Quando si parla di Leopardi, di norma vengono in mente le poesie imparate a scuola, o lo Zibaldone. Questa volta mi sono soffermata su alcune sue poesie che parlano di minestra e di pasta. Vi parrà strano, ma Leopardi sapeva anche ironizzare, non era solo quel solitario, triste, malaticcio poeta recanatese che conosciamo anche schivo e un po' misantropo!
Nei suoi "VERSI PUERILI" DEL 1809 (Aveva solo 11 anni essendo nato nel 1798), scrive contro la minestra, e mi porta a ricordare ll Giornalino di Gian Burrasca scritto da Vamba un secolo dopo, esattamente tra il 1907 e il 1908 a puntate sul Giornalino della Domenica, e poi raccolto in un libro nel 1912. Entrambi avversarono questo cibo, Giacomo perché gli sembrava un cibo per malati, e Gian Burrasca odiava la brodaglia del Collegio, proclamando la rivoluzione per ottenere La Pappa col pomodoro!
Dopo questa breve presentazione, ecco la poesia CONTRO LA MINESTRA del Leopardi bambino.
Molto divertente, vero? Non so se Vamba abbia avuto occasione di leggere questa composizione burlesca, certo è strano che un fatto analogo lo abbia riportato anche nella storia di Gian Burrasca! Peccato non poterglielo chiedere.
E a proposito di prodotti mangerecci, il 2 ottobre del 1833 Leopardi si reca a Napoli con l'amico Ranieri, nella speranza che il clima gli porti giovamento. Quattro anni dopo finirà la sua esistenza terrena.
Così conosce gli usi culinari dei napoletani. Qui sotto uno stralcio tratto da I NUOVI CREDENTI (chiedo scusa per la scansione poco chiara, che spero comunque leggibile, poiché il tomo dal quale l'ho tratta ha caratteri talmente piccoli che ho dovuto ingrandire il testo per renderlo leggibile, ma questo ha comportato un risultato scadente. Di meglio non ho potuto fare)
Nel 1835, Giacomo Leopardi, componendo i Nuovi
Credenti, non si fa scrupolo ad attaccare duramente il popolo
napoletano spiritualista beffandosi del suo
amore per i maccheroni. Egli è nell'ultima fase della sua poetica dove appare più
sicuro della sua concezione materialistica del mondo e più deciso a sostenerla contro la fede del
suo tempo nella provvidenza cristiana e nel progresso politico e tecnico. Suscita
la reazione dei napoletani, i quali però, più che le tesi filosofiche,
pensano a difendere proprio l'amore per la pasta. Senza badare al Dialogo di Tristano e di
un amico già pubblicato nel 1832, dove Leopardi scagiona il
suo pessimismo imputato unicamente
alla sua malattia, Gennaro Quaranta nella poesia Maccheronata,
risponde così:
«E tu fosti infelice e
malaticcio,
o sublime Cantor di Recanati,
che bestemmiando la Natura e i Fati,
frugavi dentro te con raccapriccio.
Oh mai non rise quel tuo labbro arsiccio,
né gli occhi tuoi lucenti ed
incavati,
perché... non adoravi i maltagliati,
le frittatine all'uovo ed il pasticcio!
Ma se tu avessi amato i Maccheroni
più de' libri, che fanno l'umor negro,
non avresti patito aspri malanni...
E vivendo tra i pingui bontemponi
giunto saresti, rubicondo e allegro,
forse fino ai novanta od ai cent'anni...»
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Anche il grande compositore Gioacchino Rossini, che si auto definiva
"Pianista di terza classe ma primo gastronomo dell'universo", amava
la pasta che si faceva spedire direttamente da Roma e da Napoli tanto che
nel 1859 in una lettera a un amico si
lamenta del ritardo di un carico firmandosi "Gioacchino Rossini Senza
Maccheroni".
Così, dopo il disprezzo per la minestrina e l'elogio ai maccheroni, impariamo a conoscere Leopardi anche sotto il profilo dell'arte culinaria!
Danila Oppio
E' bello trovare qui gli Autori
RispondiEliminaalle prese col cibo
non solo con gli Allori!
Angela Fabbri
Grazie Angie per l tuo simpatico e adeguato commento! Era proprio questo che volevo sottolineare. Conosciamo Leopardi per poesie tristi o seriose, qui mi ha divertito.
RispondiEliminaDani