POETANDO
mercoledì, agosto 30
Jerry Hasani - Mostrami La Chiave (Official Video)
OMBRELLI RUBATI di DANILA OPPIO
Ombrelli rubati
dal vento malandrino,
s'innalzano festosi
verso un cielo imbronciato,
che piange sulle umane miserie,
eppure, i loro sgargianti colori,
dipingono di rosso e azzurro
il piatto grigiore sul mondo.
(Venuta così, tout à coup qualche anno fa)
Danila Oppio
SIKKERHEITS FESTIVALEN a LILLEHAMMER e Jo Nesbø - editoriale di DANILA OPPIO
Breve biografia di Jo Nesbø
Jo Nesbø è nato nel 1960 ad Oslo ed è cresciuto a Molde in Norvegia. Tracciare la sua biografia non è semplice, faremmo prima a elencare cosa non abbia fatto nella sua carriera rispetto alle sue tante professioni e occupazioni.
Si laurea in Economia presso la Norwegian School of Economics and Business Administration e prima di diventare scrittore è stato uno sportivo. Ha giocato a calcio – come il fratello – con il Molde, squadra con cui vanta importanti successi come la vincita del Norgesmesterskapet G19 1978, la competizione nazionale riservata ai calciatori Under-19.
Lavora per alcuni anni sia come giornalista free-lance, sia come broker in borsa, unendo le sue due passioni: l’economia e la scrittura.
Il primo romanzo giallo è Flaggermusmannen (Batman) con cui ottiene un successo immediato in patria, scalando le più importanti classifiche in tempi rapidi. Il romanzo è il primo della serie del detective Harry Hole, un vero e proprio antieroe tormentato e violento ma con un’innata e spiccata abilità investigativa. Nel 1998 vince il Glass Key Award per il miglior romanzo giallo norvegese.
Da questo romanzo pubblicherà altre opere con protagonista sempre il detective Harry Hole, come per esempio Il pipistrello (2014), Scarafaggi (2015), Il pettirosso (2006), Nemesi (2008), La ragazza senza volto (2009), L’uomo di neve (2010), Il leopardo (2012) Lo spettro (2012).
Altre due importanti saghe sono: la serie del Dottor Prottor e la serie il Pescatore. La serie del Dottor Prottor è dedicata ai ragazzi con avvincenti avventure di uno scienziato un po’ pazzo. In Italia è stato molto apprezzato dal pubblico con il libro Il cacciatore di teste (2013), un noir dalla trama avvincente che ha consolidato la fama di Nesbo come scrittore abile nel costruire storie solide ricche di suspense e colpi di scena.
Vince il Premio Norwegian Book Club 2008 nella categoria Miglior romanzo con L’uomo di neve e nel 2018 ottiene il Premio Chandler.
Dopo molti thriller, storie per bambini, saggi e racconti Nesbo si dedica inaspettatamente a una delle figure più emblematiche della letteratura inglese: William Shakespeare. Decide infatti di comporre un inedito rifacimento di Macbeth, scrivendo un vero e proprio noir ambientato durante i Settanta in una città della Gran Bretagna. Riprende totalmente la trama shakespeariana e con sé i suoi personaggi e le tragiche avventure restituendo all’autore inglese una contemporaneità mai affrontata sinora.
Oltre alla carriera di scrittore Nesbo è un musicista, un cantante per la precisione. È membro della band Di Derre con la quale ha inciso e pubblicato vari album. È del 2001 il suo esordio, invece, come solista con l’album Karusellmusikk.
È anche attore in vari film, tra cui va ricordato Hodejegerne del 2011, una pellicola tratta da un suo omonimo romanzo.
Pubblicato in più di 50 lingue, Nesbo è tra gli scrittori più amati nel panorama internazionale. Se non hai mai letto niente ti invitiamo a cominciare proprio con un bel giallo con protagonista il suo beniamino Harry Hole.
Qualche copertina delle sue molteplici opere letterarie:
Mio figlio è stato invitato a partecipare al SIKKERHEITS FESTIVALEN che si è è tenuto a Lillehammer nei giorni 28-29-30 agosto 2023 e che termina quindi oggi, dove ha presentato un suo progetto.Ecco l'invito:
IL MINISTRO DELLA DIFESA BJØRN ARILD GRAM APRE IL FESTIVAL DI QUEST'ANNO!
Ieri sera, dopo la cena conviviale dove hanno partecipato quasi 1.400 persone tra conferenzieri e ascoltatori, alla fine sul palco sono saliti due musicisti, uno di questi era proprio lo scrittore Jo Nesbø, con cappellino e occhiali!
sabato, agosto 26
A COSA SOMIGLIA IL GOLPE MILITARE NEL NIGER di P. MAURO ARMANINO
A cosa somiglia il golpe militare nel Niger
È il quinto della serie nel Paese dopo l’indipendenza ottenuta dalla Francia, come molti altri Paesi africani, nel 1960. Lo stadio nazionale di Niamey porta il nome del presidente Seyni Kountché, il militare autore del primo colpo di stato una dozzina d’anni dopo l’indipendenza citata. Nel breve arco della Repubblica si è visto il possibile e l’inimmaginabile in uno stato di diritto. Il Presidente militare Baré Mainassara, ad esempio, è stato barbaramente trucidato nel 1999 all’aeroporto della capitale dalla sua guardia ravvicinata. Gli autori del delitto e i mandanti non sono mai stati, a tutt’oggi, perseguiti penalmente. Il quinto golpe, in fase di sviluppo, appare singolare anche per la creativa modalità di esecuzione.
Il Presidente deposto, Mohamed Bazoum, si trova infatti prigioniero nel piano inferiore del suo palazzo e chi ha compiuto il golpe sono i militari della Guardia Presidenziale, in sé destinati a proteggerlo da quanto accaduto. Gli altri corpi militari si sono gradualmente allineati con gli autori del putsch che ha rovesciato il regime della settima Repubblica e sospeso la Costituzione con i partiti politici. Le minacce di intervento armato e le sanzioni economiche e politiche non hanno dato, almeno finora, nessun risultato di rilievo se non quello di compattare buona parte della popolazione attorno ai militari. Quanto al golpe stesso, atipico nell’esecuzione, contribuisce a creare, nel cuore della città un misto di sentimenti ed emozioni.
Nel frattempo, il Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria, CNPS, ha provveduto alla nomina di un nuovo primo ministro, dei ministri e dei governatori (militari) nelle differenti regioni in cui è suddivisa l’amministrazione del Paese. Ogni domenica e a volte anche durante la settimana, si assiste a manifestazioni popolari di appoggio alla giunta militare specie quanto più forte suonano i ‘tamburi di guerra’ della Comunità degli Stati dell’Africa Occidentale, Cedeao. Per il resto, per la gente comune, tutto continua come sempre e la quotidiana lotta per l’esistenza si conferma e rafforza con le interruzioni più lunghe di luce, l’aumento dei prezzi e le frontiere che bloccano i camion pieni di mercanzie deperibili.
Nell’aria della capitale c’è un senso di incompiutezza e di attesa di ulteriori sviluppi che bene potrebbe esprimere il dramma di Samuel Beckett ‘Aspettando Godot’. Il protagonista che ha invitato i personaggi sulla scena e che non arriverà mai. I suoi vari porta parola ripetono che Godot manda a dire che arriverà non ora ma ‘certamente domani’. Proprio questo sentimento di accadimento di un qualcosa o qualcuno sembra caratterizzare il momento di questo strano putsch. Tra tentativi di mediazione più o meno felici e minacce ricorrenti di intervento armato, scorre come il fiume Niger il sopravvivere quotidiano della gente qualunque. Chi più di lei, la sabbia, che tutto ascolta, sopporta e accoglie può comprendere che il colpo di stato si realizza nell’attesa di ‘Godot’ che, certamente, arriverà domani.
Mauro Armanino, Niamey, agosto 2023
NDR: Samuel Barclay Beckett è stato un drammaturgo, scrittore, poeta, traduttore e sceneggiatore irlandese
Nascita: 13 aprile 1906, Foxrock, Irlanda
Morte: 22 dicembre 1989, Parigi, Francia
venerdì, agosto 25
SCULTURE TANTO STRAORDINARIE DA CREDERE VERE! di DANILA OPPIO
Sembrerebbe un lavoro ad uncinetto, ma al contrario è una scultura dell'artista greco Argiris Rallias, membro dell'accademia delle belle arti di Carrara. Naturalmente eseguito su marmo di Carrara. Capolavoro.
