POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

giovedì, marzo 31

LE STORIE DEI VECCHI CHE SONO LE NOSTRE di Giusi Fasano, Alessandra Giusti e Danila Oppio






















































Le storie dei vecchi che sono le nostre















Proviamoci noi a guardare la vita con gli occhi di un vecchio, uno in particolare: un uomo di 83 anni. Si chiamava Adriano Armelin, viveva in un appartamento al primo piano a Pieve di Soligo, Treviso. Siamo noi, quell’uomo. Proviamo a leggerla così questa storiaccia di cronaca. Siamo noi e siamo soli a casa, è ora di cena. È una sera come mille altre, abbiamo le nostre certezze, i nostri spazi, le nostre lentezze. Non sono gradite interferenze. E però la vita ha deciso che stasera nulla sarà più come prima. C’è un intruso in casa nostra. È giovane e forte, vuole prendersi quel che desidera e non gliene importa nulla di noi, del nostro spavento, delle nostre suppliche. 

Siamo paralizzati — che farà? sarà violento? ci ucciderà? — ma proviamo lo stesso a dire qualcosa, a chiamare qualcuno. Però quello ha in mano una bottiglia e la risposta alle nostre domande è nella sua furia, ci colpisce con violenza. Possibilità di difesa: praticamente zero. Siamo nel sangue, non abbiamo nemmeno più la forza di muovere un muscolo. Arrafferà qualcosa e se ne andrà, finalmente. E invece no. Mettendo assieme più disumanità di quanta ne serve per ridurci al silenzio e all’immobilità, quel tizio ci trascina fino al punto che gli sembra ideale per legarci, così sarà libero di frugare dove vuole e prendere quel che vuole. Ma non è lucido, fa cose senza senso. Esce da una finestra. Cade, si ferisce a una gamba saltando nel giardino del vicino ed è così poco presente a se stesso che si addormenta lì. Così finisce che lo catturano e lo consegnano ai carabinieri. A noi della sua sorte importa quanto a lui importava della nostra: niente. I nostri destini si separano qui e noi diventiamo quei vecchi raccontati dalla cronaca. 

Il racconto stavolta dice che Adriano Armelin non è sopravvissuto alle botte. E in questo tempo distratto, di occhi che planano sulle notizie passando oltre troppo in fretta, sarebbe già un omaggio fermarsi a leggere la sua storia fino in fondo. Immaginarlo. E riflettere sulle fragilità, le vulnerabilità e i bisogni dei vecchi. Sicurezza compresa.


§§§§


Questo articolo, ripreso dal Corriere della Sera e discusso con la mia cara amica Alessandra Giusti, evidenzia quanto poco ci soffermiamo sulla lettura di certi fatti di cronaca, ne siamo adusi, non ce ne importa nulla. Neppure di quella ragazza torturata, uccisa e fatta a pezzi. Se ne parla in questi giorni e quel che mi lascia interdetta, è che chi ne ha scritto si è soffermato molto sul fatto che fosse una porno diva o qualcosa di simile. Come se quel che faceva dasse diritto ad un bruto di farne quel che più gli piaceva fino a toglierle la vita. No, non mi piacciono le notizie costruite in questo modo. I vecchi vanno rispettati e possibilmente non lasciati soli in balia di personaggi pericolosi. Le donne vanno rispettate e non abusate al punto di sopprimerle. Brava Giusi Fasano che non si è limitata a scrivere un fatto di cronaca nera.  Agli altri cronisti, suggeriamo di dare un diverso taglio ai loro articoli. 


Danila Oppio e Alessandra Giusti

IO PER PUDORE di RODOLFO VETTORELLO

Mi capita di rado di pensarmi, di pensare a me, come sono e come posso apparire agli altri. Sarò come mi vedo ma alla mia età non ho più pudori.


IO PER PUDORE

Io, per pudore,

sono incapace di parole alate;

della chitarra adopero le corde

più dissonanti e sorde

e dell’amore

conosco solamente le maniere

del dire senza dire,

l’alludere che vuole far capire.

Ho in mente fantasie multicolori,

viaggi nei sogni

e desideri che non posso dire.

Vorrei poterti amare di un amore

che valica confini di pianeti,

accende luci e fuochi nei tramonti.

Vorrei stupirti con i miei ardimenti,

cogliere in cielo stelle da donarti

e sovvertire l’ordine di tutto

per apparirti unico e diverso,

un falco che si aggira in giri stretti

su prede inconsapevoli, un eroe,

un personaggio assurdo di fumetti.

Vorrei prenderti in braccio per portarti

in mondi sconosciuti e possederti

all’infinito come un dio d’amore.

Vorrei, vorrei, vorrei.

Io per pudore

mi siedo sempre all’angolo discreto,

resto in silenzio, ascolto e mi addormento.

Io per pudore

mi perdo quasi tutte le occasioni

e perdo te che mi vorresti ardito,

sfrontato ed arrogante come un falco.

Io per pudore

mi perdo tutto e perdo te e l’amore.

