiate secondo le sue esigenze, mentre gli uccelli vivono secondo quella
stessa Legge Eterna di libertà che spinge la Terra a seguire un’ampia orbita
intorno al sole”: Gli si illuminarono il volto e gli occhi, come se avesse
trovato in me un discepolo in grado di comprenderlo, ed esclamò: “ Ben detto!
Se credi nelle tue parole, allora devi abbandonare la civiltà con le sue leggi
e le sue tradizioni corrotte e vivere come gli uccelli, in un luogo in cui
manca tutto tranne la grandiosa legge del cielo e della terra”:
“Credere è una bella cosa, ma mettere in atto le cose
a cui si crede è una prova di forza. Sono molti coloro che parlano come il
fragore del mare, ma la loro vita è poco profonda e stagnante come una putrida
palude. Sono molti coloro che levano il capo al di sopra delle cime delle
montagne, ma il loro spirito rimane addormentato nell’oscurità delle caverne”.
S’alzò tremante dal suo sedile e pose l’uccello su un
pezzo di stoffa ripiegato accanto alla finestra.
Mise una fascina di legna secca sul fuoco, dicendo:
“Togliti i sandali e riscaldati i piedi, poiché l’umidità è dannosa per la
salute umana. Asciugati bene i vestiti e mettiti comodo”:
Il protrarsi dell’ospitalità di Yusif continuava ad
alimentare le mie speranze. M’avvicinai al fuoco e, dalla mia veste bagnata, si
levò del vapore. Mentre il mio ospite se ne stava sulla soglia a fissare il
cielo plumbeo, la mia mente s’affrettava a ricercare uno spiraglio che le
permettesse d’infiltrarsi nel suo passato. “ E’ da molto che vivi in questo
posto?”, chiesi con aria innocente.
Yusif rispose con calma, senza guardarmi: “Quando
arrivai in questo posto, la Terra era informe e vuota; l’oscurità ammantava i
fondali e lo Spirito di Dio si portò sulla superficie della acque”:
Quelle parole mi lasciarono sbalordito. Nello sforzo
di riprendermi, mi dissi: “Quest’uomo è davvero fantastico! E com’è arduo il
sentiero che conduce alla sua visione della realtà! Ma io l’affronterò in modo
cauto, con lentezza e pazienza, fino a quando la sua reticenza non si
trasformerà in comunicazione e la sua stranezza in comprensione”: