FONOSIMBOLISMO E ALTRO ANCORA
Vento impietoso
Soffia e sibila il vento
Furioso
Scricchiolano infissi e usci
Frusciano sui rami le foglie
Secche e si staccano
Dagli scheletrici rami
Sradica e schianta
Gli alberi sull’arido suolo
Impietoso.
(Danila Oppio: scritta oggi, 27 luglio 2021)
Angoscia
Scivola
Sul lastrico della strada
Strazia
Lo stridore dei freni
Una rossastra
chiazza s’espande
Schianta l’anima
e l’angoscia pervade.
(Danila Oppio: scritta ieri, quand’ero adolescente)
La scelta dei vocaboli rende col loro suono, l’effetto simbolico e musicale dei versi. Con altri sinonimi, non offre la stessa impressione. Da ragazza non sapevo cosa fosse il fono-simbolismo, ma lo avevo intuito. Ora il mio maestro - Prof. Roberto Vittorio di Pietro di Torino, per anni critico letterario presso la RAI, e insegnante di poesia, oltre ad essere un ottimo poeta e giudice di varie giurie - mi ha dato modo di apprendere come utilizzare le parole per rendere, col loro suono, effetti particolari. Non ho particolare simpatia per D’Annunzio, ma in La pioggia nel pineto, usa un perfetto fono-simbolismo: suona, e par sentire lo scroscio o il tamburellare della pioggia.
Riguardo alla metrica, alle rime baciate o alternate, alle quartine, giusto per dare un esempio, secondo me sono costrizioni e costruzioni tali da tagliare le gambe a chi cerca di comporre una buona poesia. Infatti, la ricerca disperata della rima, della metrica, dei versi della stessa lunghezza (quartine, ottave, ecc) toglie la libertà di esprimere al meglio il proprio sentire poetico. A meno che non pensiamo d’essere tutti Dante o Petrarca, Leopardi o Pascoli, diventa davvero complicato e ostico poetare servendosi della metrica perfetta, o delle rime.
Apprezzo le rime tra la fine di un verso e una parola interna di un altro verso, come in Leopardi:
Odi greggi belar, muggire armenti,
gli altri augelli contenti a gara insieme.
Splendida forma poetica.
Ci sono poi le assonanze, quelle che maggiormente amo.
A questo punto, per maggior chiarezza, preferisco servirmi, perché mi trova in sintonia, del testo di Mario Macioce:
La metrica italiana
tratto da L'Alfiere, rivista letteraria della "Accademia V.Alfieri" di Firenze
anche se sono informata di tutto questo, ma così è ben spiegato, che di meglio non potrei fare.
Ci sono poi le ... quasi rime.
- Assonanza (o rima imperfetta): stesse vocali ma consonanti diverse, come cuore - dote
- Consonanza: stessa finale ma vocale tonica diversa, come velo - solo
Queste e altre figure ritmiche, secondo me, vanno bene in una poesia in versi sciolti o comunque priva di uno schema metrico regolare.
Ma, se si sceglie liberamente (non ci obbliga nessuno) di fare una composizione dalle regole precise e codificate, come un sonetto, un rondò o anche solo una serie di quartine in rima, inserire una (o qualche) assonanza o consonanza più che sembrare una variante stilistica, dimostra che non si è saputo fare di meglio!
Ed è sempre preferibile, per qualunque verso mal riuscito o con una parola inadatta o con una rima sforzata, falliti tutti i tentativi di salvataggio, gettar via una rima o un verso o anche una strofa, piuttosto che sciupare l'intera poesia.
Capita spesso che belle composizioni, ricche di qualità e d’idee, siano trascinate verso il basso da uno o pochi versi, non all'altezza degli altri, lasciati per pigrizia o per lo sciocco orgoglio di dire: "Mi è venuto così e va bene così!"
L'ispirazione deve, sì, essere spontanea, ma pensate a un pittore; se dopo aver avuto un'intuizione geniale e magari buttato giù uno schizzo, non passasse giornate intere a dipingere, correggere, osservare, migliorare, nessun capolavoro vedrebbe mai la luce!