Rodolfo Vettorello


Rodolfo Vettorello


III EDIZIONE Concorso RICORDANZE di Cortemaggiore (PC): 200 anni dalla morte di NAPOLEONE racconto di DANILA OPPIO - 2° Classificato


Ho ricevuto oggi il premio conseguito per la III Edizione del CONCORSO RICORDANZE di Cortemaggiore, indetto da Circolo "L'AQUILONE" organizzato dalla Prof. CARLA MAFFINI. Un piatto dipinto a mano della Richard Ginori, munito di targa, il Diploma d'Onore e la silloge poetica delle poetesse Carla Maffini e Ornella Chiastri del 2020. 




Ed ecco il mio racconto:


DIALOGO FANTOMATICO CON ALESSANDRO MANZONI su Napoleone Bonaparte nel 200° anniversario della morte.

 La macchina del tempo mi condusse in via del Morone, a Milano, e mi ritrovai davanti al palazzo dell’autore dei Promessi Sposi, ma anche dell’elogio funebre di Napoleone, il famoso 5 Maggio. Dovevo assolutamente discutere con lui del senso di quella poesia, poiché mi è parso di intravedere ironia e amarezza sulle gesta del condottiero corso. L'avventura napoleonica raggiunse la sua apoteosi il 2 dicembre 1804, quando si autoproclamò Imperatore, nella cattedrale di Parigi, Notre-Dame. Bussai al portone, e chiesi di poter incontrare il conte Don Lisander, per discutere con lui riguardo alla poesia dedicata a Bonaparte. Mi accolse nel suo salotto, e m’indicò una comoda poltrona, dove accomodarmi. Arrivai subito al sodo, chiedendo lumi su alcuni versi.

Né sa quando una simile
Orma di piè mortale
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.

Me lo chiarisce in prosa:
- Tutti restano muti pensando alle ultime ore di quest’uomo inviato dal fato e nessuno sa dire quando un uomo simile tornerà di nuovo a calpestare la terra che lui stesso ha calpestato, lasciando un cammino sanguinoso.

- Esattamente come pensavo! Speriamo che nessun altro venga a calpestare il nostro suolo patrio! Proseguo con un altro verso.

Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del Creator suo spirito
Più vasta orma stampar.
 
Manzoni spiega:
- Fu vera gloria la sua? Spetta ai posteri la difficile sentenza: noi ci inchiniamo umilmente al Sommo Creatore che volle fare di Napoleone un simbolo della sua potenza divina. Ma ne siamo certi? Dio non desidera che uomo colpisca un suo simile. 

- Le dirò, cara signora, che Napoleone combinò molti misfatti qui da noi come quando, con il decreto del 25 aprile 1810, soppresse tutti gli “stabilimenti, corporazioni, congregazioni, comunità e associazioni ecclesiastiche di qualunque natura e denominazione” eccettuate le suore di carità e poche altre congregazioni aventi finalità educative e vietò a chiunque “di vestir l’abito di veruno ordine religioso”.  
I beni delle istituzioni furono incamerati dallo Stato e, nel caso di opere di particolare valore artistico, portate in Francia se trovate in altri Paesi. Tali conseguenze sul piano economico e politico sono note come spoliazioni napoleoniche, o più semplicemente come furti della stessa mano. In realtà, per aver io letto un testo del Direttorio esecutivo, fu piuttosto obbligato a prendersi la colpa di simili misfatti, cui diede ascolto nel 1796:

«Cittadino generale, il Direttorio esecutivo è convinto che per voi la gloria delle belle arti e quella dell'armata ai vostri ordini siano inscindibili. L'Italia deve all'arte la maggior parte delle sue ricchezze e della sua fama; ma è venuto il momento di trasferirne il regno in Francia, per consolidare e abbellire il regno della libertà. Il Museo nazionale deve racchiudere tutti i più celebri monumenti artistici, e voi non mancherete di arricchirlo di quelli che esso si attende dalle attuali conquiste dell'armata d'Italia e da quelle che il futuro le riserva. Questa gloriosa campagna, oltre a porre la Repubblica in grado di offrire la pace ai propri nemici, deve riparare le vandaliche devastazioni interne sommando allo splendore dei trionfi militari l'incanto consolante e benefico dell'arte. Il Direttorio esecutivo vi esorta pertanto a cercare, riunire e far portare a Parigi tutti i più preziosi oggetti di questo genere, e a dare ordini precisi per l'illuminata esecuzione di tali disposizioni.»
L’anno successivo giunse la petizione degli artisti francesi:
“La Repubblica francese, con la sua forza e la superiorità del lume e dei suoi artisti, è l'unico paese al mondo che può dare una dimora sicura a questi capolavori. Tutte le altre nazioni devono venire a prendere in prestito dalla nostra arte.”
Non bastasse, in Italia le spoliazioni napoleoniche erano sconfinate nelle ruberie e nel vandalismo. Alla ricerca di oro e di argento, gli ufficiali francesi fusero il Gioiello di Vicenza del Palladio, e tentarono pure di fondere le opere del maestro orafo manierista Benvenuto Cellini. I napoleonici tagliarono a pezzi il più grande Rubens in Italia, la Trinità Gonzaga, per poterlo vendere meglio sul mercato. Il tesoro della Basilica di San Marco venne fuso, il Bucintoro, la nave ammiraglia della flotta veneta, bruciata per recuperare l'oro delle decorazioni, l'Arsenale di Venezia, ancora colmo dei trofei militari della Serenissima, smantellato. I francesi cercarono in diverse occasioni di sviluppare delle tecniche che consentissero loro il distacco degli affreschi, con notevoli danni strutturali sia alle opere sia ai muri. Nel 1800 si tentò con la Deposizione di Daniele da Volterra nella cappella Orsini di Trinità dei Monti a Roma attraverso lo stacco a massello che provocò danni così seri all'intera struttura che la rimozione dovette essere interrotta e il muro restaurato da Pietro Palmaroli rinunciando a spedirlo a Parigi. Simili tentativi vennero effettuati presso la Chiesa di San Luigi dei Francesi, ma vennero abbandonati per i danni arrecati agli affreschi. Questi tentativi non vanno come episodi isolati, poiché il vero obiettivo degli ufficiali francesi era di riuscire a distaccare gli affreschi di Raffaello nelle Stanze Vaticane e di spedire in Francia la Colonna Traiana. Ora molte di queste opere trafugate, si trovano presso il Museo del Louvre a Parigi. Signora, sono stato “obbligato” a scrivere un elogio funebre per Napoleone, ma non ho potuto tralasciare l’amarezza dovuta ai tanti danni arrecati ovunque. 

- Ci sarebbe da dire molto altro, nel bene e nel male, ma ho voluto toccare solo l’argomento dedicato all’arte: il suo elogio funebre e le spoliazioni dell’arte figurativa, un vero atto vandalico. Le sono grata, illustre Manzoni, per le notizie dettagliate sulla conquista napoleonica della nostra bella Penisola, e le dirò che Jacques-Louis David raffigurò Napoleone sul suo impennato cavallo bianco Marengo, a simboleggiare la potenza del suo Cavaliere e che ogni anno, presso Villa Pusterla - Crivelli, a Limbiate, (MB) si mette in scena, in costumi dell’epoca, la rievocazione storica dell’evento del doppio matrimonio notturno delle sorelle di Napoleone, Elisa e Paolina Bonaparte, che si sposarono nell’oratorio della frazione di Mombello alle tre di notte, (chissà poi perché in un’ora antelucana?). C’è ancora chi lo osanna, e lo fece il pittore David, essendo francese e ritrattista personale dell’Imperatore, ma noi italiani dovremmo prendere le distanze dai condottieri, tanto declamati sui libri di Storia, poiché troppi invasero la nostra Terra, ambita preda, a cominciare dai barbari e che, a mio avviso, furono solo grandi distruttori, guerrafondai e saccheggiatori delle proprietà altrui. Napoleone è stato uno di questi, credo che il mio pensiero non si discosti molto dal suo. La ringrazio per il tempo prezioso che mi ha dedicato e ora torno da dove sono venuta: due secoli dopo.
Danila Oppio

venerdì, marzo 25

L'ARMISTIZIO SENZA FINE DI CHRISTIAN. RIFUGIATO E MIGRANTE DI CIRCOSTANZA di P. MAURO ARMANINO


 Christian con Padre Mauro Armanino

L’armistizio senza fine di Christian. Rifugiato e migrante di circostanza 


Christian è partito stamane alla volta di Monrovia, Liberia. L’ultima volta era scappato nel 2013 a causa di una guerra chiamata ‘Ebola’, malattia che ha contagiato e ucciso migliaia di persone a cominciare dalla confinante Sierra Leone. All’età di vent’anni, a causa della guerra civile nel suo Paese nel 1996, era fuggito in Costa d’Avorio e, da rifugiato aveva imparato il mestiere di meccanico, mettendo così a profitto i 5 anni passati nel Paese. La guerra in Liberia passa in Costa d’Avorio e l’Alto Commissariato per i Rifugiati lo trasporta, assieme a esuli di altre nazionalità, fino in Camerun. Il destino di Christian sembra giocare a nascondino per altri 9 anni che passa in un campo di rifugiati. Impara altri mestieri che gli saranno utili al momento del ritorno in patria, nel 2009 dove pensa finalmente di ricostruire la sua vita sconnessa. 
Non aveva però pensato alla guerra di Ebola, che ha seminato morte e distruzioni nel suo in altri Paesi limitrofi. Alla morte di buona parte della sua famiglia per la malattia, affronta un altro esodo dal suo Paese. Attraversa la Costa d’Avorio, tenta il Ghana, sfiora il Togo e, consigliato da amici, pensa di raggiungere l’Algeria che gli hanno descritta come un cantiere a cielo aperto. Non ha mai potuto raggiungerla perché, malgrado i tre tentativi effettuati, alle frontiere lo hanno puntualmente espulso e deportato nel Niger. In questo Paese lavora come barbiere per mantenersi per un paio d’anni finché un giorno, arrestato e accusato ingiustamente di frode, è detenuto per oltre due anni nella prigione centrale di Niamey. 
in carcere sopravvive come può coi piccoli mestieri che nel frattempo ha imparato nei soggiorni forzati nei campi profughi. Meccanico, autista, idraulico, barbiere, fabbricatore di stuoie e commerciante di tutto ciò che in carcere permette di resistere. Finalmente liberato, dopo essersi ripreso dalla mortale avventura carceraria, contatta l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni per un rimpatrio ‘volontario’, in patria. I suoi tre figli sono in Costa d’Avorio, ormai grandi e la maggiore ha dato alla luce una bimba che spera di abbracciare presto. La madre dei suoi  figli l’aspetta ancora e, se possibile, la farà venire in Liberia dove la famiglia paterna ha una casa e dei terreni. Christian mostra la tessera di vaccinazione obbligatoria per il viaggio di ritorno e, il giorno prima di partire passa per salutare e ringraziare. Chiede una preghiera per il viaggio, un ricordo e promette che, una volta a destinazione, manderà un messaggio e la foto della nipote a cui hanno affidato il nome Peace, Pace.
                                                              

