L'altra parte / Die andere Seite
Quelle che seguiranno sono solo mie considerazioni d’epoca, quando ho letto il libro, tra il 12 e il 22 marzo 1977, dove riporto soprattutto le parti del testo che mi hanno colpito e talvolta ci rifletto su.
Capitava che i libri che leggevo non fossero miei e li dovessi dunque restituire, così almeno alcune frasi restavano a me su un quaderno scritto a penna.
E chi l’avrebbe mai immaginato, mi dico io stanotte, sola nella mia casa dopo tante che ho attraversato, che un giorno a qualcuno sarebbe venuto in mente di chiedermi una ‘recensione’ fra le centinaia che da anni e per anni e anni ho scritto e continuo a scrivere solo per me senza farne parola con nessuno?
Comunque, dopo più di quarant’anni che stava riposando in libreria, eccola qui:
E’ un libro pesante, ridondante di immagini inafferrabili, del tutto privo di spiegazioni e per questo implacabilmente assurdo. Ho detto immagini inafferrabili, ma nel senso che non hai voglia di vederle di cercarle di farle tue, proprio come l’autore non ha saputo farle sue. Questa è una cosa che ho sentito proprio verso la fine quando descrive il ribollire, il cristallizzarsi, il frantumarsi del suolo con precipizi di stelle aperti d’improvviso sopra i tuoi occhi in un rimescolarsi dell’universo che nasce si sviluppa e muore:
«Dopo eventi che erano eterni, fuori del tempo, dopo tensioni di un divenire sempre più eruttivo, tutto si trasformò nel suo contrario. Alla creazione seguì un frenetico tendere verso un punto centrale, che fu raggiunto in un attimo. Il mondo fu irradiato da una soave e beata spossatezza. Da un barlume di comprensione nacque una forza, un’aspirazione… Era un’energia immensa, spontanea… Si fece buio. Con oscillazioni chiare, regolari, il Tutto sprofondò in un punto.»
Fra l’altro, la grande nullità dell’uomo che è immerso e trascinato in questo nascere-crescere-morire quasi istantaneo si annulla proprio perché a un uomo (all’uomo) è dato di concepire questi rapporti (di nascita-crescita-morte in confronto all’uomo) e di contemplare (come il protagonista) questa nullità.
Ci sono lo stesso delle descrizioni e sensazioni interessanti, moltissime, ma ho trovato i pensieri confusi e la storia noiosa, da ultimo non so se l’ho capita e questo mi rode.
Comunque dalla “Nube Purpurea “ (*) ho riportato ottimi ricordi e la sensazione di una storia grande e matura (dalla fine insipida) e da qui? Solo il tempo…
(*) La Nube Purpurea (The Purple Cloud, 1901, di Matthew Phipps Shiel)
«Camminare di notte per le strade di Perla era un tormento. Ai sensi acuiti si aprivano gli abissi più raccapriccianti. Dalle finestre chiuse da inferriate e dalle aperture delle cantine uscivano gemiti soffocati, così che si pensava involontariamente a strangolamenti e delitti….. I portoni si spalancavano sul passante frettoloso come se volessero inghiottirlo. Voci invisibili attiravano verso la riva del fiume….. perfino il mulino non era silenzioso, ma cicalava pettegolo per tutta la notte…..
[ A casa ] O scricchiolava un armadio o si spezzava un bicchiere.»
«Al di sopra di ogni altra cosa imparai ad apprezzare il valore dell’indolenza. A un uomo pieno di vitalità occorre, per conquistarla, il lavoro di tutta una vita. Una volta che se n’è gustata la dolcezza, non si può più staccarsene, anche se ciò costa lotte continue. Anch’io cercai allora di immergermi per ore nella contemplazione di sassi, di fiori, di animali e di uomini. Il mio potere visivo ne risultò acuito, come già lo erano l’odorato e l’udito.
