POETANDO

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martedì, dicembre 29

ASHOKA ICE CREAM di RENATA RUSCA ZARGAR


ASHOKA ICE CREAM
di Renata Rusca Zargar
Ashoka spingeva lestamente lungo Puza Road, a Delhi, il suo piccolo carrettino bianco e azzurro. Da un lato erano appese ordinatamente le file di coni per confezionare il gelato che si trovava all’interno del carrettino stesso, mentre copriva il tutto una tendina, sempre a strisce bianche e azzurre, sulla quale spiccava la scritta in grandi caratteri blu “Ashoka Ice Cream”.
Ogni mattina, Ashoka raggiungeva Ajmal Khan Road, una zona movimentata di negozi e di gente, dove il traffico e il rumore erano incessanti. Moto, auto, biciclette, autorisciò, si mischiavano ai molteplici passanti, come api che ronzano sul miele. Egli sistemava proprio là, in un angolino, il suo banchetto e cercava di guadagnarsi la giornata.
Ashoka non era vecchio, o almeno non ricordava quanti anni fossero passati dalla sua nascita, ma il suo aspetto lo faceva apparire piuttosto anziano, con una misera camicia scolorita addosso e un paio di pantaloni di cui non si capiva più il colore e la forma originale. Ai piedi aveva un paio di ciabatte l’una differente dall’altra.
Nella sua famiglia, i figli erano stati sempre numerosi: suo nonno ne aveva avuti ben quindici (un dono di Dio!), suo padre dodici ed egli ne aveva solo otto perché due, purtroppo, erano morti da piccoli. Per mantenerli, Ashoka aveva tentato diversi mestieri: da giovane faceva il manovale per un’impresa che costruiva e riparava le strade. Spaccare le pietre con un pesante martello sotto il sole bollente dell’India e respirare i vapori del catrame avevano consumato le sue energie ed era diventato ancora più magro di quanto fosse stato prima, come una pera secca. Così, l’avevano licenziato ed era andato, per un periodo, a raccogliere la frutta nelle campagne. Per ore e ore si arrampicava sugli alberi di cocco o di banane, poi accatastava i frutti nelle ceste e li portava al limitare della piantagione, dove altri li caricavano sui carri. Faceva sempre tanto caldo, il lavoro era assai duro e il suo corpo era divenuto persino più scheletrico, se possibile! La paga, invece, era ancora più scarsa e le necessità della famiglia aumentavano. Poi, finalmente, aveva trovato occupazione come uomo delle pulizie in un albergo abbastanza lussuoso. Con buona volontà, inginocchiato a terra, lavava i pavimenti e i gabinetti, spolverava l’arredamento e rifaceva i letti delle stanze senza un attimo di sosta. Il salario era ugualmente inadeguato ai bisogni ma, spesso, i clienti lasciavano una mancia o qualche oggetto che egli poteva rivendere. Così, giorno dopo giorno, aveva accumulato una piccola sommetta che gli aveva permesso di comprare il carrettino che lui aveva chiamato “Ashoka Ice Cream”.
Oltre che il suo (e quello della sua piccola impresa), Ashoka era stato il nome di uno dei più grandi sovrani dell’India, della dinastia dei Maurya, tanto tanto tempo prima.
Certamente, nominare così la sua attività gli avrebbe portato fortuna! Ormai, i suoi due figli più grandi lavoravano anche loro e, con un po’ di prosperità, avrebbero potuto aggiustare quelle due misere stanzette in cui vivevano tutti quanti. Ma il problema più grave era che c’erano ben tre figlie femmine da maritare, il che avrebbe comportato notevoli spese, se voleva sistemarle con persone per bene.
-Oh, Shiva, - pregava Ashoka, appollaiato sul carrettino in attesa di clienti - fammi guadagnare molto. La più grande delle mie figlie, Rada, ha vent’anni e dovremo fare una grande festa per il suo matrimonio. Vedi, stiamo cercando il marito adatto a lei, perché possa andare a vivere in una casa e non in una baracca come la nostra…
-Un cono, per favore!- qualcuno chiedeva – fragola e cioccolato.