Mauro Armanino, Niamey, marzo 2021



PROPAGANDA di RENATA RUSCA ZARGAR


LA PROPAGANDA

Tutti i mezzi di comunicazione, gli studiosi, gli opinionisti, mi stanno spiegando dalla mattina alla sera che in Ucraina si sta combattendo una guerra per me, per la mia libertà.

Io non sono un’esperta e, quindi, penso che, chi lo sa, magari potrebbe essere anche vero. In quel caso, però, troverei disumano mandare al macello un altro popolo per salvare me e i miei interessi. Se si sta combattendo una guerra di liberazione, quelli che saranno liberati dovrebbero andare tutti insieme a combattere.

È ovvio, dunque, che questo circuirmi continuo dimostrandomi che si sta facendo tutto per la mia personale felicità è solo la “propaganda”. Non c’è niente di nuovo: si sa che i regimi rimbambiscono la gente con la propaganda. Mussolini ci ha insegnato molto, con le sue immagini virili e con le sue frasi altisonanti dal balcone. Ci aveva pure convinti che avevamo bisogno del “nostro posto al sole”!

Mussolini, con la legge del 15 luglio 1923, ha poi soppresso la libertà di stampa; qui, oggi, in Italia, la libertà di stampa si è soppressa da sola. Infatti, se faccio una panoramica di giornali e telegiornali dicono tutti le stesse cose. Compresi i social dove, se qualcuno si azzarda a sostenere una tesi diversa o, peggio ancora, che la guerra sia omicidio di popoli, viene insultato con tutti i suoi antenati, fino alla settima generazione.

Come già detto, la propaganda di guerra (anche se, in questo caso, a soffrire e morire sono altri) non permette un’opinione che non sia allineata al Governo (uno dei tanti nostri, che cambiamo come gli abiti, secondo le stagioni).

Invece, io che ho imparato da giovane a ragionare con la mia testa, a studiare (parola oggi del tutto desueta) le situazioni e poi a farmi un’opinione mia e non quella che altri hanno deciso per me, avrei bisogno di sapere anche cosa dice l’altro campo di battaglia.

Ma non si può. Qui vige il pensiero unico.

La democrazia attuale di questo paese non permette di apprendere altro.

Devo avere fiducia cieca nel mio Governo.

Neppure mia madre e mio padre mi hanno mai chiesto tanto.

Così, devo chinare il capo a chi sta assoggettando me (non l’Iraq, non la Siria, non l’Afghanistan, non la Libia, non i poveri paesi che non hanno la forza di controbattere) alla democrazia a tutti i costi (gestita dagli Stati Uniti).

Mi rimane solo, per conservare qualche dubbio salvifico, ripassare la storia: gli Europei hanno portato morte e distruzione ovunque nel mondo, annientato interi popoli, assoggettato terre e persone per sfruttarne le risorse, come pure gli Americani (Stati Uniti) maestri nello scatenare guerre fuori di casa loro per dominare il mondo.

La polvere da sparo, infine, inventata in Oriente, è stata perfezionata e resa strumento di sterminio di massa proprio dai popoli europei.

Ed è a loro che, oggi, io devo uniformare il mio pensiero. Non devo conoscere altro.

Democrazia? Libertà?

Renata Rusca Zargar


PUBBLICATO SU:

‘LA PROPAGANDA’ considerazioni della prof. Renata Rusca Zargar – Liguria 2000 News


martedì, marzo 22

ARETE' Poesia di DANILA OPPIO

 


ISPIRATA ALL'AFFRESCO DI RAFFAELLO NELLA STANZA VATICANA DENOMINATA DELLA SEGNATURA, E ALLA FILOSOFIA.

 Il concetto greco

Nella visione della vita secondo la filosofia antica greca, la concezione dell'aretè non era connessa all'azione per il conseguimento del bene, bensì indicava semplicemente una forza d'animo, un vigore morale e anche fisico.   Mentre Platone parlava genericamente di saggezza per l'esercizio della virtù, Aristotele la distingue invece dalla "sapienza". La saggezza, o "prudenza", è una "virtù dianoetica", propria cioè della razionalità comune a tutti che ispira la condotta umana permettendo il giusto esercizio delle "virtù etiche", quelle cioè che riguardano l'azione concreta.