….. I sensi, affinati, influenzarono un po’ alla volta l’apparato mentale e lo modificarono. Acquistai una capacità sorprendente di meraviglia. Ogni oggetto, avulso dal rapporto con le altre cose, assumeva un significato nuovo. Il fatto che un qualsiasi corpo arrivasse a me dall’eternità, mi faceva rabbrividire.
….. Sentivo sempre più il legame comune che c’era in tutte le cose. I colori, gli odori, i suoni e i sapori erano per me intercambiabili. E allora compresi: Il mondo è forza d’immaginazione, immaginazione-forza.
….. Il nulla era inflessibile, non voleva niente, e così la forza d’immaginazione cominciava a ronzare e a vorticare, assumeva forme, suoni, odori e colori a tutti i livelli: ed ecco il mondo. Ma il nulla inghiottiva di nuovo tutto il creato e il mondo si faceva debole e pallido, la vita si arrugginiva, ammutoliva e si disgregava, era, di nuovo, nulla; e poi tutto ricominciava daccapo. Si spiegava così perché tutto fosse concatenato, e fosse possibile un cosmo (*).
Tutto ciò era terribilmente intessuto di sofferenza. Quanto più si cresceva, tanto più profonde dovevano essere le radici. Se voglio la gioia, devo volere insieme anche il dolore. Nulla o tutto. La causa prima doveva risiedere nella forza d’immaginazione e nel nulla; forse erano una cosa sola.
Chi ha afferrato il proprio ritmo, può calcolare approssimativamente quanto dureranno per lui il tormento o il dolore.
….. L’incendio della mia casa è, insieme, sciagura e fiamma. Chi soffre può consolarsi pensando che l’una e l’altra sono immaginarie.
….. Al termine di questa evoluzione, l’uomo come individuo ha cessato di esistere, del resto non c’è nemmeno più bisogno di lui. E’ una strada che conduce alle stelle.» (**)
«L’amore stesso ha il suo centro di gravità ‘inter feces et urinas’. I momenti più alti possono soggiacere al ridicolo, allo scherno, all’ironia.» (dall’Epilogo del libro, pag. 295)
(*) Dal greco kòsmos = ordine, ma anche mondo, universo. Dunque ‘ordine universale’.
(**) Questo mi ha ricordato l’interpretazione che, di una concezione di Aristotele, dà Bertrand Russell «… sembra che l’individualità, che distingue un uomo da un altro, riguardi il corpo e l’anima irrazionale, mentre l’anima razionale o spirito è divina e impersonale.
A uno piacciono le ostriche, a un altro gli ananas; questo li distingue l’uno dall’altro.
Ma quando usano la tavola pitagorica, ammesso che non sbaglino, non c’è alcuna differenza tra loro. L’irrazionale ci separa, il razionale ci unisce.
Così l’immortalità dell’anima (o ragione) non è un’immortalità personale di ogni singolo uomo, ma una partecipazione all’immortalità di Dio.
E’ possibile all’uomo accrescere l’elemento divino che è nella sua natura, e il farlo è la più elevata delle virtù. Ma se ci riuscisse completamente, avrebbe cessato di esistere come persona.» (da ‘Storia della Filosofia Occidentale’)
Torniamo adesso indietro alla pagina 272:
«Da un grande buco nella terra soffiò allora fino a me un vento gelido….. Quel buco pauroso aspirò poi nuovamente l’aria che aveva emesso….. Poi le raffiche di vento cessarono, e dal buco nero emerse cauta una testa di cammello.
Era attaccata a un collo interminabile, si guardò astutamente attorno e si protese fino all’altezza del mio osservatorio. Poi rise in silenzio e si ritirò.»
A parte che in questo libro le situazioni di assurdo (quando sono riuscite) ricordano Lewis Carroll, restano delle fugaci visioni, come quella appena riportata, del cammello, che sono proprio state accarezzate, sentite e seguite dall’autore, gustate e viste, così, da lui e da me. In fin dei conti disegno anch’io e chi ama fare immagini ha in genere in comune l’emozione di fronte alla suggestione di certe scene (come ad es. le paludi, il Palazzo, le costruzioni riflesse nell’acqua). “
Questo l’ho scritto allora. Quando, in partenza per Torino a costruirmi un lavoro, stavo per smettere di disegnare.
