Ho ricevuto oggi il premio conseguito per la III Edizione del CONCORSO RICORDANZE di Cortemaggiore, indetto da Circolo "L'AQUILONE" organizzato dalla Prof. CARLA MAFFINI. Un piatto dipinto a mano della Richard Ginori, munito di targa, il Diploma d'Onore e la silloge poetica delle poetesse Carla Maffini e Ornella Chiastri del 2020.
Ed ecco il mio racconto:
DIALOGO FANTOMATICO CON ALESSANDRO MANZONI su Napoleone Bonaparte nel 200° anniversario della morte.
La macchina del tempo mi condusse in via del Morone, a Milano, e mi ritrovai davanti al palazzo dell’autore dei Promessi Sposi, ma anche dell’elogio funebre di Napoleone, il famoso 5 Maggio. Dovevo assolutamente discutere con lui del senso di quella poesia, poiché mi è parso di intravedere ironia e amarezza sulle gesta del condottiero corso. L'avventura napoleonica raggiunse la sua apoteosi il 2 dicembre 1804, quando si autoproclamò Imperatore, nella cattedrale di Parigi, Notre-Dame. Bussai al portone, e chiesi di poter incontrare il conte Don Lisander, per discutere con lui riguardo alla poesia dedicata a Bonaparte. Mi accolse nel suo salotto, e m’indicò una comoda poltrona, dove accomodarmi. Arrivai subito al sodo, chiedendo lumi su alcuni versi.
Né sa quando una simile
Orma di piè mortale
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.
Me lo chiarisce in prosa:
- Tutti restano muti pensando alle ultime ore di quest’uomo inviato dal fato e nessuno sa dire quando un uomo simile tornerà di nuovo a calpestare la terra che lui stesso ha calpestato, lasciando un cammino sanguinoso.
- Esattamente come pensavo! Speriamo che nessun altro venga a calpestare il nostro suolo patrio! Proseguo con un altro verso.
Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del Creator suo spirito
Più vasta orma stampar.
Manzoni spiega:
- Fu vera gloria la sua? Spetta ai posteri la difficile sentenza: noi ci inchiniamo umilmente al Sommo Creatore che volle fare di Napoleone un simbolo della sua potenza divina. Ma ne siamo certi? Dio non desidera che uomo colpisca un suo simile.
- Le dirò, cara signora, che Napoleone combinò molti misfatti qui da noi come quando, con il decreto del 25 aprile 1810, soppresse tutti gli “stabilimenti, corporazioni, congregazioni, comunità e associazioni ecclesiastiche di qualunque natura e denominazione” eccettuate le suore di carità e poche altre congregazioni aventi finalità educative e vietò a chiunque “di vestir l’abito di veruno ordine religioso”.
I beni delle istituzioni furono incamerati dallo Stato e, nel caso di opere di particolare valore artistico, portate in Francia se trovate in altri Paesi. Tali conseguenze sul piano economico e politico sono note come spoliazioni napoleoniche, o più semplicemente come furti della stessa mano. In realtà, per aver io letto un testo del Direttorio esecutivo, fu piuttosto obbligato a prendersi la colpa di simili misfatti, cui diede ascolto nel 1796:
«Cittadino generale, il Direttorio esecutivo è convinto che per voi la gloria delle belle arti e quella dell'armata ai vostri ordini siano inscindibili. L'Italia deve all'arte la maggior parte delle sue ricchezze e della sua fama; ma è venuto il momento di trasferirne il regno in Francia, per consolidare e abbellire il regno della libertà. Il Museo nazionale deve racchiudere tutti i più celebri monumenti artistici, e voi non mancherete di arricchirlo di quelli che esso si attende dalle attuali conquiste dell'armata d'Italia e da quelle che il futuro le riserva. Questa gloriosa campagna, oltre a porre la Repubblica in grado di offrire la pace ai propri nemici, deve riparare le vandaliche devastazioni interne sommando allo splendore dei trionfi militari l'incanto consolante e benefico dell'arte. Il Direttorio esecutivo vi esorta pertanto a cercare, riunire e far portare a Parigi tutti i più preziosi oggetti di questo genere, e a dare ordini precisi per l'illuminata esecuzione di tali disposizioni.»
