POETANDO
venerdì, luglio 30
PONTIFEX, DYLAN ON THE GREAT . Straordinario remake italo-cinese di Acquaraggia - RENATA RUSCA ZARGAR
PONTIFEX, DYLAN ON THE GREAT WALL
Straordinario remake italo-cinese di Acquaraggia
Bob Dylan è, senza dubbio, un grande che ha lasciato per sempre la sua impronta nella Storia della Letteratura e della Musica.
Giuseppe Oliverio, in arte Acquaraggia, propone oggi, insieme ad altri musicisti, un disco che riprende lavori degli anni ’60-’70 di Bob Dylan.
La visione di entrambi gli artisti è un mondo che esisteva anche a quei tempi, mai realizzato, ma oggi più consapevole negli aspetti immaginifici e positivi insiti in una globalizzazione che possa essere rispettosa dei diritti umani di tutti.
L’album, che si intitola “Pontifex, Dylan on the Great Wall”, ci riporta, infatti, ai Ponti tra le Civiltà, con 11 tracce riprese dalle canzoni più significative di Dylan (Blowing in the wind, Knoking on the heaven’s doors, Lei lady Lei, All along the watchtower, ad esempio).
Il segreto dell’eccezionalità è, però, che i musicisti della band di Acquaraggia sono completati da musicisti cinesi e tibetani che usano il Guzheng (una cetra a 21 corde, tipica delle orchestre che suonavano alla corte imperiale) o le pervadenti risonanze delle campane tibetane.
Persino la confezione del Cd è metaforica, sia per l’inserto di un Dylan degli anni giovanili e di un tratto della Grande Muraglia nel libretto interno, che per i testi scritti in tre lingue: mandarino, italiano e inglese.
Il brano “Just Like a Woman”, tra gli altri, considerato tra le migliori composizioni di Dylan, al di là delle polemiche suscitate a quel tempo sull’interpretazione della figura femminile, prende ora nuova vita nell’interpretazione di Acquaraggia.
(L’incantevole video della canzone al link: (18) Just Like a Woman Pontifex - YouTube)
La Grande Muraglia rappresenta, così, un’antica e meravigliosa civiltà che si esprime anche nella stupefacente musicalità degli strumenti orientali.
La donna è, finalmente, indiscussa protagonista: nel canto di Ming Xin Zhang, nei suoni di Nie Xin, Mei e Itong Wan, Zhou Bing Jie, Ciao Fan, e nella loro presenza dolcissima, colorata e determinata.
Un brano, dunque, che è per sé stesso Poesia, mentre vive nelle immagini di una terra fertile di fiori e d’Amore.
Il Pianeta, ormai, dà forti segnali di non accettare più la nostra presenza crudele e assassina.
Chissà che non sia l’Arte, unione tra civiltà, culture, Oriente, Occidente, a insegnarci una diversa strada da seguire.
Renata Rusca Zargar
Le prime 500 copie del Cd contengono un popup fatto a mano.
L’album è ordinabile sul sito www.acquaraggia.it
alla mail giuseppe@acquaraggia.it
giovedì, luglio 29
LA VOLONTÀ DI DIO - ANTICA LEGGENDA ORIENTALE di RENATA RUSCA ZARGAR
mercoledì, luglio 28
LA STELLA GIALLA DELLA DITTATURA SANITARIA di RENATA RUSCA ZARGAR
La stella gialla della dittatura sanitaria
In questi giorni mi stanno arrivando alcuni messaggi e persino dei filmatini che inneggiano alla “Libertà”, spingono a “respirare aria fresca, uscire, ballare”. unendo agli slogan foto di catene spezzate e di fili spinati a noi ben noti.
Non solo. Mi si chiede se il prossimo DPCM imporrà un triangolo o una stella gialla per la sicurezza collettiva. Mi si avvisa, inoltre, che i nazisti non hanno iniziato dai campi di sterminio ma dalle restrizioni di alcune libertà.
Purtroppo, queste persone che si sono prese la fatica di insegnarmi la Storia del secolo scorso, hanno, però, la memoria cortissima.
Non ricordano l’ultimo anno e mezzo della nostra vita.
Solo nel 2020, si sono registrati, in Italia, 100000 morti in più dell’anno precedente (ISTAT). Inoltre, si è trattato di persone decedute da sole, con un tubo in gola, senza un parente a stringergli la mano per accompagnare il passaggio. Un orrore per sé stesse e per chi le amava e non potrà mai farsene una ragione. Abbiamo, poi, già dimenticato i camion che portavano via file interminabili di bare perché non c’era più spazio nei cimiteri? Peggio delle Guerre Mondiali.