E quel che seguirà l’ho scritto adesso:
A lungo, molte volte, in questi ultimi due anni in cui volevo ritornare al disegno, ho ripensato a Alfred Kubin che, con “L’altra parte”, ritrovò una parte del suo se stesso perduto.
Io avevo dovuto abbandonare il disegno, quello alla grande, che richiede tempo, materiali, fatica, dedizione, fisico e mente. Non il disegno spicciolo, quello immediato che ti basta un block notes o qualunque foglietto per metterlo giù. Quello che non t’impegna la vita ma ne è comunque ispirato.
Mi manca tanto, ma così tanto che mi capita di disegnare anche sulla lista della spesa. Che so, i vasetti di yogurt, proprio quelli lì, nel vetro, con quella forma. Invece di scrivere semplicemente ‘yogurt’. Li faccio piccolini come le formichine alfabetiche che dicono in chiaro latte, formaggio, fragole…
Mio fratello piccolo racconta che quando ero molto giovane mi ha visto disegnare su qualunque foglio mi capitava sotto mano. E allora i fogli e tutti i materiali erano costosi. Adesso sono alla mia portata, anche se soldi non ne ho tanti. E ne compro, quando ne vedo di belli e attraenti. E ho un piccolo treno di matite. Quelle semplici di grafite nera. Solo che ho maturato come un sacro terrore di quei fogli. Mi sembra di sporcarli. Di sprecarli. Di sciuparli. Sì, qualche volta ci disegno su, ma questa grassa messe di fogli mi sembra di non meritarla più. Così ne regalo spesso alla figlia piccola della mia amica J. Ma buona parte resta lì, chiusa nelle librerie, a aspettare che la regina Angela decida di buttare via la vecchia corona, scenda dal trono di tanti anni fa e trovi il coraggio di provare quel che sa fare sa disegnare l’Angela di oggi dopo tanti anni.
Ed ecco Kubin e la testa del cammello…
Dopo quarant’anni io ricordavo di Kubin solo quella testa di cammello, ma così forte, così potente che ne avevo stampata in testa l’immagine a bianco e nero. E ne ricordavo le movenze lente e mute in un incommensurabile silenzio buio, come in un film, come in un sogno, come nella realtà descritta da Kubin nel suo libro.
Ero così convinta che lo andai a sfogliare non ricordando dove parlava del cammello ma convinta della sua esistenza. Apro verso la fine, ritorno indietro, riapro a metà scorrendo le pagine con disegni. E poi mi sfoglio tutto tutto tutte le 295 pagine del libro. So che ci sei! So che ci sei!
Fino a rendermi conto, con la delusione infinita di chi ha perso qualcosa di molto caro, che la testa di cammello non c’era, non c’era mai stata, era solo dentro di me. E lì c’era.
Un modo molto originale, questo di Kubin, per continuare a vivere.
Ho letto la recensione di Chiara Novelli e condivido molti dei significati che ha tratto dal libro: rivelazione dei mali sociali che si sono creati nelle metropoli, con la conseguente spersonalizzazione dell’individuo… E certo Kubin, nella parte razionale di sé, si è scontrato con l’annullarsi del singolo.
Non voglio togliere, ma aggiungere significati, esprimendo la mia idea di artista figurativo.
E permettetemi di scrivere il seguito alla mia vecchia ‘recensione’, almeno per dire quello che adesso ho capito:
Qui non si tratta di ‘paralisi creativa’, ma di paralisi esecutiva dell’artista. E’ che l’artista, molto semplicemente e crudamente, si rende conto che gli strumenti che possiede non sono più sufficienti a dire quello che ha dentro. Al contrario vuol dire che l’artista è ancora ben vivo, se sa valutare se stesso, si trova insufficiente e cerca come colmare questa mancanza. Descrivendo scrivendo.