Tra le virtù dianoetiche che presiedono alla conoscenza (intelletto, scienza, sapienza) o alla attività tecniche (arte), la saggezza è propria di colui che, pur non essendo filosofo, è in grado di operare virtuosamente. Se si dovesse acquisire la sapienza filosofica per praticare le virtù etiche questo comporterebbe che solo chi ha raggiunto l'età matura, divenendo filosofo, potrebbe essere virtuoso mentre con la saggezza, grado inferiore della sapienza, anche i giovani possono praticare quelle virtù etiche che permetteranno l'acquisto delle virtù dianoetiche. La saggezza insomma permette una vita virtuosa, premessa e condizione della sapienza filosofica, intesa come "stile di vita" slegato da ogni finalità pratica, e che pur rappresentando l'inclinazione naturale di tutti gli uomini solo i filosofi realizzano a pieno poiché «Se in verità l'intelletto è qualcosa di divino in confronto all'uomo, anche la vita secondo esso è divina in confronto alla vita umana.   Questa mia poesia era nata nel 2014 dopo una lettura accurata sulla filosofia aristotelica, è nata questa mia composizione.                                       

 Areté

Non sei un uomo, se non hai pietà

Di chi soffre e d’ogni cosa manca

Non sei saggio, se non tendi la mano

A soccorrere chi aiuto ti chiede

Non sei forte, se non hai il coraggio

Di difendere la tua morale integrità


Non sei giusto, se trascuri l’ordine

Se non sai discernere

E non ti apri al dialogo

Nella continua ricerca

Del pensiero umano e la ragione

E raggiungere con coerenza

Il fine della perfezione


Se il tuo animo non è disposto

Nel modo perfetto d’essere – aretè

Manchi di virtù, che è l’eccelso modo

Per fare di te un uomo vero

Poiché il pensiero filosofico

Cerca assoluta verità

Risveglia la coscienza

E conduce alla virtù.


La ricchezza dell’uomo non contempla

Casseforti blindate colme di tesori

È custodita nel sol luogo

Dove si sviluppa quel bene

Assoluto che è il pensiero

E la virtù, che conduce l’uomo

Alla creazione di una società civile

Di cui il singolo la compone

Con ogni pur piccolo mattone

Danila Oppio



RAFFAELLO SANZIO E LE STANZE VATICANE - Ricerca di DANILA OPPIO



Raffaello Sanzio e le Stanze Vaticane: la Stanza della Segnatura

Nel 1508 Raffaello Sanzio (nato nel 1483 e morto nel 1520) viene invitato dal papa Giulio II della Rovere a decorare alcuni ambienti dei nuovi appartamenti papali. Erano già stati chiamati artisti del calibro di Lorenzo Lotto, il Perugino (maestro di Raffaello), il Sodoma e il Bramantino. Era stato Donato Bramante a fare il nome del giovane Raffaello al pontefice e questa scelta si rivelerà vincente.
 

Raffaello Sanzio (e aiuti), Stanza della Segnatura, Stanze Vaticane, 1509-11. 
La prima stanza da decorare, infatti, è quella detta della Segnatura, ovvero la biblioteca privata del papa che dal 1541, però, diventa sede del Tribunale Ecclesiastico. Gli artisti si mettono al lavoro ma quando Giulio II posa gli occhi sulle prime di Raffaello decide di affidare solo a lui la realizzazione dell’opera. Il giovane Raffaello e la sua bottega, quindi, lavorano agli affreschi tra il 1509 e il 1511. In questa stanza possiamo trovare due affreschi estremamente famosi: la Disputa del Sacramento e La Scuola di Atene.
I temi di questa prima stanza riguardano le discipline dell’Università medioevale, ovvero la Filosofia, la Teologia, la Giurisprudenza e la Poesia (che sostituisce la Medicina). Sui lati minori di questa stanza Raffaello dipinge scene relative alla Giustizia, Giustiniano consegna le Pandette a Triboniano e Gregorio IX approva le Decretali, e alla poesia con Il Parnaso in cui primeggia la figura di Apollo, protettore della lirica, intorno al quale si radunano poeti antichi e moderni.
Stanza della Segnatura
La Stanza della Segnatura contiene i più famosi affreschi di Raffaello: essi costituiscono l'esordio del grande artista in Vaticano e segnano l'inizio del pieno Rinascimento. L'ambiente prende il nome dal più alto tribunale della Santa Sede, la "Segnatura Gratiae et Iustitiae", presieduto dal pontefice e che usava riunirsi in questa sala intorno alla metà del XVI secolo. Originariamente la stanza fu adibita da Giulio II (pontefice dal 1503 al 1513) a biblioteca e studio privato: il programma iconografico degli affreschi, eseguiti tra il 1508 e il 1511, si lega a questa funzione. Esso fu certamente stabilito da un teologo e si propone di rappresentare le tre massime categorie dello spirito umano: il Vero, il Bene e il Bello. Il Vero soprannaturale è illustrato nella Disputa del SS. Sacramento (o la teologia), quello razionale nella Scuola di Atene (o la filosofia); il Bene è espresso nelle raffigurazione delle Virtù Cardinali e Teologali e della Legge mentre il Bello nel Parnaso con Apollo e le Muse. Gli affreschi della volta si legano alle scene sottostanti: le figure allegoriche della Teologia, Filosofia, Giustizia e Poesia alludono infatti alle facoltà dello spirito dipinte sulle corrispettive pareti. Sotto Leone X (pontefice dal 1513 al 1521) l'ambiente fu adibito a studiolo e stanza da musica, nella quale il pontefice custodiva anche la sua collezione di strumenti musicali. L'arredo originale del tempo di Giulio II venne rimosso e sostituito con un nuovo rivestimento ligneo, opera di Fra Giovanni da Verona, che si estendeva su tutte le pareti ad eccezione di quella del Parnaso, dove la stessa decorazione, ancor oggi visibile, per motivi di spazio venne eseguita in affresco. Il rivestimento ligneo, invece, andò probabilmente distrutto a seguito del Sacco di Roma del 1527 e al suo posto durante il pontificato di Paolo III (pontefice dal 1534 al 1549) fu dipinto uno zoccolo a chiaroscuri da Perin del Vaga.
Le Stanze di Raffaello, conosciute anche come Stanze Vaticane, sono quattro sale che fanno parte dei Musei Vaticani a Roma. Prendono il nome dal grande pittore urbinate che le ha affrescate con i suoi allievi.
Fu Papa Giulio II a commissionare a Raffaello, a inizio '500, i lavori delle quattro stanze, dopo essere rimasto deluso dai lavori di diversi altri artisti come il Perugino.
Raffaello cominciò i lavori nel 1508 e proseguì fino alla sua morte nel 1520. Il lavoro venne portato a termine nel 1524 dai suoi allievi e da Giulio Romano, grande artista collaboratore di Raffaello.
Le quattro stanze sono: Stanza della Segnatura, Stanza di Eliodoro, Stanza dell’incendio di Borgo, Sala di Costantino.

