Nel 1508 Raffaello Sanzio (nato nel 1483 e morto nel 1520) viene invitato dal papa Giulio II della Rovere a decorare alcuni ambienti dei nuovi appartamenti papali. Erano già stati chiamati artisti del calibro di Lorenzo Lotto, il Perugino (maestro di Raffaello), il Sodoma e il Bramantino. Era stato Donato Bramante a fare il nome del giovane Raffaello al pontefice e questa scelta si rivelerà vincente.
Raffaello Sanzio (e aiuti), Stanza della Segnatura, Stanze Vaticane, 1509-11.
La prima stanza da decorare, infatti, è quella detta della Segnatura, ovvero la biblioteca privata del papa che dal 1541, però, diventa sede del Tribunale Ecclesiastico. Gli artisti si mettono al lavoro ma quando Giulio II posa gli occhi sulle prime di Raffaello decide di affidare solo a lui la realizzazione dell’opera. Il giovane Raffaello e la sua bottega, quindi, lavorano agli affreschi tra il 1509 e il 1511. In questa stanza possiamo trovare due affreschi estremamente famosi: la Disputa del Sacramento e La Scuola di Atene.
I temi di questa prima stanza riguardano le discipline dell’Università medioevale, ovvero la Filosofia, la Teologia, la Giurisprudenza e la Poesia (che sostituisce la Medicina). Sui lati minori di questa stanza Raffaello dipinge scene relative alla Giustizia, Giustiniano consegna le Pandette a Triboniano e Gregorio IX approva le Decretali, e alla poesia con Il Parnaso in cui primeggia la figura di Apollo, protettore della lirica, intorno al quale si radunano poeti antichi e moderni.
Stanza della Segnatura
La Stanza della Segnatura contiene i più famosi affreschi di Raffaello: essi costituiscono l'esordio del grande artista in Vaticano e segnano l'inizio del pieno Rinascimento. L'ambiente prende il nome dal più alto tribunale della Santa Sede, la "Segnatura Gratiae et Iustitiae", presieduto dal pontefice e che usava riunirsi in questa sala intorno alla metà del XVI secolo. Originariamente la stanza fu adibita da Giulio II (pontefice dal 1503 al 1513) a biblioteca e studio privato: il programma iconografico degli affreschi, eseguiti tra il 1508 e il 1511, si lega a questa funzione. Esso fu certamente stabilito da un teologo e si propone di rappresentare le tre massime categorie dello spirito umano: il Vero, il Bene e il Bello. Il Vero soprannaturale è illustrato nella Disputa del SS. Sacramento (o la teologia), quello razionale nella Scuola di Atene (o la filosofia); il Bene è espresso nelle raffigurazione delle Virtù Cardinali e Teologali e della Legge mentre il Bello nel Parnaso con Apollo e le Muse. Gli affreschi della volta si legano alle scene sottostanti: le figure allegoriche della Teologia, Filosofia, Giustizia e Poesia alludono infatti alle facoltà dello spirito dipinte sulle corrispettive pareti. Sotto Leone X (pontefice dal 1513 al 1521) l'ambiente fu adibito a studiolo e stanza da musica, nella quale il pontefice custodiva anche la sua collezione di strumenti musicali. L'arredo originale del tempo di Giulio II venne rimosso e sostituito con un nuovo rivestimento ligneo, opera di Fra Giovanni da Verona, che si estendeva su tutte le pareti ad eccezione di quella del Parnaso, dove la stessa decorazione, ancor oggi visibile, per motivi di spazio venne eseguita in affresco. Il rivestimento ligneo, invece, andò probabilmente distrutto a seguito del Sacco di Roma del 1527 e al suo posto durante il pontificato di Paolo III (pontefice dal 1534 al 1549) fu dipinto uno zoccolo a chiaroscuri da Perin del Vaga.
Le Stanze di Raffaello, conosciute anche come Stanze Vaticane, sono quattro sale che fanno parte dei Musei Vaticani a Roma. Prendono il nome dal grande pittore urbinate che le ha affrescate con i suoi allievi.
Fu Papa Giulio II a commissionare a Raffaello, a inizio '500, i lavori delle quattro stanze, dopo essere rimasto deluso dai lavori di diversi altri artisti come il Perugino.
Raffaello cominciò i lavori nel 1508 e proseguì fino alla sua morte nel 1520. Il lavoro venne portato a termine nel 1524 dai suoi allievi e da Giulio Romano, grande artista collaboratore di Raffaello.
Le quattro stanze sono: Stanza della Segnatura, Stanza di Eliodoro, Stanza dell’incendio di Borgo, Sala di Costantino.