Io penso, però, anche a quelle persone che non sono state ricoverate in ospedale perché non c’era più spazio neppure là: terapie intensive, reparti, Pronto Soccorso, assediati dagli infermi.
Mi sono chiesta molte volte se, ipoteticamente, ci fossimo ammalati io e mio marito e avessero potuto (come è successo ad altri) portare in terapia intensiva uno solo di noi, chi avrebbero scelto: me o lui?
Un interrogativo devastante.
Per questo, io non ho dimenticato e credo che dobbiamo grande rispetto agli esseri umani che hanno sofferto così tanto.
Libertà! Tutti vogliamo essere liberi, soprattutto dalla malattia e dalla morte perché, dopo, non ce ne faremmo più nulla della libertà.
Mi viene citata, quindi, la “dittatura sanitaria”!
Nel mondo, nei paesi che ironicamente chiamiamo in via di sviluppo, cioè poveri, non esiste la Sanità Pubblica. Praticamente, tutte le persone sono liberissime di ammalarsi e di morire senza potersi curare se non sono ricchi.
Io credo che se si offrisse loro la nostra “dittatura sanitaria” e la nostra lunga aspettativa di vita, sarebbero ben contenti di fare cambio con noi. Penso all’India, ad esempio, all’Africa, dove, spesso, gli ospedali pubblici sono strutture in cui noi non andremmo neppure a toglierci un callo e le medicine sono pure a pagamento.
È vero, però, che certi popoli sono meno colpiti da questo virus che è talmente subdolo e orrendo che uccide chi non è più giovane o ha delle patologie (che, normalmente, qui siamo in grado di curare) e, per altri, invece, si presenta asintomatico o paucisintomatico.
Quando sono andata in Togo, con l’Associazione di volontariato “Savona nel cuore dell’Africa”, eravamo alloggiati in un ostello nella brughiera (non un comodo resort), e siamo stati, poi, anche due giorni e una notte in un villaggio dove non c’era acqua né elettricità. Parlando con il figlio del capo villaggio, egli ci aveva spiegato che loro hanno grande rispetto per gli anziani. Abbiamo chiesto, allora, di conoscerne uno e siamo stati condotti a una tomba perché nel villaggio non c’erano anziani (che poi, magari, per loro, come un tempo da noi, anziano significa cinquant’anni o anche meno).
Ovvio che il Covid colpisca poco e, poi, da quelle parti, quando muore una persona, chi gli farebbe mai un tampone?
Io sostengo che tutti i Paesi, invece di spendere nelle armi, dovrebbero avere la sanità pubblica ma, per ora, non è così.
Dunque, io provo pietà e dolore per chi non si può curare e non penso affatto che sia più libero di me, anzi!!!
Infine, nominare i Campi di concentramento e di sterminio per non fare un vaccino (quando i nostri figli li fanno appena nati, - per fortuna- e anche noi ci siamo salvati da poliomielite, vaiolo, difterite e molto altro), mi sembra una vergogna.
Oppure indossare la stella gialla per non avere un Green Pass perché lede la privacy, cioè tutti sapranno che abbiamo fatto un vaccino, è un’offesa alla Memoria della Shoah.
Mio padre, durante la Seconda Guerra Mondiale è dovuto rimanere nascosto per non essere mandato in campo di concentramento oppure arruolato nelle milizie fasciste. Tanti Italiani sono stati, invece, deportati e tanti sterminati.
Lo sterminio, la stella gialla, il triangolo, sono soggetti che non dovrebbero essere ridicolizzati per qualche proprio fine. Rappresentano milioni di morti.
Tra l’altro, ho notato che, negli assembramenti di protesta, spiccano gruppi e partiti che mai hanno rinnegato la dittatura fascista e mai hanno dichiarato il male che ha fatto a noi e al nostro Paese tale dittatura assassina.
Sono loro che ci renderanno liberi?
Infine, le Big Pharma guadagnano troppo.
È vero.
Il vaccino deve essere libero per tutti. Chi l’ha scoperto ha diritto di essere ampiamente ricompensato ma non deve avere un extra-guadagno.
Esiste per questo una Petizione da firmare affinché il vaccino sia un bene della società tutta, in tutti i paesi
Petizione · Presidenza del consiglio dei ministri, Governo Italiano: Vaccino Bene Comune · Change.org (in caso, sempre su Change.org, ce ne sono anche altre).