-Dieci rupie.
-Shiva, - supplicava ancora l’uomo - fai che oggi possa vendere tutto il mio gelato!
- Due coni da venti rupie: papaya e mango.
- Un cono di crema…-
La giornata era stata buona e con essa molte altre: Ashoka, la sera, con le tasche zeppe di rupie spingeva il suo carrettino su per Puza Road, fino al gruppo di capanne dove lo aspettava la famiglia. Poi, dopo aver mangiato una ciapati e qualche lenticchia, si stendeva a terra sul pagliericcio e si addormentava.
La mattina presto, infatti, dopo essersi rifornito di gelati, ripartiva per Puza Road. Intanto, aveva preso l’abitudine di fermarsi al tempio di Shiva: lasciava per un attimo il suo carrettino davanti alla costruzione e, suonate le campanelle di buon augurio che si trovavano all’ingresso, entrava nel luogo fresco e pulito. Lord Shiva era là, sorridente e sereno con il suo tridente in mano e la compagnia del terribile serpente cobra.
- Forse potrò maritare mia figlia Rada con un nostro lontano cugino che ha un buon lavoro. Ma occorre molto denaro per i regali, per la dote… Usciva dal tempio fiducioso: Lord Shiva non si sarebbe dimenticato di lui.
Le giornate erano favorevoli: il caldo opprimente spingeva molti bambini, e persino gli adulti, a comprare i gelati. La sera, prima di dormire, contava le rupie guadagnate e faceva progetti. Anche i figli portavano a casa qualcosa e la moglie, finalmente, aveva potuto comprare alcuni piatti e bicchieri in metallo.
Ogni mattina, dunque, si riforniva di gelato, offriva un’elemosina al tempio e scendeva per Puza Road tra i vapori dei tubi di scarico delle centinaia e centinaia di mezzi che procedevano a zig zag, strombazzando avidamente sui clacson.
Finalmente, l’esistenza stava cambiando in suo favore. Gli affari andavano bene, i figli guadagnavano, Rada era stata fidanzata e, dopo pochi mesi, sarebbe avvenuto il matrimonio. Ashoka aveva iniziato a riaggiustare le due stanzette in cui vivevano dieci persone. Stava pensando anche di condurre un tubo con l’acqua corrente in casa, invece di andarla a prendere con i secchi a un rubinetto poco lontano.
Solo, sempre più spesso, si sentiva stanco, mangiava ancora meno e quando, qualche volta, finalmente, insieme alla ciapati, c’era qualche verdura di buona qualità o una ciotola di riso e un po’ di frutta, l’accoglieva senza entusiasmo. Un giorno, tossendo, aveva sputato del catarro mischiato a sangue. Non ci aveva badato molto, ma poi era successo altre volte.
I preparativi per il matrimonio si facevano più pressanti. Sarebbe stata innalzata una tenda e almeno quattrocento persone sarebbero state invitate a pranzo. Poi la festa sarebbe continuata fino a notte e la sposa, dopo aver girato intorno al fuoco con lo sposo per sette volte, sarebbe partita per la casa del marito.
Sempre più debole, pochi giorni prima del rito, Ashoka si era recato nell’ambulatorio dell’ospedale. Decine e decine di pazienti aspettavano pazientemente, in coda nella stanza spoglia, di essere visitati. Poi, probabilmente, non avrebbero mai avuto abbastanza rupie da comprare le medicine.
-Tubercolosi - era stata la diagnosi.
- È grave?
- Sì. Ormai siamo a uno stadio molto avanzato. Avresti dovuto venire prima.
- Non c’era mai tempo e mancavano sempre i soldi… Quanto potrò vivere? - aveva chiesto lui, già rassegnato.
- Nessuno può dirlo, ma certo non a lungo! Comunque, ti darò una cura.
- Grazie, mia figlia deve sposarsi presto e non voglio creare dei problemi.
