Sul crinale del tempo
nel ciclico ritorno della vita
la notte lascia il passo al giorno
tra lenzuola di seta
fuori l'aria, qui la scatola chiusa dei giorni
nei cassetti sigillati
per custodire sogni
e nessuna parete, nessuna porta,
le anime si toccano senza parola
sanno riconoscersi tra loro
impalpabili colloqui
in un abbraccio
senza pretesa alcuna di ragione
a dissipare nebbie e coltivare speranze
flou di sincopata malinconia
nelle soste del cuore
per cui la nostalgia non è mai vana
come la foglia che canta tra i vitigni
lenimento dei torrenti in piena
Nella complicità del tempo
la vecchia casa dell'infanzia
verdi profili di colline al tramonto
che profumano d'autunno
polle d’acqua sorgiva per la sete
come piccoli origami
rimandano ad illusione di siepe
l'ombra nascosta della vita
quel tanto che basta
appesa in alto al muro
fessura nella parete
vaghi sussurri
come la pioggia sui vetri
sinfonie novelle e armoniose
i colori antichi di una rondine volata
come una poesia
La transizione del cuore
su quella rotta che porta anime
depone il tempo che si è fatto pietra
scintille scoccate sotto il plenilunio
e in trasparenza petali di girasole
brillanti come preziosi gioielli
ai bordi spariti della strada
sostegni improvvisati
poggiate a speranze
dall’alchimia delle emozioni
dalla corolla al gambo
nell’acqua che scorre tra le rocce
come un violino che non sa darsi pace
la notte che rincorre la luce
per poi spegnersi nel mare
Tra risvegli e abbandoni
tra ombre fuggitive
s’accende il buio
come spiga piegata dalla tempesta
all’onda dell’attesa
come un fiore appena sbocciato e già colto
profumo di bucato e gesti delicati
sotto i raggi lunari
di dolce di amaro, di spine e velluto
verso un languore di luce
per respirarne l’intensità
lungo le vie affollate
purezza d’un vuoto azzurro
fin dentro l'animo
fluente senza forma
il vestito del coraggio
continuo e persistente
cavalcando l’aria
come una brezza di mare
Sulla corolla del giorno che si chiude
il sapore amaro del mandorlo in fiore
un cumulo di sabbia
amato e vissuto tra gioie e dolori
nel grembo della vita
dove ancora raccogliere fiori
nella bellezza del verde che riposa
un fragile assolo
per la sorte del tempo andato
quiete
In qualche archivio in bianco e nero
di una suonatrice errante
delusioni e treni perduti
quel gusto di antico
di un carnevale felice
tra maschere, cappelli piumati, fruscii di broccati
con morbide lettere ha costruito un nome
lasciando l’essenza
su un calendario di ricordi
per rincorrere l’infinito
a tesser storie d'altri tempi
a imprimere orme indelebili
scorribande tra le rughe
mentre rinascendo muore
di là dagli ulivi e le vigne
Ladra di sogni altrui
a officiare l’inizio del tempo
corre la memoria nel ricordare
nella scia di un ultimo bagliore di sole
ombre che si vestono di luce
rincorre maree
per i boschi e fiumi attraversati
limpide come emozioni
anche le assenze
le annaffia la neve dei monti
a varcare le onde
con soavi scrosci di note
si è cucita la ferita
armonie primigenie
di alberi dai rami dorati
tra tasselli vacillanti
la verità dei girasoli finti
Il tempo dorme in una nudità lunga
sulle pareti delle case
è tutto un aleggiare di libellule in festa
e l'anima s'invola
un tronco sull'umida spiaggia
e nell’incanto di un’aurora
nell’accorata preghiera di un canto
una supplica di crepuscolo
solo i sogni pigri e distratti
tornano a volare nei cieli orlati e bellissimi
Si racconteranno favole.
Il verso evidenziato in rosso appartiene alla mia poesia:
Piego le parole
Come piccoli origami
Ti guardo e chiedo:
Parlami.
Ma tu taci.
Ti guardo e chiedo:
Baciami.
Mi giri le spalle
E te ne vai.
Quanto mi fa male
non lo sai.
Prendo un foglio
E creo un origami.
Un piccolo pulcino
simile a Calimero.
E che maniere!
Tutti ce l’hanno con me
perché sono nero.
È un’ingiustizia però!
Vuoi vedere
che giro i tacchi
e anch’io me ne vo’?
E se fossi bianco,
mi vorresti bene
almeno un po’?
Sindrome del vittimismo?
A dire il vero, non lo so’!
Danila Oppio
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