Poi, si può scendere in strada, non per “spezzare le catene” della nostra ricca società, ma per spezzare quelle di chi non ha nulla: i bambini in Africa che non possono essere vaccinati perché le famiglie non hanno denaro, che muoiono di morbillo, di fame e di malaria. Possiamo manifestare contro la mancata speranza di vita delle donne che partoriscono ancora in terra a fianco della loro capanna o contro di noi che portiamo via le ricchezze ai Paesi che abbiamo reso poveri rendendo queste mostruosità possibili.
Per queste cose, sì, sarebbe sacrosanto manifestare e spezzare le catene della nostra crudeltà.
Renata Rusca Zargar
martedì, luglio 27
LA RESISTENZA MAPUCHE di RENATA RUSCA ZARGAR
FONOSIMBOLISMO E ALTRO ANCORA di DANILA OPPIO
FONOSIMBOLISMO E ALTRO ANCORA
Vento impietoso
Soffia e sibila il vento
Furioso
Scricchiolano infissi e usci
Frusciano sui rami le foglie
Secche e si staccano
Dagli scheletrici rami
Sradica e schianta
Gli alberi sull’arido suolo
Impietoso.
(Danila Oppio: scritta oggi, 27 luglio 2021)
Angoscia
Scivola
Sul lastrico della strada
Strazia
Lo stridore dei freni
Una rossastra
chiazza s’espande
Schianta l’anima
e l’angoscia pervade.
(Danila Oppio: scritta ieri, quand’ero adolescente)
La scelta dei vocaboli rende col loro suono, l’effetto simbolico e musicale dei versi. Con altri sinonimi, non offre la stessa impressione. Da ragazza non sapevo cosa fosse il fono-simbolismo, ma lo avevo intuito. Ora il mio maestro - Prof. Roberto Vittorio di Pietro di Torino, per anni critico letterario presso la RAI, e insegnante di poesia, oltre ad essere un ottimo poeta e giudice di varie giurie - mi ha dato modo di apprendere come utilizzare le parole per rendere, col loro suono, effetti particolari. Non ho particolare simpatia per D’Annunzio, ma in La pioggia nel pineto, usa un perfetto fono-simbolismo: suona, e par sentire lo scroscio o il tamburellare della pioggia.
Riguardo alla metrica, alle rime baciate o alternate, alle quartine, giusto per dare un esempio, secondo me sono costrizioni e costruzioni tali da tagliare le gambe a chi cerca di comporre una buona poesia. Infatti, la ricerca disperata della rima, della metrica, dei versi della stessa lunghezza (quartine, ottave, ecc) toglie la libertà di esprimere al meglio il proprio sentire poetico. A meno che non pensiamo d’essere tutti Dante o Petrarca, Leopardi o Pascoli, diventa davvero complicato e ostico poetare servendosi della metrica perfetta, o delle rime.
Apprezzo le rime tra la fine di un verso e una parola interna di un altro verso, come in Leopardi:
Odi greggi belar, muggire armenti,
gli altri augelli contenti a gara insieme.
Splendida forma poetica.
Ci sono poi le assonanze, quelle che maggiormente amo.
A questo punto, per maggior chiarezza, preferisco servirmi, perché mi trova in sintonia, del testo di Mario Macioce:
La metrica italiana
tratto da L'Alfiere, rivista letteraria della "Accademia V.Alfieri" di Firenze
anche se sono informata di tutto questo, ma così è ben spiegato, che di meglio non potrei fare.
Ci sono poi le ... quasi rime.
- Assonanza (o rima imperfetta): stesse vocali ma consonanti diverse, come cuore - dote
- Consonanza: stessa finale ma vocale tonica diversa, come velo - solo
Queste e altre figure ritmiche, secondo me, vanno bene in una poesia in versi sciolti o comunque priva di uno schema metrico regolare.
Ma, se si sceglie liberamente (non ci obbliga nessuno) di fare una composizione dalle regole precise e codificate, come un sonetto, un rondò o anche solo una serie di quartine in rima, inserire una (o qualche) assonanza o consonanza più che sembrare una variante stilistica, dimostra che non si è saputo fare di meglio!
Ed è sempre preferibile, per qualunque verso mal riuscito o con una parola inadatta o con una rima sforzata, falliti tutti i tentativi di salvataggio, gettar via una rima o un verso o anche una strofa, piuttosto che sciupare l'intera poesia.
Capita spesso che belle composizioni, ricche di qualità e d’idee, siano trascinate verso il basso da uno o pochi versi, non all'altezza degli altri, lasciati per pigrizia o per lo sciocco orgoglio di dire: "Mi è venuto così e va bene così!"
L'ispirazione deve, sì, essere spontanea, ma pensate a un pittore; se dopo aver avuto un'intuizione geniale e magari buttato giù uno schizzo, non passasse giornate intere a dipingere, correggere, osservare, migliorare, nessun capolavoro vedrebbe mai la luce!