Silenziosamente, era tornato a casa e aveva continuato, mattina e sera, a spingere il suo carrettino lungo Puza Road. Così pure aveva elargito le sue elemosine quotidiane al tempio del Dio Shiva, sempre sereno e ben accogliente.
E, finalmente, il giorno del matrimonio era giunto. La sposa, bellissima, adornata di gioielli, con le mani e i piedi decorati con disegni all’henné, aveva affrontato la funzione sotto gli occhi commossi dei parenti e del padre.
Quindi, Ashoka, senza che nessuno se ne rendesse conto, era rientrato nella sua meschina casupola e si era steso sul giaciglio di paglia. Davanti ai suoi occhi, ecco, era giunto il serpente di Shiva. Grande, imponente, la sua sola testa riempiva l’intera stanza ed esso si dondolava spalancando le sue tremende fauci. Il resto del corpo, enorme, lucido di scaglie, era arrotolato dietro il capo che si ergeva osservando Ashoka pacatamente.
-Sono tanto stanco, non so trovare la forza per continuare questa festa -
Ashoka si era addormentato.
I commensali mangiavano, bevevano, conversavano e ascoltavano musica sotto la grande tenda della cerimonia. A notte fonda, prima che la sposa partisse per la casa nuziale, Ashoka si era alzato dal pagliericcio ed era andato a salutarla.
L’indomani sarebbe stata una giornata di lavoro, come sempre. Una parte del banchetto era ancora da pagare e occorrevano tanti e tanti soldi.
Ma gli affari seguitavano ad andare bene: sembrava quasi un sogno che, in pochi mesi, tutti i debiti fossero stati saldati!
-Oh, Lord Shiva, ti ringrazio! Rada è sistemata, i due ragazzi lavorano. Tra qualche anno ci saranno le due bambine da maritare ma anche i maschi più piccoli potranno lavorare. Se gli affari procedono bene, potremo avere un po’ di benessere. Presto, uno dei figli potrà prendere il mio posto al carrettino e chissà… che io non possa un po’ riposare! Lo so, sono molto malato, le forze mi abbandonano ogni giorno di più ma… sarà fatta la tua volontà.
Ashoka aveva offerto, come ogni mattina, una coroncina di fiori e una piccola elemosina. Poi, aveva riaffrontato Puza Road. L’aria sembrava ancora più irrespirabile e il cielo spesso e plumbeo rendeva l’atmosfera più pesante. I dieci milioni di abitanti della città sembravano transitare tutti di là, a quell’ora, con i loro tubi di scappamento che emettevano densi fumi nerastri che bruciavano gli occhi e penetravano nei polmoni.
Autobus e camion lo sorpassavano strombazzando.
Fu così che proprio un camion, per evitare un gruppo di taxi e risciò fermi alla sua destra, non riuscendo a frenare in tempo, aveva sterzato verso il bordo sinistro della carreggiata.
Davanti ad Ashoka era apparso l’eminente serpente di Shiva: questa volta riempiva tutta la strada miracolosamente vuota e pulita e la sua smisurata testa si alzava su, fino al cielo, splendidamente terso e profumato. Il cobra si dondolava al ritmo di una musica dolcissima e apriva la bocca sconfinata: un tunnel nero verso l’infinito. Ashoka, dunque, vi era entrato, sempre spingendo il suo carrettino, e si era avviato per i sentieri dove esiste solo riposo e pace. Shiva, il distruttore, l’avrebbe ripreso e ricreato, un giorno, per vivere un’altra vita e perfezionare il suo spirito.
Sulla strada, intanto, l’autista del camion, che si era accorto di aver investito qualcuno, era sceso dal mezzo, mentre la folla si assiepava intorno.
Ma nessuno aveva trovato la vittima.
Nella disadorna stanzetta dove aveva vissuto Ashoka, sul suo vecchio pagliericcio, però, un piccolo cobra aveva preso il suo posto. Nessuno lo avrebbe mai disturbato né esso avrebbe mai fatto del male ai componenti della famiglia. E gli affari sarebbero andati sempre bene.

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