Il modo più semplice e immediato di far rime è quello di abbinare i versi a due a due, facendone rimare uno con il seguente; esempio:
Meriggiare pallido e assorto A
presso un rovente muro d'orto, A
ascoltare tra i pruni e gli sterpi B
schiocchi di merli, frusci di serpi. B
(Eugenio Montale)
Le lettere accanto ai versi rappresentano il tipo di rima: indicano che i primi due versi hanno la stessa terminazione e quindi rimano fra loro; così anche gli altri due rimano fra loro, ma in modo differente dai primi.
Questa rima fra versi contigui si dice " baciata ".
Attenzione: se i versi che rimano fra loro sono così vicini, l'effetto è molto forte. Poiché la moda dal Novecento tende a eliminare la rima o a relegarla in serie B (specie da parte di chi non riesce a fare rime decenti), conviene non abusare della rima baciata, soprattutto in poesie lunghe. C'è il rischio della filastrocca un po' infantile, anche se una poesia veramente bella può superare questa trappola, come dimostra " La cavalla storna " del Pascoli, tuttora molto godibile e coinvolgente. Non è prudente però sfidare Pascoli!
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d'otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.
Altro schema di rime molto usato, in quartine o strofe più complesse, è la rima " alternata ", che si fa appunto alternando due terminazioni:
Nude, le braccia di segreti sazie, A
A nuoto hanno del Lete svolto il fondo, B
Adagio sciolto le veementi grazie A
E le stanchezze onde luce fu il mondo. B
Al solito le lettere simboleggiano le terminazioni e indicano che il primo verso rima con il terzo e il secondo con il quarto. Un altro schema è quello della rima " incrociata "; ad esempio:
Spesso il male di vivere ho incontrato: A
era il rivo strozzato che gorgoglia B
era l'accartocciarsi della foglia B
riarsa, era il cavallo stramazzato. A
(Eugenio Montale)
La rima " incatenata " si ha nelle terzine dantesche (cioè con lo stesso schema usato da Dante nella Divina Commedia), come qui:
Su la riva del Serchio, a Selvapiana A
di qua dal ponte a cui si ferma a bere B
il barrocciaio della Garfagnana A
da Castelvecchio menano, le sere B
del dì di festa, il lor piccolo armento C
molte ragazze dalle trecce nere. B
Siedono là sul margine, col mento C
sopra una mano, riguardando i pioppi D
bianchi del fiume; e parlano. Ma il vento C
(Giovanni Pascoli)
È una composizione in terzine incatenate anche "Le ceneri di Gramsci" di Pier Paolo Pasolini, ma in questo caso sarebbe dura chiamarle "dantesche", perché il Poeta, forse per dare un sapore popolaresco alla sua poesia, si concede troppi sconti di metrica e di rima.
Non è di maggio questa impura aria A
che il buio giardino straniero B?
fa ancora più buio, o l'abbaglia A?
con cieche schiarite ... questo cielo B
di bave sopra gli attici giallini C
che in semicerchi immensi fanno velo B
alle curve del Tevere, ai turchini C
monti del Lazio ... Spande una mortale D
pace, disamorata come i nostri destini, C
. . . . .
Ci sono poi altri schemi, che sono, quasi sempre, combinazioni o varianti di
questi. Comunque, in fatto di rime, l'unico limite è nella fantasia (salvo nel caso di forme poetiche dalle regole precise e codificate, come il sonetto e il rondò).
C'è poi la possibilità di usare la rima ... con parsimonia, per esempio facendo strofe in cui alcuni versi rimano e altri no, oppure inserendo rime sparse in una poesia in versi sciolti (cioè - ricordate? - veri versi in metrica, ma che non seguono un particolare schema di strofe e di rime, e che possono anche essere di lunghezza diversa).
A mio giudizio, invece, è bene non usare le rime nelle poesie in versi liberi, perché in queste, che hanno il tono discorsivo della prosa e del racconto, più o meno lirico, le rime stonano e appaiono sforzate, così come stonerebbero in un qualsiasi testo in prosa.