Il modo più semplice e immediato di far rime è quello di abbinare i versi a due a due, facendone rimare uno con il seguente; esempio:
Meriggiare pallido e assorto A
presso un rovente muro d'orto, A
ascoltare tra i pruni e gli sterpi B
schiocchi di merli, frusci di serpi. B
(Eugenio Montale)
Le lettere accanto ai versi rappresentano il tipo di rima: indicano che i primi due versi hanno la stessa terminazione e quindi rimano fra loro; così anche gli altri due rimano fra loro, ma in modo differente dai primi.
Questa rima fra versi contigui si dice " baciata ".
Attenzione: se i versi che rimano fra loro sono così vicini, l'effetto è molto forte. Poiché la moda dal Novecento tende a eliminare la rima o a relegarla in serie B (specie da parte di chi non riesce a fare rime decenti), conviene non abusare della rima baciata, soprattutto in poesie lunghe. C'è il rischio della filastrocca un po' infantile, anche se una poesia veramente bella può superare questa trappola, come dimostra " La cavalla storna " del Pascoli, tuttora molto godibile e coinvolgente. Non è prudente però sfidare Pascoli!
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d'otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.
Altro schema di rime molto usato, in quartine o strofe più complesse, è la rima " alternata ", che si fa appunto alternando due terminazioni:
Nude, le braccia di segreti sazie, A
A nuoto hanno del Lete svolto il fondo, B
Adagio sciolto le veementi grazie A
E le stanchezze onde luce fu il mondo. B
Al solito le lettere simboleggiano le terminazioni e indicano che il primo verso rima con il terzo e il secondo con il quarto. Un altro schema è quello della rima " incrociata "; ad esempio:
Spesso il male di vivere ho incontrato: A
era il rivo strozzato che gorgoglia B
era l'accartocciarsi della foglia B
riarsa, era il cavallo stramazzato. A
(Eugenio Montale)
La rima " incatenata " si ha nelle terzine dantesche (cioè con lo stesso schema usato da Dante nella Divina Commedia), come qui:
Su la riva del Serchio, a Selvapiana A
di qua dal ponte a cui si ferma a bere B
il barrocciaio della Garfagnana A
da Castelvecchio menano, le sere B
del dì di festa, il lor piccolo armento C
molte ragazze dalle trecce nere. B
Siedono là sul margine, col mento C
sopra una mano, riguardando i pioppi D
bianchi del fiume; e parlano. Ma il vento C
(Giovanni Pascoli)
È una composizione in terzine incatenate anche "Le ceneri di Gramsci" di Pier Paolo Pasolini, ma in questo caso sarebbe dura chiamarle "dantesche", perché il Poeta, forse per dare un sapore popolaresco alla sua poesia, si concede troppi sconti di metrica e di rima.
Non è di maggio questa impura aria A
che il buio giardino straniero B?
fa ancora più buio, o l'abbaglia A?
con cieche schiarite ... questo cielo B
di bave sopra gli attici giallini C
che in semicerchi immensi fanno velo B
alle curve del Tevere, ai turchini C
monti del Lazio ... Spande una mortale D
pace, disamorata come i nostri destini, C
. . . . .
Ci sono poi altri schemi, che sono, quasi sempre, combinazioni o varianti di
questi. Comunque, in fatto di rime, l'unico limite è nella fantasia (salvo nel caso di forme poetiche dalle regole precise e codificate, come il sonetto e il rondò).
C'è poi la possibilità di usare la rima ... con parsimonia, per esempio facendo strofe in cui alcuni versi rimano e altri no, oppure inserendo rime sparse in una poesia in versi sciolti (cioè - ricordate? - veri versi in metrica, ma che non seguono un particolare schema di strofe e di rime, e che possono anche essere di lunghezza diversa).
A mio giudizio, invece, è bene non usare le rime nelle poesie in versi liberi, perché in queste, che hanno il tono discorsivo della prosa e del racconto, più o meno lirico, le rime stonano e appaiono sforzate, così come stonerebbero in un qualsiasi testo in prosa.
Le strofe e le forme metriche
La strofa è un raggruppamento di versi in un più ampio periodo ritmico. Se le poesie sono rimate, quello che unisce un gruppo di versi in genere è proprio il gioco delle rime.
Naturalmente la strofa più semplice è quella di due soli versi; un esempio famoso si ha ne "La cavalla storna" del Pascoli, formata da distici (cioè coppie di versi) a rima baciata.