Stanza della Segnatura
In questa stanza si riuniva il Tribunale più importante della Santa Sede, Segnatura Gratiae et Iustitiae, da cui la sala prese il nome.
In questa stanza dove viveva Giulio II si possono ammirare gli affreschi più famosi di Raffaello.
Nella volta della Stanza della Segnatura sono raffigurati i quattro rami del sapere: Teologia, Filosofia, Giustizia e Poesia. Nelle pareti sono rappresentate le tre massime categorie dello spirito umano: il Vero, il Bene e il Bello.
Stanza della Segnatura di Raffaello nei Musei Vaticani – la storia
Raffaello iniziò su commissione di papa Giulio II (della Rovere, 1503-1513). Giulio II infatti si rifiutava di abitare l’appartamento già utilizzato dal suo predecessore, papa Alessandro VI Borgia, che egli detestava. Inizialmente il papa incaricò di affrescare i nuovi ambienti il Perugino e Luca Signorelli, che erano stati tra i protagonisti nella decorazione delle pareti della Cappella Sistina.
Secondo Giorgio Vasari, l’architetto Bramante chiamò a collaborare agli affreschi ormai iniziati anche il suo compatriota Raffaello Sanzio. Dopo le prime prove, Giulio II sarebbe stato tanto entusiasta del giovane Raffaello da ordinare che fosse distrutto ciò che era già stato iniziato dagli altri pittori e che a lui soltanto venisse affidata la decorazione delle stanze.
Le modifiche e i lavori di pittura si protrassero ben oltre il pontificato di Giulio II e continuarono sotto il suo successore Leone X (Medici, 1513-1521), concludendosi soltanto sotto Clemente VII (Medici, 1523-1534).
La Stanza della Segnatura fu la prima stanza degli appartamenti vaticani ad essere affrescata (1508-1511). È così denominata dall’omonimo Tribunale Ecclesiastico (detto della Signatura Gratiae) che per un certo tempo vi ebbe sede. Al tempo di Giulio II invece era adibita a studio e biblioteca.
Nei quattro tondi della volta Raffaello dipinse le personificazioni della Teologia, della Filosofia, della Poesia e della Giustizia. Il fine è quello di illustrare ed esaltare le facoltà intellettuali dell’Uomo e cioè il Vero, il Bene, il Bello. Attraverso la Teologia e la Filosofia viene esaltato il Vero. Attraverso il Diritto viene esaltato il Bene. Il Bello è manifestato sotto le sembianze della Musica e della Poesia.
Alcuni decori sulla sua tunica sono stati interpretati come la firma di Raffaello ("RVSM": "Raphaël Urbinas Sua Mano"). La figura sdraiata sulle gradinate è Diogene, mentre, all'estremità di destra, Tolomeo e Zoroastro (con la barba) hanno in mano rispettivamente il globo e la sfera celeste
Nel primo decennio del Cinquecento, negli anni d’oro del mecenatismo papale, è il periodo del classicismo più maturo di Raffaello. Giulio II è il committente degli affreschi che decorano le Stanze vaticane, tra cui la più nota è la Scuola di Atene.
L’argomento dell’affresco è la conoscenza e la verità filosofica ed è popolato con la rappresentazione dei saggi e dei massimi filosofi dell’antichità.
Il cartone preparatorio dell’affresco è conservato presso la Pinacoteca Ambrosiana di Milano.
Architettura compositiva
Le quattro pareti della stanza della Segnatura, detta così perché in essa si radunava il tribunale ecclesiastico della Signatura Gratiae, sono lunettate. Questa forma ad arco, imposta dall’architettura, è il punto di partenza di Raffaello, che imposta le scene principali sulla linea curva, verticale ed orizzontale, in relazione all’osservatore che, secondo la concezione cinquecentesca, deve sentirsi avvolto nella scena ed al centro di uno spazio ampio e imponente (prospettiva centrale).
Nel caso della scuola di Atene la scena si svolge all’interno di un’architettura a croce greca, inscritta in un deambulatorio quadrato, con cupola centrale.
L’edificio di grande solennità emula le basiliche antiche. Lo spazio è immenso e grandioso per sottolineare l’importanza dei contenuti.
L’architettura di stampo classico si struttura in:
o Gradinata in primo piano;
o In cima alla gradinata una prima navata coperta da una volta a botte cassettonata;
o segue uno spazio coperto a cupola;
o dopo lo spazio una seconda navata posta in profondità e, come la prima, sovrastata da una volta a botte cassettonata;
o sul fondo si apre una grande arcata a tutto sesto.
