IN GIRO PER MILANO IN CERCA DI ARTE AUTENTICA
Nelle viuzze di Brera, conosciuto come il
quartiere degli artisti, intervallate da vetrine sfarzose soprattutto quelle
delle boutique, ci sono gallerie d’arte. Molto più ammirevole delle opere esposte,
è la facciata del palazzo ottocentesco che le ospita. Povera arte deturpata,
svilita. Con che coraggio si può chiamare arte quella robaccia? Che cosa sta
accadendo in questo secolo? Avanza la tecnologia e come un gigantesco bulldozer
ci passa sopra. Certo ne rimane sotterrato il nome, ma la “A” maiuscola resta
schiacciata, e diventa minuscola.
Qua vedo creazioni plastiche, informi, paiono
reperti dell’età della pietra, abbozzi primitivi di qualcosa cui non saprei
definire con un nome appropriato.
Là vedo tratteggiate su tela scarne figure,
zombi o ectoplasmi, parvenze di immagini umane.
Arte! Preferisco l’omino stilizzato di un bimbo
quattrenne, come questo:
Espressione
genuina d’arte embrionale, un tentativo di rappresentare il papà. Una
dichiarazione d’amore per il genitore. E si capisce che si tratta della figura
paterna. Se oggi è un abbozzo, domani sarà un ritratto più complesso e magari
quel bimbo diverrà un novello Leonardo, chissà?!
Ma
la tua arte, pittore, scultore dai capelli canuti, è irrimediabilmente
degenerata e non più riplasmabile, come potrebbe esserlo una vecchia baldracca,
disfatta dagli anni e troppo sfruttata.
Dov’è
la perfezione del Rinascimento? Dove la poesia del Neo-Realismo? Dove la grinta
feroce, quasi blasfema, ma di sicuro fascino del cubismo? E l’astrattismo di Klee o di Kandinskij?
E
per possedere una tua tela di tal fatta, o una scultura sformata, dovrei
sborsare milioni di lire? Preferisco frequentare le esposizioni in via Bagutta
o lungo i Navigli. Lì qualche pittore senza parte, ma forse con più arte di te,
signor maestro dell’orrore, mi allieterà la vista con un suo quadro che
rappresenta il volto di un bimbo, uno scorcio o un panorama nella nebbia di Milano,
cancellando così dal mio sguardo la ripugnanza impressa dalle tue produzioni.
E
forse il pittore di strada non chiederà neppure molti soldi per il suo lavoro:
poco più del costo della tela o del legno su cui ha dipinto.
E
quando gli ospiti vedranno quei quadri appesi con orgoglio alle pareti di casa
mia, so già che diranno:
- Ma de chi l’è quel quader lì, l’è de nissun
valur.
E lo dicono solo perché non mostra la firma
che va di moda, di quell’autore affermato e tanto lodato. La tua!
E come se Armani lanciasse la moda della
braghe col culo di fuori!
-
L’è dell’Armani, perciò l’è bel e chic. El fa
la so figura!
E l’artigiano dietro l’angolo, che cuce ancora
pantaloni con l’aplomb perfetto, dalle rifiniture curate, perderà i pochi
clienti e farà la fame.
-
Pora mi, dul è che andèm a finì!
Diceva la sciura Maria quarant’anni fa.
Ci siamo già arrivati, al dove andremo a
finire, per quanto riguarda l’arte, e purtroppo non solo questa!
Siamo nella merda totale e, per non essere
tacciata di volgarità, nella cacca, che fa più fine!
Il mio discorso disfattista sull’arte
figurativa riguarda in qualche modo anche la poesia. Ne ho lette alcune, di
autori premiati recentemente, vincitori di non ricordo più quali concorsi.
Belle, bellissime. Parole e suoni modellati tra loro quali intrecci fonetici, tanto perfetti da parer tracciati con squadra e righello, peccato che fossero incomprensibili e intraducibili.
Belle, bellissime. Parole e suoni modellati tra loro quali intrecci fonetici, tanto perfetti da parer tracciati con squadra e righello, peccato che fossero incomprensibili e intraducibili.
Anche in questo caso, mi chiedo dove sia
finita la scuola di Ungaretti e Montale o di Saba, tanto per fare qualche nome.
Non serve retrocedere nel tempo, citando
Carducci, Pascoli, D’Annunzio, Leopardi, Foscolo o Petrarca, per non parlar di
Dante.
L’abisso si mostrerebbe talmente profondo da
inghiottire tutti i poetastri, ed io con loro che mi sono permessa di
giudicarli!
Ritorno a dire che una poesia di un’allieva di
scuola media, nel suo ingenuo candore, è preferibile (come il disegno del bimbo
di quattro anni) ai presunti poemi di presuntuosi e improbabili poetastri.
L’Arte è morta: requiem
aeterna, amen!
Danila Oppio
Milano, 30 novembre 1983
Ps. Scrivevo questo mio testo 36 anni fa e ora, riscoprendolo, mi accorgo che sono tuttora coerente con le mie considerazioni di allora, anzi, di recente ho trattato ancora di gallerie di “presunta” arte e ho bastonato simbolicamente non tanto gli “artisti” che cercano notorietà in tutte le salse, quanto i galleristi e i critici che li sostengono, anche se gli artisti da loro decantati e supportati (e da me sopportati non tanto pazientemente) producono immani schifezze.
Ps. Scrivevo questo mio testo 36 anni fa e ora, riscoprendolo, mi accorgo che sono tuttora coerente con le mie considerazioni di allora, anzi, di recente ho trattato ancora di gallerie di “presunta” arte e ho bastonato simbolicamente non tanto gli “artisti” che cercano notorietà in tutte le salse, quanto i galleristi e i critici che li sostengono, anche se gli artisti da loro decantati e supportati (e da me sopportati non tanto pazientemente) producono immani schifezze.
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