O cavallina, cavallina storna, A
che portavi colui che non ritorna; A
tu capivi il suo cenno ed il suo detto! B
Egli ha lasciato un figlio giovinetto; B
Strofe di tre versi sono le terzine della Divina Commedia o quelle di "Le ceneri di Gramsci" di Pasolini.
Un altro esempio di terzine incatenate è questa breve poesia di Pascoli.
Dov'era l'ombra, or sé la quercia spande A
morta, né più coi turbini tenzona. B
La gente dice: Or vedo: era pur grande! A
Pendono qua e là dalla corona B
i nidietti della primavera. C
Dice la gente: Or vedo: era pur buona! B
Ognuno loda, ognuno taglia. A sera C
ognuno col suo grave fascio va. D
Nell'aria, un pianto ... d'una capinera C
che cerca un nido che non troverà. D
Esempi di "quartine", cioè strofe di quattro versi si trovano in "Canzone" di Ungaretti e in "Meriggiare pallido e assorto" di Montale, citate in precedenza a proposito di rime.
Sono quartine le prime due strofe dei Sonetti e tutte le strofe dei Rondò.
Le quartine sono generalmente rimate a rima alternata (schema A B A B) o a rima incrociata (A B B A), ma possono essere rimate in parte, per esempio solo i due versi interni, oppure solo il primo e il terzo.
Sarebbe bene però, dopo avere scelto un qualunque schema di rima, mantenerlo in tutte le strofe. Cambiare schema, anche se gli autori moderni a volte lo fanno, rende la poesia un po' meno gradevole e può denotare una certa difficoltà nel far convivere il contenuto con la forma, e questo è comunque un limite.
(nota mia: o volte capita di leggere poesie in quartine, che sembrano forzate, prive di grazia e di musicalità perché rimare per forza toglie l’estro poetico, e si rischia anche di cadere in molte ripetizioni e nell’uso di vocaboli poveri) Qualcuno sosteneva che le rime baciate o alternate nelle quartine, aiutano a portare a memoria l’intera poesia, come accade con i testi delle canzonette. Ma oggi non si usa più memorizzare e recitare le poesie: si leggono e non importa se sono prive di rima o di metrica, quel che conta, è che tocchino il cuore dei lettori perché sanno trasmettere emozioni forti. Il resto è noia!)
Altri tipi di strofe più lunghe le vedremo poi parlando di composizioni.
La gamma entro cui spaziano le creazioni poetiche è vastissima. Si va dalle cosiddette "poesie in versi liberi", cioè prive di qualunque regola, alle forme metriche chiuse, che hanno al contrario regole molto precise; dai poemi lunghi come la Divina Commedia (oltre 14000 versi) alle illuminazioni di un verso solo. (Come Ungaretti in Mattina “M’illumino d’immenso”)
In questo caso, però, o si tratta di un'intuizione veramente geniale o è una solenne sciocchezza! Altrimenti sarebbe troppo facile essere poeti).
§§§
La disquisizione di Macioce prosegue, ma mi fermo qui, perché mi pare che sia già sufficiente ad illuminare chi desidera occuparsi di poesia, dando alcune tracce e consigli, per non rischiare di cadere nel banale. Per quanto mi riguarda, considero POESIA ogni stile poetico, ma la mia preferenza cade sulle composizioni che trasmettono musicalità, non importa se in versi sciolti o legati alle formule più complesse. Lo stile è una cosa, il contenuto capace di trasmettere emozioni, è altra. Così mi viene questo distico in decasillabi a chiusura:
Le foglie verdi ondeggiano al vento
dove la rima pone l’accento.
Mi perdoneranno i maestri della poesia se questi due versi non sono perfetti, se lo sono, allora ho imparato qualcosa!
Danila Oppio
LE PAROLE DEL VENTO: Scambio di corrispondenza con il poeta UMBERTO DRUSCHOVIC : un grande onore
tramite i cari amici Alessandra e Lorenzo, che mi leggono in copia, ho ricevuto alcuni giorni or sono il suo commento riguardo il mio libro "Le parole del vento". Sono sincero, non trovo parole sufficientemente adeguate per ringraziarla per quel documento di cui mi sento davvero onorato!
Con molta modestia lei definisce il suo scritto come semplici "impressioni di lettura" ma mi permetta di dissentire: la sua è una vera e propria recensione, senz'altro la più bella in assoluto nei termini usati e nei significati, oltre che la più esaustiva e dettagliata tra le tante ricevute per questa mia nuova raccolta.
Quello che lei ha fatto è un meraviglioso esame critico, serio e articolato, delle mie umilissime poesie; un esame che evidenzia, mi consenta di dirlo, tutta la sua competenza non solo in campo letterario ma anche in quello più squisitamente linguistico e lessicale. Qualità, queste ultime, che raramente riscontro in altri contesti.
