POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

venerdì, aprile 1

FRANCISCO di RENATA RUSCA ZARGAR


FRANCISCO

Racconto scritto nel 2004, liberamente ispirato a una storia vera.

In Italia, esiste da anni il problema dei “minori non accompagnati” che si prestano a utilizzi mostruosi e delinquenziali di tutti i tipi.

Mentre sfaccendava qui e là per la capanna di paglia e fango alla periferia di Nampula, Sarima guardava di sottecchi suo figlio più piccolo, Francisco. Bastava uno sguardo verso di lui e si sentiva felice. Sì, era il suo prediletto: bello, intelligente, buono. Capiva subito quello che c’era da fare e, anche se era ancora piccolo, dieci anni, si occupava della casa, delle sorelle, faceva tante piccole commissioni…  

Al tempo del raccolto andava già ad aiutare il vicino che aveva un bel pezzo di terra perché loro, benché abitassero fuori città, non ne avevano neppure un quadratino. È che gli davano così poco! Ma era meglio di niente: aveva il permesso di raccogliere da terra i frutti e gli ortaggi che non erano buoni per la vendita. Sì, erano forse mezzi marci, ma non importava, c’era ancora tanto da mangiare e loro erano così poveri! Tutto serviva e nulla poteva essere sprecato.

Non sarebbe, però, stato sempre così: Francisco sarebbe cresciuto e presto avrebbe lavorato davvero. Magari avrebbe potuto fare il muratore: eh sì, guadagnavano bene i muratori! Con il suo salario avrebbe aiutato a sposare le tre figlie femmine, avrebbe aggiustato la casa, o addirittura ne avrebbe fatta un’altra in muratura…

Intanto, dopo averla salutata, Francisco era uscito di casa e Sarima aveva continuato nelle sue fantasticherie.

Un giorno, lei, che andava tutti i giorni a lavare piatti e pentole presso un ristorante della città, avrebbe potuto stare a casa e riposare. Magari, avrebbe potuto comprare una di quelle sedie a dondolo che aveva visto nella vetrina di un mobiliere e passare i pomeriggi a cucire e a dondolarsi là sopra…

Sì, sarebbe andata così: quel figlio così bravo li avrebbe tolti dalla miseria.

Lo aveva mandato anche qualche anno a scuola, perché imparasse almeno a leggere e a scrivere e potesse essere un domani un uomo libero, non come lei che non capiva le scritte che vedeva ovunque, che doveva chiedere tutto, farsi spiegare…

Sarima faceva anche un po’ fatica a parlare, sembrava che le parole non uscissero facilmente dalla sua bocca e le figlie le somigliavano in quello. Ma lui no: dalle sue labbra i suoni uscivano perfetti, come quelli della televisione che lei vedeva, ogni tanto, nello studio del padrone del ristorante.  

- Buongiorno, Sarima. - era la voce di Carlos, il vicino che faceva lavorare Francisco, che si era affacciato alla porta. - Come va? Sei in faccende? Sei sola? E le tue figlie dove sono?

- Una è a imparare a cucire e le altre due sono al mercato ad aiutare una zia che ha il banco là. - aveva risposto lei, un po’ impacciata, come sempre.

- Cercavo Francisco… Avrei un lavoretto da fargli fare.

- È andato a raccogliere del cartone per le strade, ma tornerà presto.

- Bene, quando arriva, mandalo da me. Domattina deve andare al mercato a vendermi due sacchi di batate che mi sono rimasti in magazzino. Potrà, poi, tenersene qualcuna per voi, so che vi piacciono le patate dolci.

- D’accordo, lo manderò. -

Francisco era giunto a casa che era già buio. Aveva raccolto un carrettino di cartone, in tutto il giorno, qui e là per le strade, e lo aveva già venduto. Consegnati i pochi spiccioli alla madre, si era subito avviato all’abitazione di Carlos per sentire cosa c’era da fare. Poco dopo, era rientrato e, con le sorelle e la madre, avevano diviso qualche verdura per cena. Poi tutti si erano stesi nei loro giacigli a terra.

Il mattino dopo, all’alba, quando ancora tutti dormivano, Francisco si era alzato e, baciata la madre sulla fronte e le sorelle, si era avviato con il suo carrettino al deposito di Carlos, circa un chilometro più avanti. Là, aveva caricato le batate e si era avviato al mercato in centro città.

Nelle stesse ore, in un ospedale alla periferia di Antananarivo, in una linda cameretta, Jenny sonnecchiava. Aveva tredici anni e il suo cuore non funzionava affatto bene. Fin da quando aveva sei anni, non aveva più potuto condurre la vita normale di una bambina: né corse, né giochi entusiasmanti ma solo libri e attività sedentarie ed era rimasta piccola e magrolina. Accanto a lei, in un altro lettino, riposava sua madre Cepta. I medici avevano cercato di curare Jenny ma poi, purtroppo, era giunta la terribile diagnosi: senza un trapianto non avrebbe potuto vivere ormai che pochi mesi.