L’anno successivo giunse la petizione degli artisti francesi:
“La Repubblica francese, con la sua forza e la superiorità del lume e dei suoi artisti, è l'unico paese al mondo che può dare una dimora sicura a questi capolavori. Tutte le altre nazioni devono venire a prendere in prestito dalla nostra arte.”
Non bastasse, in Italia le spoliazioni napoleoniche erano sconfinate nelle ruberie e nel vandalismo. Alla ricerca di oro e di argento, gli ufficiali francesi fusero il Gioiello di Vicenza del Palladio, e tentarono pure di fondere le opere del maestro orafo manierista Benvenuto Cellini. I napoleonici tagliarono a pezzi il più grande Rubens in Italia, la Trinità Gonzaga, per poterlo vendere meglio sul mercato. Il tesoro della Basilica di San Marco venne fuso, il Bucintoro, la nave ammiraglia della flotta veneta, bruciata per recuperare l'oro delle decorazioni, l'Arsenale di Venezia, ancora colmo dei trofei militari della Serenissima, smantellato. I francesi cercarono in diverse occasioni di sviluppare delle tecniche che consentissero loro il distacco degli affreschi, con notevoli danni strutturali sia alle opere sia ai muri. Nel 1800 si tentò con la Deposizione di Daniele da Volterra nella cappella Orsini di Trinità dei Monti a Roma attraverso lo stacco a massello che provocò danni così seri all'intera struttura che la rimozione dovette essere interrotta e il muro restaurato da Pietro Palmaroli rinunciando a spedirlo a Parigi. Simili tentativi vennero effettuati presso la Chiesa di San Luigi dei Francesi, ma vennero abbandonati per i danni arrecati agli affreschi. Questi tentativi non vanno come episodi isolati, poiché il vero obiettivo degli ufficiali francesi era di riuscire a distaccare gli affreschi di Raffaello nelle Stanze Vaticane e di spedire in Francia la Colonna Traiana. Ora molte di queste opere trafugate, si trovano presso il Museo del Louvre a Parigi. Signora, sono stato “obbligato” a scrivere un elogio funebre per Napoleone, ma non ho potuto tralasciare l’amarezza dovuta ai tanti danni arrecati ovunque.
- Ci sarebbe da dire molto altro, nel bene e nel male, ma ho voluto toccare solo l’argomento dedicato all’arte: il suo elogio funebre e le spoliazioni dell’arte figurativa, un vero atto vandalico. Le sono grata, illustre Manzoni, per le notizie dettagliate sulla conquista napoleonica della nostra bella Penisola, e le dirò che Jacques-Louis David raffigurò Napoleone sul suo impennato cavallo bianco Marengo, a simboleggiare la potenza del suo Cavaliere e che ogni anno, presso Villa Pusterla - Crivelli, a Limbiate, (MB) si mette in scena, in costumi dell’epoca, la rievocazione storica dell’evento del doppio matrimonio notturno delle sorelle di Napoleone, Elisa e Paolina Bonaparte, che si sposarono nell’oratorio della frazione di Mombello alle tre di notte, (chissà poi perché in un’ora antelucana?). C’è ancora chi lo osanna, e lo fece il pittore David, essendo francese e ritrattista personale dell’Imperatore, ma noi italiani dovremmo prendere le distanze dai condottieri, tanto declamati sui libri di Storia, poiché troppi invasero la nostra Terra, ambita preda, a cominciare dai barbari e che, a mio avviso, furono solo grandi distruttori, guerrafondai e saccheggiatori delle proprietà altrui. Napoleone è stato uno di questi, credo che il mio pensiero non si discosti molto dal suo. La ringrazio per il tempo prezioso che mi ha dedicato e ora torno da dove sono venuta: due secoli dopo.
Danila Oppio
Complimenti Danila
RispondiEliminaGrazie Max!
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