Ho ricevuto oggi uno splendido dono da parte del Cav. Tommaso Mondelli, che tutti conosciamo per essere poeta e scrittore in prosa.
L'amico carissimo mi ha inviato il libretto che raccoglie una serie di poesie di VITTORIO LOCCHI, dal titolo I SONETTI DELLA MALINCONIA, che è stato stampato a Milano nel 1919, stessa data di nascita di chi me lo ha donato.
Egli è a conoscenza della mia smodata passione per i libri vecchi o addirittura antichi, soprattutto se riportano anche incisioni o disegni di un certo rilievo.
La copertina del libro è la seguente:
il retro della copertina, riporta il prezzo di vendita dell'epoca:2 lire!
Ora vorrei, prima di inserire le illustrazioni e altre pagine della silloge, parlarvi in breve della vita di Vittorio Locchi.
Quella di Vittorio Locchi è stata
una figura di rilievo nel panorama della poesia italiana di inizio Novecento.
Poeta ben più che promettente scomparse però, a soli 28 anni, a causa di un
sommergibile tedesco durante la prima guerra mondiale.
Locchi era nato a Figline Valdarno l’8
marzo 1889. Aveva ricevuto il medesimo nome del padre ucciso solo tre mesi
prima mentre cercava di separare due contendenti in una rissa. La sua
adolescenza è quella di un ragazzino esuberante, uno scapestrato. I giochi
all’aria aperta e i cavalli lo attirano più dei libri. Uno dei suoi due
biografi, Vittorio Franchini, racconta un episodio di una lite con un compagno.
In un impeto d’ira il giovane Vittorio afferra un calamaio e glielo scaglia
addosso. Il maestro si infuria e gli pone un ultimatum «O mettete giudizio, o
coi cavalli di ‘Zio Pasqualone’». Vittorio resta appartato tutta la mattina,
poi con fare sicuro va verso il maestro e lo informa della decisione “voglio
studiare”, gli dice-
Si fa chiudere in un collegio a Firenze. Studia
ardentemente e in un anno recupera il tempo perduto prendendo la licenza
tecnica. Prosegue gli studi all’Istituto tecnico, ramo Ragioneria. E qui ha il
primo incontro fondamentale della sua carriera: quello con il suo professore,
il poeta di scuola carducciana Diego Garoglio. È questi il primo ad
accorgersi del talento del giovane. Allora Vittorio è ideatore e direttore del
giornalino “L’Idea studentesca” un foglio portatore di idee patriottiche e
nazionalistiche.
Tornando a Figline Valdarno Vittorio dà vita con
alcuni amici ad una brigata in cui si compongono e si leggono poesie. I luoghi
di raduno sono le sponde del fiume Resco e un bar nella piazza del paese. La
loro diventa la “Brigata del Giacchio”. È lo stesso Vittorio Locchi
a raccontare l’origine del singolare nome:
«Una sera che il vento soffiava più forte, nacque d’improvviso il nome della brigata. Uno di noi, il più sciammanato e allegro […] portava sempre […] una giacca ampia e prolissa che non finiva mai. A vederlo, così lungo e magro com’è, camminare […] sventolando le braccia con le falde di quella sua giacchettina sempre al vento come ali, pareva proprio un uccellaccio. Quella sera il vento era più forte e a veder venire l’amico verso di noi come portato dalla giacchetta, mi venne fatto di dire: ‘Ecco il giacchio’. In lingua ‘giacchio’ è una rete, ma io gli avevo dato un significato tutto mio di giacchettine, tutti lo capirono subito e sul momento fu stabilito di chiamare la nostra compagnia ‘La Brigata del giacchio.’».
«Una sera che il vento soffiava più forte, nacque d’improvviso il nome della brigata. Uno di noi, il più sciammanato e allegro […] portava sempre […] una giacca ampia e prolissa che non finiva mai. A vederlo, così lungo e magro com’è, camminare […] sventolando le braccia con le falde di quella sua giacchettina sempre al vento come ali, pareva proprio un uccellaccio. Quella sera il vento era più forte e a veder venire l’amico verso di noi come portato dalla giacchetta, mi venne fatto di dire: ‘Ecco il giacchio’. In lingua ‘giacchio’ è una rete, ma io gli avevo dato un significato tutto mio di giacchettine, tutti lo capirono subito e sul momento fu stabilito di chiamare la nostra compagnia ‘La Brigata del giacchio.’».
Nella brigata viene composto il nucleo di quelle
poesie che, pochi anni dopo, verranno pubblicate come “Le canzoni del
Giacchio.” Intanto Vittorio diplomatosi ragioniere ha necessità di un impiego.
È il 1909, ha vent’anni, e trova lavoro come contabile in un’azienda fiorentina.
È un lavoratore scrupoloso, per quanto di fronte alle non riesca a non
distrarsi e così alcuni clienti alle lettere contabili trovano allegati fogli
di poesie. Vince poi un concorso per impiegato postale. Deve lasciare familiari
e amici e partire per Venezia.
È il 1910. Il periodo veneziano, che
per Vittorio durerà fino alla sua chiamata al fronte, si dimostrerà il più
importante e fecondo. Fonda una nuova compagnia poetica che chiama
“Tempestissima”. Si fa strada nel giornalismo e collabora con il giornale
“L’Adriatico”. Grazie all’interessamento del suo vecchio professore Diego
Garoglio riesce a pubblicare nella collana “Scrittori nostri” una scelta di
liriche del poeta veneziano del XV secolo Giustinian da lui commentate. Si
consolida poi in lui una fiorente vena drammaturgica e compone “La Notte di
Natale”, “La Tempesta” e soprattutto “L’Uragano”.