È stato per me un grande piacere ma anche, e soprattutto, un onore constatare come lei abbia fermato la sua attenzione sulla "sostanza fonico-ritmica", sulla musicalità - caratteristica raramente evidenziata e apprezzata da altri commentatori - che nel mio caso lei definisce "...tale da avvertirne il canto dentro l'anima". Mai prima d'ora avevo ricevuto, signora Danila, parole così soavi e gratificanti per le mie poesie. Espressioni come "profonda spiritualità" oppure "viscerale amore per la Natura" mettono in luce tutta l'attenzione., la competenza e l'introspezione semantica che lei ha profuso nell'esaminare i miei versi.
Le sue sono parole che mi riempiono il cuore. Non le nascondo che quando ho letto la prima volta la sua recensione mi sono sinceramente commosso. Davvero, non so come ringraziarla per il suo commento meraviglioso che é per me un vanto e un onore!
Spero si crei in futuro una fausta occasione per conoscerla di persona. Intanto, un grande e sentitissimo grazie!
Con sincera stima e gratitudine.
Umberto Druschovic
Carissimo Poeta,
Sono io a esserle grata per avermi dato la possibilità di leggere la sua preziosa silloge poetica, attraverso la mediazione dei nostri amici Alessandra e Lorenzo.
In precedenza, avevo apprezzato moltissimo la singola poesia LE PIETRE DEL TEMPO, in versione video, e VOLTO D'AMORE che, a suo tempo, ho pubblicato sul Blog Versi in Volo che ho creato e amministro.
Da quei due componimenti avevo "letto" la sua anima, per questo mi è stato facile scrivere le mie "impressioni di lettura", conoscendo già il suo sentire poetico e umano.
Non mi stanco mai di ripetere che la poesia deve somigliare alla musica, se non "suona" dentro l'anima, la lascia indifferente. E le sue liriche sono uno scampanio continuo. Tant'è che mentre leggevo, le canticchiavo sottovoce.
Ora sto vivendo "di corsa", per i molteplici impegni domestici e familiari, che non lasciano neppure il tempo di occuparmi della mia scrittura. Appena recupererò i miei spazi vitali (tali considero il dedicarmi alla scrittura personale e alla lettura di buoni libri) conto di pubblicare, di volta in volta, una selezione delle poesie raccolte nel suo libro LE PAROLE DEL VENTO, ovviamente se me lo consentirà.
In questi ultimi tempi, dando una sbirciata alle visualizzazioni del Blog, ho notato che totalizzano circa 10.000 visite mensili, mentre in passato sommavano a circa la metà. Ho pensato che Versi in Volo è così diventato un buon veicolo per dare maggior visibilità a chi la merita e, indiscutibilmente, a lei spetterebbe molto di più.
Sono veramente grata ai nostri comuni amici, ad Alessandra in particolare, con la quale ci troviamo a trattare molti argomenti, in primis la scrittura e la buona lettura e sull'arte in generale, di averci messo in contatto.
Soprattutto per avermi fatto conoscere le sue poesie, che per me, che sono solo "una che ci prova a scrivere in prosa e in poesia", sono di altissima qualità.
Certo, ho avuto anch'io, come lei, alcuni riconoscimenti, ma mi rimane il dubbio sulla competenza delle varie giurie che, a detta di un amico poeta (è lui che mi ha sollecitato a partecipare ai concorsi letterari, non mi sarei mai sognata di farlo, poiché consideravo le mie opere di nessun valore) spesso le stesse operano con la pancia, invece che con la mente. In sostanza, vanno a simpatie, e spesso non possiedono un'adeguata preparazione.
Quindi, umilmente, penso che certi premi ottenuti, io non li abbia meritati.
Al contrario, ogni riconoscimento che lei ha ottenuto, ne è degno.
Se le mie povere parole, nate di getto, sono state da lei gradite, ne sono felice. Ho scritto quello che il cuore mi dettava.
Le auguro di continuare a commuovere i suoi lettori, e che non venga mai a mancare la sua verve poetica.
Dicevo ad Alessandra che chi possiede doni speciali, artistici o di altro genere, ha il dovere di distribuirli al prossimo, al modo dei vasi comunicanti, non li deve tenere per sé, e neppure se ne faccia un vanto, sono elargizioni del Cielo, e lì salgono, come preghiera a Dio. Sono omaggi che emozionano chi li riceve, sotto forma di scrittura, o di arti figurative. Saper scrivere, poetare, dipingere, scolpire o comporre musica, è qualcosa di meraviglioso. E lei possiede uno di questi splendidi doni.