Nicchie, statue (Apollo e Minerva) e rilievi ornano l’architettura.
L’architettura da unità alla scena in cui la folla dei personaggi appare disordinata e in movimento.
Personaggi
La scena è densa di personaggi (58), disposti a omega Ω, raggruppati o solitari, che rappresentano i maggiori filosofi colti in atteggiamenti vari. C’è chi, come Socrate, discute animatamente, chi legge, chi scrive, chi medita, chi semplicemente ascolta e chi compie dimostrazioni geometriche o matematiche.
I filosofi sicuramente individuabili sono dieci, sei in base alla presenza di un attributo iconografico inequivocabile (Pitagora, Socrate, Platone, Aristotele, Diogene e Tolomeo) e quattro in base a generici attributi iconografici (Averroè, Senofonte o Alcibiade, Zoroastro, Archimede o Euclide).
Più in dettaglio:
o Al centro in alto, messi in evidenza dalla luminosità del cielo, incorniciati dall’arco che li sovrasta e dalla convergenza dei personaggi laterali, avanzano Platone, a sinistra, ed Aristotele, a destra. Il primo regge sotto il braccio il Timeo e addita verso l’alto, verso il cielo, al mondo delle idee, base del suo pensiero filosofico, l’idealismo; il secondo, regge l’etica, volume di filosofia morale e addita invece verso terra, a sottolineare l’importanza dell’esperienza sensibile, punto di partenza della sua filosofia materialistica.
Davanti a loro, il personaggio in primo piano in atto di scrivere appoggiandosi ad un blocco marmoreo, inclinato verso destra, è Eraclito (che nel disegno preparatorio era mancante ed è stato aggiunto a fine opera), al quale si contrappone, specularmente, Diogene semi sdraiato sui gradini, un po’ arretrato, indossa un abito lacero, azzurro ed ha con sé una ciotola che secondo un famoso aneddoto era l’unico bene che aveva tenuto dopo essersi disfatto di tutti i suoi beni ma che non esitò a buttare via quando vide un bambino bere con le mani;
o A destra, il personaggio malinconico in primo piano chino tra i suoi discepoli nell’atto di illustrale loro qualcosa su una tavoletta è Euclide o Archimede e quello che dà le spalle all’osservatore, con la veste marroncina e con una corona, ritratto nell’atto di reggere il globo terracqueo è Tolomeo (per lungo tempo fu confuso con un componente della dinastia reale d’Egitto). Di fronte l’uomo con la barba che regge una sfera celeste è un astronomo, probabilmente Zoroastro. All’estrema destra vi è Raffaello stesso, ritratto dietro alla figura di un altro artista che aveva lavorato per affrescare la sala della Segnatura, il Sodoma;
o A sinistra, il personaggio seduto sul gradino intento a scrivere è Pitagora, riconoscibile perché intento a lavorare su un diagramma musicale ed uno schema numerologico con l’aiuto di una tavoletta. Chino dietro di lui con la veste verdina, vi è Averroè individuabile per il turbante orientale che indossa. Più in alto, sul piano, intento a parlare ai suoi discepoli, è riconoscibile Socrate, noto per la barba, la calvizie e il naso camuso. Il giovane con l’elmo che sta di fronte a Socrate è Alcibiade o forse Senofonte.
L’impostazione solenne e monumentale delle figure denuncia l’influenza michelangiolesca.
Quanto mi ha maggiormente colpito, sono le sembianze del volto che Raffaello ha voluto dare agli antichi filosofi, con quelle di artisti famosi. Lui stesso appare tra i personaggi dell’affresco.
Filosofi con il volto di artisti famosi
Alcuni personaggi vengono raffigurati somiglianti ad alcuni grandi artisti:
o Platone viene ritratto con il volto di Leonardo anziano;
o Aristotele ha i tratti dello scultore Bastiano detto Aristotile da Sangallo;
o Eraclito con il volto di Michelangelo. L’artista in quegli anni sta lavorando alla volta della Cappella Sistina e così nel corso dell’opera Raffaello decide di rendergli omaggio. Michelangelo è riconoscibile anche per gli stivali in pelle che indossa il personaggio, notoriamente utilizzati dall’artista;
o Euclide ha il volto di Donato Bramante;
Il raffigurare i filosofi con le sembianze di grandi artisti ha lo scopo di affermare la dignità della professione dell’artista che all’epoca era ancora vista da alcuni come una pratica da artigiani e non da intellettuali.
Platone con il volto di Leonardo anziano
Il volto di Raffaello, cercatelo nel grande affresco!