Stanza della Segnatura
In questa stanza si riuniva il Tribunale più importante della Santa Sede, Segnatura Gratiae et Iustitiae, da cui la sala prese il nome.
In questa stanza dove viveva Giulio II si possono ammirare gli affreschi più famosi di Raffaello.
Nella volta della Stanza della Segnatura sono raffigurati i quattro rami del sapere: Teologia, Filosofia, Giustizia e Poesia. Nelle pareti sono rappresentate le tre massime categorie dello spirito umano: il Vero, il Bene e il Bello.
Stanza della Segnatura di Raffaello nei Musei Vaticani – la storia
Raffaello iniziò su commissione di papa Giulio II (della Rovere, 1503-1513). Giulio II infatti si rifiutava di abitare l’appartamento già utilizzato dal suo predecessore, papa Alessandro VI Borgia, che egli detestava. Inizialmente il papa incaricò di affrescare i nuovi ambienti il Perugino e Luca Signorelli, che erano stati tra i protagonisti nella decorazione delle pareti della Cappella Sistina.
Secondo Giorgio Vasari, l’architetto Bramante chiamò a collaborare agli affreschi ormai iniziati anche il suo compatriota Raffaello Sanzio. Dopo le prime prove, Giulio II sarebbe stato tanto entusiasta del giovane Raffaello da ordinare che fosse distrutto ciò che era già stato iniziato dagli altri pittori e che a lui soltanto venisse affidata la decorazione delle stanze.
Le modifiche e i lavori di pittura si protrassero ben oltre il pontificato di Giulio II e continuarono sotto il suo successore Leone X (Medici, 1513-1521), concludendosi soltanto sotto Clemente VII (Medici, 1523-1534).
La Stanza della Segnatura fu la prima stanza degli appartamenti vaticani ad essere affrescata (1508-1511). È così denominata dall’omonimo Tribunale Ecclesiastico (detto della Signatura Gratiae) che per un certo tempo vi ebbe sede. Al tempo di Giulio II invece era adibita a studio e biblioteca.
Nei quattro tondi della volta Raffaello dipinse le personificazioni della Teologia, della Filosofia, della Poesia e della Giustizia. Il fine è quello di illustrare ed esaltare le facoltà intellettuali dell’Uomo e cioè il Vero, il Bene, il Bello. Attraverso la Teologia e la Filosofia viene esaltato il Vero. Attraverso il Diritto viene esaltato il Bene. Il Bello è manifestato sotto le sembianze della Musica e della Poesia.
Alcuni decori sulla sua tunica sono stati interpretati come la firma di Raffaello ("RVSM": "Raphaël Urbinas Sua Mano"). La figura sdraiata sulle gradinate è Diogene, mentre, all'estremità di destra, Tolomeo e Zoroastro (con la barba) hanno in mano rispettivamente il globo e la sfera celeste

Nel primo decennio del Cinquecento, negli anni d’oro del mecenatismo papale, è il periodo del classicismo più maturo di Raffaello. Giulio II è il committente degli affreschi che decorano le Stanze vaticane, tra cui la più nota è la Scuola di Atene.

L’argomento dell’affresco è la conoscenza e la verità filosofica ed è popolato con la rappresentazione dei saggi e dei massimi filosofi dell’antichità.
Il cartone preparatorio dell’affresco è conservato presso la Pinacoteca Ambrosiana di Milano.