IL DISINGANNO
Francesco Queirolo (Genova, 1704 – Napoli, 1762)
Il capolavoro del Queirolo è senza dubbio il Disinganno, opera dedicata da Raimondo di Sangro al padre Antonio, duca di Torremaggiore. Dopo la prematura morte della moglie, Antonio si diede a un’esistenza avventurosa e disordinata, affidando il figlio alle cure del nonno Paolo. “Asservito – come ricorda la lapide dedicatoria – alle giovanili brame”, il duca viaggiò per tutta Europa, ma in vecchiaia, ormai stanco e pentito degli errori commessi, tornò a Napoli, ove trascorse gli ultimi anni nella quiete della vita sacerdotale.
Il gruppo scultoreo descrive un uomo che si libera dal peccato, rappresentato dalla rete nella quale l’artista genovese trasfuse tutta la sua straordinaria abilità. Un genietto alato, che reca in fronte una piccola fiamma, simbolo dell’umano intelletto, aiuta l’uomo a divincolarsi dalle maglie intricate, mentre indica il globo terrestre ai suoi piedi, simbolo delle passioni mondane; al globo è appoggiato un libro aperto, la Bibbia, testo sacro ma anche una delle tre “grandi luci” della Massoneria. Il bassorilievo sul basamento, con l’episodio di Gesù che dona la vista al cieco, accompagna e rafforza il significato dell’allegoria.
Nell’Istoria dello Studio di Napoli (1753-54) Giangiuseppe Origlia definisce a ragione questa statua “l’ultima pruova ardita, a cui può la scultura in marmo azzardarsi”: il riferimento è ovviamente alla virtuosistica esecuzione della rete, che lasciò sgomenti celebri viaggiatori sette-ottocenteschi e continua a stupire i turisti odierni. A tal proposito, si tramanda che – come era già avvenuto al Queirolo anni prima nella realizzazione di un’altra statua – lo scultore dovette personalmente passare a pomice la scultura poiché gli artigiani dell’epoca, specializzati proprio nella fase di finitura, si rifiutarono di toccare la delicatissima rete per paura di vedersela frantumare sotto le mani.
IL SIGNIFICATO DELL'OPERA
Il Disinganno, come attesta ancora l’Origlia, è un’opera “tutta d’invenzione del Principe, e nel suo genere totalmente nuova”, non ritrovandosene altra simile né tra gli antichi né tra i moderni. Tale monumento ha, non a caso, una simbologia ricca e complessa. Il richiamo al contrasto tra luce e tenebre, evocato dall’allegoria principale nonché dal bassorilievo (con la frase “Qui non vident videant”) e dai passi biblici incisi nel libro aperto, appare un chiaro riferimento alle iniziazioni massoniche, in cui l’iniziando entrava ritualmente bendato per poi aprire gli occhi alla nuova luce della Verità custodita dalla Loggia. Bellissima la dedica composta da Raimondo, in cui la vita del padre viene posta a immortale esempio della “fragilità umana, cui non è concesso avere grandi virtù senza vizi”.
IL CRISTO VELATO
GIUSEPPE SANMARTINO, 1753
Giuseppe Sammartino (Napoli, 1720 – 1793) è considerato uno dei maggiori virtuosi della scultura del Settecento in Italia, noto soprattutto per la scultura del Cristo velato nella cappella di Sansevero di Napoli, che è sempre stata oggetto di interesse per l’abilità e la maestria con cui l’artista è riuscito a replicare la leggerezza del velo attraverso l’utilizzo del marmo. La statua ha avuto moltissima fortuna negli anni, al punto che venne visitata più volte da grandi artisti come Antonio Canova e iniziarono a diffondersi diverse leggende intorno alla reale natura del velo, secondo alcuni troppo sottile per essere davvero di marmo (molti ritenevano, infatti, che si trattasse di un reale tessuto cristallizzato secondo processi esoterici).
Vennero compiute alcune analisi e ricerche mirate per confermare che effettivamente Sammartino aveva realizzato il velo in marmo e lo aveva lavorato in maniera magistrale, così come era stato richiesto dal committente Raimondo di Sangro, principe di Sansevero. Il successo del Cristo velato garantì allo scultore numerose commissioni tra la Campania e la Puglia, nella seconda metà del Settecento. Inoltre, venne chiamato spesso su cantieri di altre opere per la propria competenza e consulenza, affermandosi dunque come artista degno di elevata stima tra i suoi contemporanei.“Una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua.”