Nel suo paese, l’Irlanda, Jenny era stata subito messa in lista per il trapianto, ma nessuno poteva sapere se ci sarebbe stato un donatore compatibile in tempo. La madre la osservava smagrire ogni giorno di più, diventare sempre più debole, mentre le settimane trascorrevano e non succedeva nulla.

Cepta aveva molto denaro ma ugualmente si sentiva impotente e disperata.

Quella era l’unica figlia e… l’avrebbe persa, se non fosse accaduto qualcosa.

Infine, un medico le aveva detto che a Durban, in Sud Africa, c’era un’equipe altamente specializzata in trapianti. Così, si era messa in contatto con loro e il primario stesso l’aveva rassicurata. Se si fosse trasferita laggiù, sarebbe stato più facile trovare il donatore.

Cepta non aveva ascoltato nessun altro consiglio. Erano già trascorsi due mesi dall’infausta diagnosi e presto sua figlia non sarebbe stata neppure più in grado di viaggiare. Doveva salvarla!

Così, insieme, si erano trasferite in un attrezzatissimo ospedale a Durban e, di là, erano state inviate ad Antananarivo in Madagascar, con l’assicurazione che il trapianto sarebbe stato questione di giorni, al massimo un paio di settimane.

Cepta non aveva voluto sapere altro.

Ora attendeva in quella camera di ospedale che venisse ridata la vita alla sua adorata bambina. Presto, pensava, ella avrebbe potuto giocare, ridere, correre, comportarsi come tutti gli altri ragazzi del mondo. Presto sarebbe tornata a scuola, poi sarebbe cresciuta, sarebbe andata al cinema, nei pub, a passeggio con le amiche e gli amici…  

Nelle stanze vicine, riposavano altre persone in attesa di organi. Ce n’erano un po’ di tutte le età: chi aveva bisogno di un rene, chi di un polmone, del fegato, o di una cornea… Tutti speravano di poter vivere ancora.

Erano le sei di mattina del 13 maggio 2004, il medico era venuto a dirle che, finalmente, era stato trovato un cuore adatto da un giovane donatore che aveva avuto un incidente e che avrebbero iniziato la preparazione di Jenny.

Cepta aveva cominciato a pregare Dio che l’operazione andasse bene e che sua figlia potesse ritrovare la luce del sole al suo risveglio dalla pesante anestesia.

Erano le sette del 13 maggio 2004. Francisco non era più. Un piccolo aereo si stava levando in volo dall’aeroporto di Nampula verso quello di Antananarivo. Al suo interno, insieme a medici e infermieri, si trovavano le borse che conservavano al freddo il loro prezioso contenuto.

Sarima era stata irrequieta tutto il giorno. Al ristorante, le erano caduti anche dei piatti di mano, due si erano rotti e aveva dovuto ripagarli al padrone. Non sapeva come mai, ma non si sentiva tranquilla. Eppure, ogni giorno i figli andavano al lavoro, non c’era nulla di diverso.

La sera, infine, rientrata alla baracca, aveva trovato le figlie, ma non Francisco. Strano. Dalla mattina non era ancora tornato dal mercato o era tornato e poi si era recato in qualche posto per un altro lavoro?

A notte fonda, poiché egli non era ancora a casa, si era recata da Carlos a chiedergli se sapesse qualcosa. Carlos dormiva ed ella aveva fatto fatica a farsi aprire la porta. Ma l’uomo le aveva detto che non aveva più visto Francisco da quando gli aveva consegnato il carico di batate e, anzi, non gli aveva ancora portato il denaro ricavato dalla loro vendita. Poi, se ne era tornato a dormire, consigliandola di fare altrettanto perché il ragazzo magari aveva trovato qualche altro lavoretto e sarebbe arrivato una volta finito.

Ma Sarima non poteva certo dormire: era la prima volta che Francisco si assentava per la notte, né era mai andato da nessuna parte senza avvisarla.

Il giorno dopo, Francisco non si era fatto ancora vivo ed ella era andata in giro per la città per sapere se qualcuno l’avesse visto. Al mercato sembrava che non fosse mai giunto perché nessuno, il giorno prima, aveva comprato batate da lui. Dov’era, dunque? Sarima si aggirava come un fantasma per le strade.

Un uomo, infine, le aveva detto che la polizia la stava cercando e l’aveva accompagnata al comando.

Là giaceva il misero corpo di Francisco che avevano trovato abbandonato in un vicolo, privato degli occhi e di tutti gli organi interni.

Nello stesso attimo che il suo sguardo era caduto sul suo bel bambino ridotto in quello stato, il cuore di Sarima si era fermato per sempre.

Renata Rusca Zargar


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