Spero anch'io di poter stringere la mano che ha vergato liriche di alto livello, la sua!
Buon proseguimento e ad maiora! Con immensa stima.
Danila Oppio
sabato, luglio 24
RISPOSTA A P. MAURO ARMANINO di DANILA OPPIO
A Padre Mauro Armanino ho risposto così, aggiungendo qui qualche altra considerazione.
Ho già pubblicato sui miei due blog il tuo articolo, che mi ha profondamente colpito. La libertà è sempre stata una grande utopia. Se pensiamo alle guerre nella Storia dell'umanità, i soldati che partivano per il fronte erano obbligati da chi comandava, non importa se non erano disposti a uccidere "il nemico", se non volevano perdere la propria vita, semplicemente DOVEVANO. E in tutto il resto, anche oggi siamo obbligati ad aderire alle presunte leggi emanate dai vari governi, come quella del Green Pass (che possiedo, avendo ricevuto i due vaccini OBBLIGATORI). Scegliere la LIBERTÀ di non aderire, significa tagliarsi le gambe, non poter espatriare, partecipare a riunioni e congressi. Eppure, da quanto ho saputo, il Green Pass è anti-costituzionale, l'obbligo del vaccino lo stesso e mi sono presa dei grandi liscio e busso, da chi è No-Vax, no Green Pass, dicendomi che sono disinformata, che faccio parte del gregge dei poveri imbecilli che seguono certi dettami senza ragionare. Ho risposto che sono uscita dalla scuola di Garibaldi, e ho imparato a rispondere "Obbedisco". La contro risposta è stata: "Garibaldi era un tagliatore di teste!". Controbatto dicendo: Mi è stato detto che in questo modo siamo tutti registrati, controllati. Da tanto tempo siamo registrati ovunque: con i documenti come Carta d'Identità, Passaporto, all'Anagrafe, con la Tessera Sanitaria, e soprattutto, presso la Banca Dati Mondiale. Che novità sarebbe possedere un altro documento che attesta, in fondo, la libertà di potersi muovere a piacere, garantendo che non siamo contagiosi, e che soprattutto non vogliamo contagiare il nostro prossimo. Mi pare un gesto di civiltà, quello di vaccinarsi e di ottenere così il Green Pass. Ma sento che in Francia migliaia di giovani si sono ribellati a tale imposizione, così come leggo, se le notizie sono sincere, che i grandi raduni hanno rialzato i contagi in maniera esponenziale. Il timore di morire per una dose di vaccino può anche starci, ma senza quello, le morti per Covid sarebbero innumerevoli. So che i vaccini antivirali non sono stati a lungo testati, ma piuttosto che niente, è meglio piuttosto.
Ho sempre seguito le norme igieniche, quelle indicate dal Ministero della Sanità, perché questo Covid ha fortemente colpito il mondo intero. Se esiste la speranza che i vaccini allontanino la possibilità di contagi, perché non accettare la probabilità (non dico certezza) di uscire da questo tunnel? Rifiutare il vaccino e il Green Pass significa, a mio vedere, dover vivere nella situazione di essere persone grandemente soggette al contagio, e a nostra volta, di essere portatori dello stesso. E a proposito di libertà, ho sempre tenuto in mente che la mia libertà finisce dove oltrepasso e calpesto la libertà altrui. Quindi, se non mi fossi vaccinata e richiesto il Green Pass, sono una potenziale calpestatrice del mio prossimo!
Scusami, non so se sono stata in tema, seguire alcune regole, imposte sì, ma utili, penso sia segno di civiltà. Tenuto debito conto che la libertà personale di accettare o no certe regole, è indiscutibile, devo rassegnarmi alla libera scelta di chi non aderisce al vaccino, che ha diritto di morire come desidera, ma di far morire altri, non credo proprio, poiché si trasformerebbe in un potenziale assassino!
Eccoti i link, ho "pescato" una bella foto, tra tantissime, dello scrittore-filosofo francese Glissant, per illustrare questo tuo interessante articolo che porta a riflettere.