Dal documento contabile firmato da Raimondo di Sangro a favore di Giuseppe Sanmartino per la realizzazione della statua. COSÌ PERFETTO DA SEMBRARE TESSUTO
La fama di alchimista e audace sperimentatore di Raimondo di Sangro ha fatto fiorire sul suo conto numerose leggende. Una di queste riguarda proprio il velo del Cristo di Sanmartino: da oltre duecentocinquant’anni, infatti, viaggiatori, turisti e perfino alcuni studiosi, increduli dinanzi alla trasparenza del sudario, lo hanno erroneamente ritenuto frutto di un processo alchemico di “marmorizzazione” compiuto dal principe di Sansevero.
LA VERITÀ SUL VELO
In realtà, il Cristo velato è un’opera interamente in marmo, ricavata da un unico blocco di pietra, come si può constatare da un’osservazione scrupolosa e come attestano vari documenti coevi alla realizzazione della statua. Ricordiamo tra questi un documento conservato presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli, che riporta un acconto di cinquanta ducati a favore di Giuseppe Sanmartino firmato da Raimondo di Sangro (il costo complessivo della statua ammonterà alla ragguardevole somma di cinquecento ducati).
Nel documento, datato 16 dicembre 1752, il principe scrive esplicitamente: “E per me gli suddetti ducati cinquanta li pagarete al Magnifico Giuseppe Sanmartino in conto della statua di Nostro Signore morto coperta da un velo ancor di marmo…”. Anche nelle lettere spedite al fisico Jean-Antoine Nollet e all’accademico della Crusca Giovanni Giraldi, il principe descrive il sudario trasparente come “realizzato dallo stesso blocco della statua”. Lo stesso Giangiuseppe Origlia, il principale biografo settecentesco del di Sangro, specifica che il Cristo è “tutto ricoverto d’un lenzuolo di velo trasparente dello stesso marmo”.
UN CAPOLAVORO RICAVATO DA UN UNICO BLOCCO DI MARMO
Il Cristo velato è, dunque, una perla dell’arte barocca che dobbiamo esclusivamente all’ispiratissimo scalpello di Sanmartino e alla fiducia accordatagli dal suo committente. Il fatto che l’opera sia stata realizzata da un unico blocco di marmo, senza l’aiuto di alcuna escogitazione alchemica, conferisce alla statua un fascino ancora maggiore.
La leggenda del velo, però, è dura a morire. L’alone di mistero che avvolge il principe di Sansevero e la “liquida” trasparenza del sudario continuano ad alimentarla. D’altra parte, era nelle intenzioni del di Sangro – in questa come in altre occasioni – suscitare meraviglia: non a caso fu egli stesso a constatare che quel velo marmoreo era tanto impalpabile e “fatto con tanta arte da lasciare stupiti i più abili osservatori”.
UNA DELLE OPERE PIÙ SUGGESTIVE AL MONDO
Posto al centro della navata della Cappella Sansevero, il Cristo Velato è una delle opere più suggestive al mondo. Nelle intenzioni del committente, la statua doveva essere eseguita da Antonio Corradini, che per il principe aveva già scolpito la Pudicizia. Tuttavia, Corradini morì nel 1752 e fece in tempo a terminare solo un bozzetto in terracotta del Cristo, oggi conservato al Museo di San Martino. Fu così che Raimondo di Sangro incaricò un giovane artista napoletano, Giuseppe Sanmartino, di realizzare “una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua”. Sanmartino tenne poco conto del precedente bozzetto dello scultore veneto. Come nella Pudicizia, anche nel Cristo velato l’originale messaggio stilistico è nel velo, ma i palpiti e i sentimenti tardo-barocchi di Sanmartino imprimono al sudario un movimento e una significazione molto distanti dai canoni corradiniani.
L’INTENSITÀ DRAMMATICA DELLA SCULTURA
La moderna sensibilità dell’artista scolpisce, scarnifica il corpo senza vita, che le morbide coltri raccolgono misericordiosamente, sul quale i tormentati, convulsi ritmi delle pieghe del velo incidono una sofferenza profonda, quasi che la pietosa copertura rendesse ancor più nude ed esposte le povere membra, ancor più inesorabili e precise le linee del corpo martoriato.
La vena gonfia e ancora palpitante sulla fronte, le trafitture dei chiodi sui piedi e sulle mani sottili, il costato scavato e rilassato finalmente nella morte liberatrice sono il segno di una ricerca intensa che non dà spazio a preziosismi o a canoni di scuola, anche quando lo scultore “ricama” minuziosamente i bordi del sudario o si sofferma sugli strumenti della Passione posti ai piedi del Cristo. L’arte di Sanmartino si risolve qui in un’evocazione drammatica, che fa della sofferenza del Cristo il simbolo del destino e del riscatto dell’intera umanità.
