POETANDO

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lunedì, agosto 14

I VESPASIANI, UN SALTO NELL'ANTICA ROMA e qualche battuta di MMP e DANILA OPPIO

 


Nell’immagine, i bagni pubblici di Ostia Antica.

Scrive MMP: Noi romani avremo inventato pure il gabinetto, non molto dissimile da quello che abbiamo in casa oggi, dotato sotto di acqua corrente per portare via quel che ben sapete, e sopra un canale sempre di acqua corrente per lavarsi. Rispetto ad oggi la si faceva tutti assieme e possiamo immaginare che si parlasse, da cui le ...riunioni di gabinetto!

Risponde un altro:

- Le attuali riunioni di gabinetto si differenziano solo per il grande fetore che le distingue

E un altro ancora:

- Se non ricordo male, i romani, mantenevano sul sito oche, i cui starnazzi attutivano i rumori. Vero?! Oggi al posto delle oche, sarebbe sufficiente mettere qualche politico e il risultato sarebbe lo stesso, inoltre, i politici, sarebbero nel luogo perfetto per loro. 

Un’altra ancora

- e riunioni di condominio

Un altro che ama mettere i puntini sulle “i”

- Vespasiano era reatino non romano

A questo punto intervengo al dibattito anch’io:

- Mancavano i puntini sulla i! e allora ne aggiungo altri...Ancora oggi, quando cerchiamo nel dizionario un sinonimo di bagno pubblico, troviamo la parola vespasiano. Questo nome deriva da quello dell'imperatore romano omonimo che, per quasi un decennio completo, governò l'Impero Romano dal 69 al 79 d. C. Vespasiano fece costruire molti bagni pubblici, per rendere Roma più pulita. Ma il nome a questi bagni lo diedero gli stessi romani come segno di critica nei confronti delle tasse richieste dall'imperatore. Tra queste, la tassa sull'urina.

Quindi Vespasiano sarà anche nato a Rieti, ma è stato imperatore di Roma. I bagni pubblici e le latrine vennero costruite all'epoca del suo impero, e queste in particolare si trovano a Ostia antica! più pulita. Ma il nome ai bagni lo diedero gli stessi romani come segno di critica nei confronti delle tasse richieste dall'imperatore. Tra queste, la tassa sull'urina.

Mi risponde MMP: ma non fu Vespasiano a inventare i gabinetti romani, lui divenne famoso perché chiedeva i soldi...mentre prima di lui come ogni cosa a Roma erano gratis

Ed io di rimando:

Infatti l'ho appena scritto qui sopra, delle tasse richieste da Vespasiano come la tassa sull'urina. Per questo sono state denominate Vespasiani!

In ogni caso, mi è piaciuta la battuta di MMP, perché si riferiva alle riunioni di gabinetto, che non avvengono propriamente nel cesso, ma alla fine spesso ne escono cagate pazzesche!

 QUANDO ANDARE ALLA TOILETTE ERA UN MODO PER SOCIALIZZARE

(articolo apparso su MILANOPLATINUM.COM)

In un passato non molto lontano, avere in casa un gabinetto era uno status symbol. Ciò valeva anche nella Roma antica, dove solo i proprietari di domus, le case dei nobili, potevano godere di una toilette personale. La maggior parte della gente, invece, andava a fare i propri bisogni nelle latrine pubbliche (“forica”), dove si potevano contare anche cento posti a sedere, con buona pace della riservatezza. In effetti, mentre i nostri bagni pubblici ci nascondono dagli altri per mezzo di muri, tramezzi e porte, quelli romani non avevano nulla del genere.

Chi arrivava, si sedeva con gli altri su un bancone generalmente di marmo e privo di sedute anatomiche, sul quale erano stati praticati dei fori a distanza piuttosto ravvicinata. Per questo motivo, tali banconi erano detti “sellae pertusae”, cioè sedili forati. Gli avventori stavano, come è facile comprendere, gomito a gomito, coperti nelle parti intime solo dalle loro tuniche. Sotto le sedute, si trovava un canale con acqua corrente, la cui funzione era quella che oggi svolge il nostro sciacquone: lavare via tutto. C’era poi un canaletto, scavato nel pavimento, giusto ai piedi di chi stava seduto: c’era acqua che scorreva anche lì. Ma a che serviva? A immergervi un bastoncino con in cima una spugna, che veniva usato per pulirsi in mancanza di carta igienica. Quando l’operazione era finita, la spugna veniva staccata sfregando il bastoncino contro l’apertura del bancone e finiva, insieme ai bisogni, nelle fognature.

 A differenza delle nostre, spesso squallide, quando non sporche, le latrine pubbliche dei romani erano esteticamente curate: c’erano nicchie con statue di divinità (una delle più frequenti era la dea Igea, dal cui nome deriva il nostro termine igiene, ma si trovava anche la dea Fortuna), fontane con acque zampillanti, pareti con cascatelle d’acqua e bei colori alle pareti. Talvolta, tra un sedile e l’altro erano sistemati dei braccioli con la forma di delfino, che rendevano più comoda la permanenza e servivano a delimitare gli spazi.

I materiali usati, poi, dal marmo dei sedili, all’opus sectile o al mosaico per i pavimenti, che risultavano così facilmente lavabili, facevano pensare all’importanza di mantenere pulito l’ambiente.

E non c’erano nemmeno cattivi odori: spesso, infatti, i gabinetti pubblici si trovavano sotto i portici e, se erano in ambienti chiusi, avevano ampie finestre tenute costantemente aperte. Insomma, nulla era lasciato al caso.

 


















Le latrine pubbliche erano ovviamente a pagamento: chi entrava pagava i “conductores foricarum”, appaltatori del fisco, per il servizio offerto. La plebe più povera, che non poteva permettersi di sprecare denaro, aveva invece a disposizione delle giare poste agli angoli delle strade e generalmente in prossimità delle tintorie. I “fullones” (tintori), infatti, usavano l’urina, che contiene ammoniaca, per lavare e sbiancare i tessuti e quotidianamente svuotavano questi vasi nelle vasche dei loro negozi.

C’era però anche chi, dai piani alti delle “insulae”, i palazzoni della gente più povera, gettava in strada i propri bisogni, evitando così la fatica di scendere.

Va detto che, per chi aveva la possibilità di entrarvi, le latrine pubbliche offrivano l’occasione per un po’ di conversazione e socializzazione. C’erano anche casi, come denuncia Marziale, in cui andare ai bagni era il modo più semplice per cercare un un invito a cena da qualcuno più ricco. È quello cha faceva un certo Vacerra (Epigrammi XI, 77):

 “In omnibus Vacerra quod conclavibus

consumit horas et die toto sedet,

cenaturit Vacerra, non cacaturit”.


“Il fatto che Vacerra spreca le ore

nei gabinetti pubblici e se ne sta seduto là tutto il giorno,

vuol dire che Vacerra ha voglia di cenare, non di cacare”.

Speriamo, per Vacerra, che questo spreco di tempo gli sia andato a buon fine!

Dal sito VOCI ANTICHE   (articolo apparso su MILANOPLATINUM.COM)

MMP sta per Massimo Mariani Parmeggiani, che trova sempre argomenti di grande interesse culturale e culinario! Grazie per avermi fatto sorridere e imparare qualcosa che mi era sconosciuto almeno in parte. Infatti, non sapevo che usassero l'urina per trattare i tessuti, però ben sapendo che contiene ammoniaca, comprendo l'uso della stessa! 

Danila Oppio

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