http://ilparadisononpuoattendere.blogspot.com/2021/07/il-diritto-allopacita-filosofie-di.html
https://versiinvolo.blogspot.com/2021/07/il-diritto-allopacita-filosofie-di.html
Danila
IL DIRITTO ALL'OPACITÀ, FILOSOFIE DI SABBIA di P. MAURO ARMANINO
Il diritto all’opacità,
filosofie di sabbia
…’Per questo io chiedo per tutti il diritto all’opacità. Non mi è più necessario ‘comprendere’ l’altro, cioè ridurlo al modello della mia propria trasparenza, per vivere con quest’altro o costruire con lui. Il diritto all’opacità sarebbe oggi il segno più evidente della non-barbarie’… Scriveva così, tra l’altro, Edouard Glissant, poeta, scrittore e saggista francese, originario delle Antille. Parole ancora più vere se messe nel contesto del ‘nuovo’ mondo nel quale, grazie anche all’invasività dei mezzi di comunicazione, tutto dev’essere visto e ‘compreso’ in tempo reale. La frontiera tra pubblico e privato è stata da tempo, almeno in Occidente, cancellata dalle confessioni pubbliche dei vizi e delle virtù di chi conta. Di riflesso, anche nel nostro continente che, a suo modo, cerca di resistere all’attacco incessante della ‘trasparenza assoluta’. Transparency International, ad esempio, è un’organizzazione non governativa che si occupa dell’ingiustizia della corruzione, non solo politica, in un centinaio di Paesi. Detta lodevole istituzione diventa, suo malgrado, come una parabola della strategia di rendere tutto ‘trasparente’, leggibile, comprensibile e soprattutto controllabile. Una società che, come quella occidentale, si avvicina paurosamente a ciò che ha ripudiato nel recente passato: la dittatura attraverso il sistema di controllo dei propri cittadini.
In Africa, come in altre parti del Sud del mondo, il colonialismo si veste e si presenta in modo differente ma, nella pratica, ribadisce il principio guida che lo anima da sempre: perpetuare il potere di dominazione sull’altro. Ciò si articola tramite i tecnici dello sviluppo e delle ‘religioni’, antropologi assoggettati e funzionali al sistema, organismi internazionali che vincolano gli aiuti e i progetti al pensiero unico egemonico dell’interesse. Alla base di tutto ciò si trova quanto Glissant afferma nel testo sopra citato e cioè la ‘riduzione’ dell’altro al modello della mia ‘trasparenza’. Adeguare l’altro al tipo di interpretazione del mondo che considero l’unica possibile e necessaria. Gli studi, i piani di sviluppo, le ricerche, le indagini e financo i più sinceri tentativi di avvicinamento culturale, risulteranno come viziati da questa postura, autentico ‘peccato originale’ di chi possiede il potere dello sguardo e della parola. Smarrito lo sguardo contemplativo, che ‘accarezza’ la realtà, sapendola più grande di sé, da rispettare nel suo silente mistero, si preferisce lo sguardo del ‘mercante’. Questa figura non è in sé banale perché è ciò che ha guidato, almeno in buona parte, le conquiste, i possedimenti, gli imperi e le guerre come conseguenza. Lo sguardo del mercante possiede come degli artigli che usano la realtà, persone e cose, da conoscere per sfruttare. L’idea della conoscenza come potere ha prodotto il mercante di cui anche la scienza è ormai una componente essenziale. Strada facendo abbiamo dimenticato che la conoscenza è fatta per contemplare la verità originaria da scoprire. Abbiamo smarrito questa maniera di conoscere e siamo diventati dei commercianti.
L’altro potere è quello sulla parola, un potere che crea e profana allo stesso tempo la realtà. Il potere di dichiarare una guerra, per esempio quella sanitaria, che si dice di ‘combattere’ in certe parti del mondo o di dichiarare uno stato permanente di urgenza temporanea. L’ordine di abbigliarsi con indumenti che, come le maschere, rendono solo più trasparente il regime nel quale si è costretti a vivere oggigiono, in alcune parti del globo terrestre. Si maschera il volto e, nel contempo, si smaschera il sistema che ordina i coprifuoco, i giorni possibili di preghiera e il numero di persone a tavola per un giorno di festa. Perché la parola abbia l’effetto sperato c’è dunque bisogno della trasparenza dell’immagine. Per questo ci sono le forze di polizia, telecamere in ogni angolo di strada, i droni a volteggiare e se questo non bastasse, i vicini di casa che, zelanti come sempre, denunceranno le infrazioni alla buona condotta imposta da leggi e decreti senza fine.
Ecco perché, di fronte allo sguardo che riduce l’altro a cosa e alla parola che lo umilia, qui si rivendica l’opacità. Il senso del mistero della vita, il ritorno e il ricupero delle iniziazioni in parte dimenticate o tradite, il segreto nelle parole che solo il rispetto può cogliere nel profondo, il silenzio dinnanzi al mistero della vita e la prossimità nel tempo del dolore e della morte, i legami con coloro che ci hanno preceduto e la paziente tessitura dei fili sottili che costituiscono la trama delle relazioni umane. L’opacità per evitare la barbarie.
Mauro Armanino, Niamey, 25 luglio 2021
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