Kubin era affogato da tutto quello che sentiva che vedeva che aveva dentro di sé senza trovare lo strumento figurativo per esprimerlo.
Dirò di più: la semioscurità diffusa, l’oscurità di Perla che viene cancellata dalla luce improvvisa di una scena insospettata, esprime perfettamente non il buio dell’artista senza idee ma con troppe sollecitazioni interne che scoppiano a illuminare un momento della città da lui stesso creata per iscritto, buio che viene lacerato per un attimo da un’immagine inaspettata che esiste ancora solo nella sua mente.
Ho provato angoscia ripensando al suo libro e a quello che ha sentito lui allora.
Il gonfiarsi della città, lo sgretolarsi dei muri, l’emergere di liquidi senza nome, le notti inchiostrate, i cieli sovraccarichi di strati di nuvole color fumo sono solo il suo modo di esprimere, scrivendo e non disegnando, quanto il mondo sia caldo, dinamico, in divenire e in ritrarsi. Così tanto che ‘per poco il cor non si spaura’. Ma lui ne è coinvolto, travolto, sommerso, risputato E non vuol sapere di uscirne.
Il ribollire della vita informe che poi si gonfia si allunga si alza si srotola si uccide sciogliendosi in una pozzanghera… da cui poi nascono nuove creaturine ancora senza identità.
Ecco cosa è successo a Kubin: è entrato nel movimento dell’evolversi che è talmente vitale che tutto è curioso pregnante attraente perché non sai ancora cosa diventerà e sarebbe un delitto fermarsi, interromperlo e preservarne solo una parte.
L’occhio non fa in tempo a fissarsi che già nascono mille altri esempi di vita in movimento.
E’ entrato in quel movimento, ne viene travolto ma gli piace, sente di appartenergli.
Sa anche di non riuscire a raccontarlo con i mezzi figurativi a sua disposizione e allora ci si crogiola in mezzo, baloccandosi fra le meraviglie.
Da qui nasce l’angoscia dell’artista che manca al suo compito ma che per pagine e pagine cerca di raccontarti comunque quel che vede, votandosi a questo e non all’aver colto l’opera.
Non a caso i 52 disegni che accompagneranno il libro vengono eseguiti dopo e proprio solo pochi valgono qualcosa. Lo dico da disegnatore e me ne assumo la responsabilità.
In conclusione, questo libro che a 25 anni trovavo pesante e di farraginosa lettura, l’ho ritrovato adesso sciolto, facile da scorrere in velocità e affascinante entro i limiti della follia o sul suo rischioso limitare.
Adesso, a 66 anni, dopo che tante immagini si sono nel frattempo mosse in me e tanti mondi mi navigano dentro, ho provato curiosità e gioia nel ritrovarne qui dentro al libro, quasi che Kubin e io fossimo artisti gemelli. Non a caso entrambi, dopo un lungo percorso di disegni, abbiamo espresso il nostro primo libro di narrativa alla stessa età, 31 anni:
Alfred Kubin “L’altra parte”, Angela Fabbri “Giochi tremendi”.
E in questi giorni di vicino inverno, quando viene buio presto, correndo in bicicletta per la mia città, fra luci ombre e le persone, giuro che mi son sentita a Perla.
L’avevo calda nel cuore. E solo meraviglia potevo aspettarmi dai vecchi muri, dalla gente infagottata dal freddo, dai cagnoni colorati che tirano vigorosi sul guinzaglio…
L’attraversavo come se adesso il libro di Kubin fosse vivo dopo aver perso le immagini spietate di una lunga, lunga inquietudine. Grazie.
Ho sempre parlato di me come antico disegnatore. Desidero darne una testimonianza d’epoca: un brano dal mio Tarzan dell’estate 1976:
Quasi tutte le mie copertine sono tratte da miei disegni a china nera
L'alga marina (1976) in copertina della prima edizione di GIOCHI TREMENDI
La mano e la penna (1976) de IL SESSO DEGLI ANGELI
Angela Fabbri (Ferrara, fine novembre-inizio dicembre 2017)
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