Architettura compositiva
Le quattro pareti della stanza della Segnatura, detta così perché in essa si radunava il tribunale ecclesiastico della Signatura Gratiae, sono lunettate. Questa forma ad arco, imposta dall’architettura, è il punto di partenza di Raffaello, che imposta le scene principali sulla linea curva, verticale ed orizzontale, in relazione all’osservatore che, secondo la concezione cinquecentesca, deve sentirsi avvolto nella scena ed al centro di uno spazio ampio e imponente (prospettiva centrale).
Nel caso della scuola di Atene la scena si svolge all’interno di un’architettura a croce greca, inscritta in un deambulatorio quadrato, con cupola centrale.
L’edificio di grande solennità emula le basiliche antiche. Lo spazio è immenso e grandioso per sottolineare l’importanza dei contenuti.
L’architettura di stampo classico si struttura in:
o Gradinata in primo piano;
o In cima alla gradinata una prima navata coperta da una volta a botte cassettonata;
o segue uno spazio coperto a cupola;
o dopo lo spazio una seconda navata posta in profondità e, come la prima, sovrastata da una volta a botte cassettonata;
o sul fondo si apre una grande arcata a tutto sesto.
Nicchie, statue (Apollo e Minerva) e rilievi ornano l’architettura.
L’architettura da unità alla scena in cui la folla dei personaggi appare disordinata e in movimento.


Personaggi
La scena è densa di personaggi (58), disposti a omega Ω, raggruppati o solitari, che rappresentano i maggiori filosofi colti in atteggiamenti vari. C’è chi, come Socrate, discute animatamente, chi legge, chi scrive, chi medita, chi semplicemente ascolta e chi compie dimostrazioni geometriche o matematiche.
I filosofi sicuramente individuabili sono dieci, sei  in base alla presenza di un attributo iconografico inequivocabile (Pitagora, Socrate, Platone, Aristotele, Diogene e Tolomeo) e quattro in base a generici attributi iconografici (Averroè, Senofonte o Alcibiade, Zoroastro, Archimede o Euclide).
Più in dettaglio:
o Al centro in alto, messi in evidenza dalla luminosità del cielo, incorniciati dall’arco che li sovrasta e dalla convergenza dei personaggi laterali, avanzano Platone, a sinistra, ed Aristotele, a destra. Il primo regge sotto il braccio il Timeo e addita verso l’alto, verso il cielo, al mondo delle idee, base del suo pensiero filosofico, l’idealismo; il secondo, regge l’etica, volume di filosofia morale e addita invece verso terra, a sottolineare l’importanza dell’esperienza sensibile, punto di partenza della sua filosofia materialistica.
Davanti a loro, il personaggio in primo piano in atto di scrivere appoggiandosi ad un blocco marmoreo, inclinato verso destra, è Eraclito (che nel disegno preparatorio era mancante ed è stato aggiunto a fine opera), al quale si contrappone, specularmente, Diogene semi sdraiato sui gradini, un po’ arretrato, indossa un abito lacero, azzurro ed ha con sé una ciotola che secondo un famoso aneddoto era l’unico bene che aveva tenuto dopo essersi disfatto di tutti i suoi beni ma che non esitò a buttare via quando vide un bambino bere con le mani;
o A destra, il personaggio malinconico in primo piano chino tra i suoi discepoli nell’atto di illustrale loro qualcosa su una tavoletta è Euclide o Archimede e quello che dà le spalle all’osservatore, con la veste marroncina e con una corona, ritratto nell’atto di reggere il globo terracqueo è Tolomeo (per lungo tempo fu confuso con un componente della dinastia reale d’Egitto). Di fronte l’uomo con la barba che regge una sfera celeste è un astronomo, probabilmente Zoroastro. All’estrema destra vi è Raffaello stesso, ritratto dietro alla figura di un altro artista che aveva lavorato per affrescare la sala della Segnatura, il Sodoma;
o A sinistra, il personaggio seduto sul gradino intento a scrivere è Pitagora, riconoscibile perché intento a lavorare su un diagramma musicale ed uno schema numerologico con l’aiuto di una tavoletta. Chino dietro di lui con la veste verdina, vi è Averroè individuabile per il turbante orientale che indossa. Più in alto, sul piano, intento a parlare ai suoi discepoli, è riconoscibile Socrate, noto per la barba, la calvizie e il naso camuso. Il giovane con l’elmo che sta di fronte a Socrate è Alcibiade o forse Senofonte.
L’impostazione solenne e monumentale delle figure denuncia l’influenza michelangiolesca.

Quanto mi ha maggiormente colpito, sono le sembianze del volto che Raffaello ha voluto dare agli antichi filosofi, con quelle di artisti famosi. Lui stesso appare tra i personaggi dell’affresco. 

Filosofi con il volto di artisti famosi
Alcuni personaggi vengono raffigurati somiglianti ad alcuni grandi artisti:
o Platone viene ritratto con il volto di Leonardo anziano;
o Aristotele ha i tratti dello scultore Bastiano detto Aristotile da Sangallo;
o Eraclito con il volto di Michelangelo. L’artista in quegli anni sta lavorando alla volta della Cappella Sistina e così nel corso dell’opera Raffaello decide di rendergli omaggio. Michelangelo è riconoscibile anche per gli stivali in pelle che indossa il personaggio, notoriamente utilizzati dall’artista;
o Euclide ha il volto di Donato Bramante;
Il raffigurare i filosofi con le sembianze di grandi artisti ha lo scopo di affermare la dignità della professione dell’artista che all’epoca era ancora vista da alcuni come una pratica da artigiani e non da intellettuali.