Negli anni veneziani avverrà anche l’incontro che
lo consacrerà come uno dei più promettenti giovani poeti italiani: quello con
l’editore spezzino Ettore Cozzani. Questi pubblica una collana di
poesia denominata “l’Eroica”, a celebrare la poesia che eroicamente resiste
nonostante i tempi ostili. Il critico Sam Benelli gli fa avere alcune poesie
del giovane Vittorio e Cozzani ne rimane entusiasta e decide di pubblicarle nel
1914 ne “L’Eroica” con il titolo “Le canzoni del Giacchio”.
Intanto, sempre nel 1914, quando
Gabriele D’Annunzio pronuncia a Quarto la famosa orazione per l’intervento
italiano nella prima guerra mondiale Vittorio ascolta entusiasta. Rientrato a
Venezia, una sera balza sui tavoli di un caffè in Piazza San Marco e arringa la
folla.
Con l’ingresso dell’Italia in guerra il 24 maggio 1915, Vittorio parte immediatamente per il fronte come tenente della XII divisione di fanteria. Al fronte scrive articoli per il Giornale d’Italia e compone “Il Testamento”. Si ammala, ma riesce a rientrare in tempo per partecipare il 9 agosto 1916 alla presa di Gorizia. Il generale Laderchi ha per Vittorio un incarico diverso dal suo ruolo abituale: comporre un poema per celebrare il successo. Obietta timidamente che forse non è la persona più adatta. Ma non può discutere l’ordine e completa l’opera prima del Natale di quell’anno. Ne nascerà la sua opera più famosa, “La Sagra di Santa Gorizia”, che pubblicata postuma per iniziativa del Cozzani verrà ristampata continuamente fino al 1968.
Con l’ingresso dell’Italia in guerra il 24 maggio 1915, Vittorio parte immediatamente per il fronte come tenente della XII divisione di fanteria. Al fronte scrive articoli per il Giornale d’Italia e compone “Il Testamento”. Si ammala, ma riesce a rientrare in tempo per partecipare il 9 agosto 1916 alla presa di Gorizia. Il generale Laderchi ha per Vittorio un incarico diverso dal suo ruolo abituale: comporre un poema per celebrare il successo. Obietta timidamente che forse non è la persona più adatta. Ma non può discutere l’ordine e completa l’opera prima del Natale di quell’anno. Ne nascerà la sua opera più famosa, “La Sagra di Santa Gorizia”, che pubblicata postuma per iniziativa del Cozzani verrà ristampata continuamente fino al 1968.
Poco prima, nonostante le condizioni di salute non
ottimali, Locchi aveva scritto ai superiori chiedendo di “tenerlo presente
nell’eventualità di una spedizione all’estero: essendo scapolo, giovane ed
entusiasta della nostra guerra, sarà tanto più lieto quanto più si tratterà di
andare lontano e d’incontrare rischi e disagi”.
All’inizio del 1917 il comando italiano decide di inviare un corpo di spedizione in Palestina. Vittorio Locchi viene prescelto per partecipare. Deve imbarcarsi per Napoli il 13 febbraio. Sono cinque le navi che salpano da quel porto. A Vittorio, che è ufficiale, sarebbe destinata una nave più agiata. Sceglie invece di imbarcarsi su una nave stracolma di soldati semplici: il Minas. La scelta gli sarà fatale. Il Minas viene affondato da un sommergibile tedesco a largo delle coste greche il 15 febbraio 1917.
Per alcuni giorni la famiglia di Vittorio spera. Poi la testimonianza del tenente Luigi Trevale scampato al naufragio fa piazza pulita di ogni dubbio. Vittorio ha scelto di andare incontro al suo destino, senza accapigliarsi con il resto della folla per un posto sulle scialuppe insufficienti. La testimonianza del Trevali è riportata da Cozzani nella sua appassionatissima biografia Come visse e come morì Vittorio Locchi. «È morto eroicamente cercando di calmare l’equipaggio in preda al panico. Il primo siluro, urla con tutta la sua forza il giovane Vittorio, non ha colpito gravemente, la nave non sta affondando. Poi un secondo sicuro e la nave s’ inclina verticalmente scomparendo in pochi minuti. L’edizione de I SONETTI DELLA MALINCONIA sono stati stampati due anni dopo la scomparsa dell’autore.
All’inizio del 1917 il comando italiano decide di inviare un corpo di spedizione in Palestina. Vittorio Locchi viene prescelto per partecipare. Deve imbarcarsi per Napoli il 13 febbraio. Sono cinque le navi che salpano da quel porto. A Vittorio, che è ufficiale, sarebbe destinata una nave più agiata. Sceglie invece di imbarcarsi su una nave stracolma di soldati semplici: il Minas. La scelta gli sarà fatale. Il Minas viene affondato da un sommergibile tedesco a largo delle coste greche il 15 febbraio 1917.
Per alcuni giorni la famiglia di Vittorio spera. Poi la testimonianza del tenente Luigi Trevale scampato al naufragio fa piazza pulita di ogni dubbio. Vittorio ha scelto di andare incontro al suo destino, senza accapigliarsi con il resto della folla per un posto sulle scialuppe insufficienti. La testimonianza del Trevali è riportata da Cozzani nella sua appassionatissima biografia Come visse e come morì Vittorio Locchi. «È morto eroicamente cercando di calmare l’equipaggio in preda al panico. Il primo siluro, urla con tutta la sua forza il giovane Vittorio, non ha colpito gravemente, la nave non sta affondando. Poi un secondo sicuro e la nave s’ inclina verticalmente scomparendo in pochi minuti. L’edizione de I SONETTI DELLA MALINCONIA sono stati stampati due anni dopo la scomparsa dell’autore.
Concludo pubblicando la prima poesia che compare nel testo.
Non posso però trascurare l'autore delle illustrazioni, ANTONY DE WITT.
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