Le strofe e le forme metriche
La strofa è un raggruppamento di versi in un più ampio periodo ritmico. Se le poesie sono rimate, quello che unisce un gruppo di versi in genere è proprio il gioco delle rime.
Naturalmente la strofa più semplice è quella di due soli versi; un esempio famoso si ha ne "La cavalla storna" del Pascoli, formata da distici (cioè coppie di versi) a rima baciata.
O cavallina, cavallina storna, A
che portavi colui che non ritorna; A
tu capivi il suo cenno ed il suo detto! B
Egli ha lasciato un figlio giovinetto; B
Strofe di tre versi sono le terzine della Divina Commedia o quelle di "Le ceneri di Gramsci" di Pasolini.
Un altro esempio di terzine incatenate è questa breve poesia di Pascoli.
Dov'era l'ombra, or sé la quercia spande A
morta, né più coi turbini tenzona. B
La gente dice: Or vedo: era pur grande! A
Pendono qua e là dalla corona B
i nidietti della primavera. C
Dice la gente: Or vedo: era pur buona! B
Ognuno loda, ognuno taglia. A sera C
ognuno col suo grave fascio va. D
Nell'aria, un pianto ... d'una capinera C
che cerca un nido che non troverà. D
Esempi di "quartine", cioè strofe di quattro versi si trovano in "Canzone" di Ungaretti e in "Meriggiare pallido e assorto" di Montale, citate in precedenza a proposito di rime.
Sono quartine le prime due strofe dei Sonetti e tutte le strofe dei Rondò.
Le quartine sono generalmente rimate a rima alternata (schema A B A B) o a rima incrociata (A B B A), ma possono essere rimate in parte, per esempio solo i due versi interni, oppure solo il primo e il terzo.
Sarebbe bene però, dopo avere scelto un qualunque schema di rima, mantenerlo in tutte le strofe. Cambiare schema, anche se gli autori moderni a volte lo fanno, rende la poesia un po' meno gradevole e può denotare una certa difficoltà nel far convivere il contenuto con la forma, e questo è comunque un limite.
(nota mia: o volte capita di leggere poesie in quartine, che sembrano forzate, prive di grazia e di musicalità perché rimare per forza toglie l’estro poetico, e si rischia anche di cadere in molte ripetizioni e nell’uso di vocaboli poveri) Qualcuno sosteneva che le rime baciate o alternate nelle quartine, aiutano a portare a memoria l’intera poesia, come accade con i testi delle canzonette. Ma oggi non si usa più memorizzare e recitare le poesie: si leggono e non importa se sono prive di rima o di metrica, quel che conta, è che tocchino il cuore dei lettori perché sanno trasmettere emozioni forti. Il resto è noia!)
Altri tipi di strofe più lunghe le vedremo poi parlando di composizioni.
La gamma entro cui spaziano le creazioni poetiche è vastissima. Si va dalle cosiddette "poesie in versi liberi", cioè prive di qualunque regola, alle forme metriche chiuse, che hanno al contrario regole molto precise; dai poemi lunghi come la Divina Commedia (oltre 14000 versi) alle illuminazioni di un verso solo. (Come Ungaretti in Mattina “M’illumino d’immenso”)
In questo caso, però, o si tratta di un'intuizione veramente geniale o è una solenne sciocchezza! Altrimenti sarebbe troppo facile essere poeti).
§§§
La disquisizione di Macioce prosegue, ma mi fermo qui, perché mi pare che sia già sufficiente ad illuminare chi desidera occuparsi di poesia, dando alcune tracce e consigli, per non rischiare di cadere nel banale. Per quanto mi riguarda, considero POESIA ogni stile poetico, ma la mia preferenza cade sulle composizioni che trasmettono musicalità, non importa se in versi sciolti o legati alle formule più complesse. Lo stile è una cosa, il contenuto capace di trasmettere emozioni, è altra. Così mi viene questo distico in decasillabi a chiusura:
Le foglie verdi ondeggiano al vento
dove la rima pone l’accento.
Mi perdoneranno i maestri della poesia se questi due versi non sono perfetti, se lo sono, allora ho imparato qualcosa!
Danila Oppio
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