Platone con il volto di Leonardo anziano


Il volto di Raffaello, cercatelo nel grande affresco!




domenica, marzo 20

CARLA MAFFINI E LE SUE SPLENDIDE MOSTRE - POESIE E IMMAGINI a CORTEMAGGIORE (PC)



COMPLIMENTI ALLA INSTANCABILE CARLA MAFFINI, per le mostre e i concorsi che organizza a Cortemaggiore (PC) 



Buon proseguimento in tutte queste belle iniziative! 

POLVERI OCCIDENTALI E POLVERI DEL SAHEL di P. MAURO ARMANINO



Polveri Occidentali e polveri del Sahel


Mamoudou e il suo compagno di viaggio in Marocco e Algeria, si trovano a Niamey da due settimane. Portano l’unico vestito che i militari algerini hanno loro lasciato, dopo aver rubato quanto avevano addosso in strada. Il cellulare un po' di denaro. Il resto l’hanno lasciato nella camera dove alloggiavano con altri migranti in cerca di lavoro e fortuna ad Algeri. La polvere si è incrostata nei pantaloni e nella maglietta che indossano da quando sono stati derubati, espulsi, deportati e infine abbandonati nel deserto che unisce e separa l’Algeria dal Niger. Cercano cibo, abiti decenti e soprattutto un luogo dove posare il capo la notte. Vivono l’attesa del ritorno in patria con l’OIM (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni) le cui case di accoglienza sono saturate da migranti che non hanno trovato quanto, per anni, cercavano. Mamoudou ha tentato tre volte di raggiungere la Spagna dal Marocco e ogni volta i ‘passeurs’ gli hanno mentito. Sono spariti dopo aver intascato i soldi del viaggio via mare, mai effettuato. Mamoudou è stato anche bastonato dalle guardie marocchine di frontiera e da allora il suo respiro si è fatto difficile, a causa della polvere.
A Niamey e altrove nel Sahel lei, la polvere, ci assedia da une decina di giorni, da mane a sera. Ben visibile e tangibile nell’aria, nei contorni dei paesaggi, dentro le case, nella politica e nelle mani di coloro che da troppo tempo hanno ridotto gli altri a simboli, oggetti, animali o cose da abbattere e terrorizzare. Giusto questa settimana, un bus di linea proveniente dal Burkina Faso con destinazione Niamey è stato intercettato da elementi armati in caccia di militari che avevano indossato abiti civili. Avevano nascosto le armi nelle borse e i giovani ‘djihadisti’, non avendo avuto alcuna giustificazione dai passeggeri, li hanno fatto scendere. Almeno une ventina sono stati uccisi sul posto, risparmiando solo quattro donne che si trovavano nel bus, poi distrutto. il mezzo era proprietà della compagnia nigerina STM.
In Occidente, com’era da attendersi, la polvere, fino allora confinata dietro le cortine del totalitarismo igienico e di quello mediatico, si è bruscamente rivelata nel conflitto in atto alle sue estreme frontiere inventate e armate. Si tratta di un’apocalisse che si realizza per lo svelamento della consistenza e pervasività di una società e civilizzazione che la spietata polvere neoliberale ha sedotto e poi abbandonato al suo destino. Come altro definire l’Occidente e coloro che ancora ne sopportano l’arrogante crepuscolo, se non utilizzando la metafora della polvere… ‘Ricordati che sei polvere e polvere tornerai’. Per questo i fabbricanti di armi, utilizzando il pretesto ipocrita degli aiuti alle democrazie in pericolo, fomentano guerre e garantiscono potere perenne ai politici che li assecondano. Si, tutto torna alla polvere, durante e soprattutto dopo la guerra. Alla fine di tutto, per l’armistizio, rimane la polvere e il silenzio dei cimiteri. 
La polvere aveva da tempo imparato il cammino per arrivare ovunque e, non casualmente, aveva iniziato dai sogni. Si erano gradualmente spenti, normalizzati e resi impalpabili come polvere ed erano stati, infine, sepolti. Senza perdere altro tempo la stessa polvere ha occupato gli occhi, rendendo opachi i volti e le storie degli altri per trasformarli in merci di scambio o mano d’opera a buon mercato. La contaminazione di polvere alle parole è avvenuta con naturalezza. Canzoni, promesse, verità, preghiere, giuramenti, fiabe per adulti e semplici saluti quotidiani sono stati assediati dalla polvere e diventati in fretta segni inconfondibili della sempre attuale Babilonia. Tutto era finalmente pronto affinché la polvere portasse a termine quanto iniziato dai sogni e culminato nelle parole. Quindi anche i grembi delle donne si trovarono impolverati e, senza colpo ferire, sterili. La polvere era trionfante perché il suo futuro era assicurato per sempre.
Fu così che, un mattino di festa e senza nessuna anticipazione, si alzò un vento leggero che si trasformò in pioggia che, di colpo, trasformò la polvere in fango per i bambini che iniziarono a giocare coi piedi nudi.


Mauro Armanino, Niamey, marzo 2022