La pudicizia Velata
La scultura che vi propongo oggi è la Pudicizia di Antonio Corradini, nota anche come la Verità Velata, scolpita dall’artista per la Cappella di Sansevero nel 1752.
Raimondo di Sangro dedicò l’opera alla memoria di Cecilia Gaetani dell’Aquila di Aragona, sua madre che morì il 26 dicembre del 1710. Era il giorno di Santo Stefano e Raimondo ancora non aveva compiuto il primo anno di vita.
Antonio Corradini, nato a Venezia nell’ottobre del 1688, era uno scultore rinomato al livello europeo e a Vienna aveva lavorato al servizio dell’imperatore Carlo VI.
Fu chiamato a Napoli dal Principe di Sansevero per partecipare all’ambizioso progetto della sua cappella e gli affidò la realizzazione della Pudicizia. Il fato volle che Corradini morì lo stesso anno che terminò di lavorare a quest’opera, nel 1752 e una lapide posta da di Sangro al pilastro del suo capolavoro, lo ricorda.
Non era la prima volta che Corradini si cimentava con le figure velate ma nel caso della Pudicizia raggiunse l’apice, riuscendo a scolpire un velo che accarezza le forme dell’allegoria in modo naturale. Sembra un velo umido che aderisce al corpo evidenziandone le fattezze. Il velo ricade sulle braccia della donna, terminando in un sublime panneggio ornato da una ghirlanda di rose.
Nell’opera si ritrovano simboli direttamente collegati all’esistenza spezzata troppo presto della madre del committente. La figura mostra uno sguardo perso, è presente l’albero che simboleggia la vita e la lapide spezzata.
Allo stesso tema della vita e della morte è riconducibile il bassorilievo posto sul basamento che mostra l’episodio del Noli me tangere, momento in cui Cristo appare dinnanzi alla Maddalena nei panni di un ortolano.
La scultura della Pudicizia non solo celebra la memoria di Cecilia Gaetani ma offre più livelli di lettura. La donna velata può essere intesa come un’allegoria della sapienza ma è anche un’esplicita citazione di Iside, la dea velata amata dalla scienza iniziatica. Anche in quest’opera, come nel caso del Disinganno di Queirolo presente nella medesima Cappella di Sansevero, non manca il riferimento alla massoneria. Non è un caso infatti che gli storici Joseph Rickwert e Rosanna Cioffi abbiano riscontrato che la figura della Verità Velata nel frontespizio della celebre Encyclopédie settecentesca abbia molto a che fare con la Pudicizia del Corradini.
Antonio Corradini, La Velata Il busto in marmo, comunemente chiamato la 'dama velata', raffigura probabilmente un’Allegoria della Fede cristiana, cui rimanda la croce radiante sul petto. Antonio Corradini fu uno dei più apprezzati scultori del Settecento veneziano che non a caso, oltre a fornire i progetti per la decorazione dell’ultimo bucintoro, lavorò per molte corti europee e italiane. Finì la sua vita a Napoli dove si era recato per decorare la Cappella Sansevero su commissione del principe alchimista Raimondo di Sangro. Rispetto ad altri scultori che tradussero in forma tridimensionale i vibranti effetti luministici della pittura rococò, egli optò per un composto classicismo, per niente rigoroso, venato da eleganze neo-ellenistiche. Corradini fu apprezzato già presso i suoi contemporanei per il virtuosismo tecnico con cui realizzava figure femminili ricoperte da un drappo bagnato. La lieve trasparenza del velo invece di nascondere l’immagine, ne lasciava trapelare i lineamenti sottostanti, raggiungendo esiti di intrigante sensualità, che in questo caso stride con il significato religioso della statua.
Autore Antonio Corradini (Este 1688 - Napoli 1752) Data 1720 circa Museo Ca' Rezzonico Collocazione Sala Guardi Tecnica Marmo scolpito
La Velata (vestale Tuccia)
La Madonna velata fu scolpita in marmo di Carrara dallo scultore italiano Giovanni Strazza (1818-1875) a Roma. Si tratta di un gioiello perfetto di arte. Nonostante non sia una scultura antichissima, non si sa molto della creazione della Vergine Velata. Gli storici ritengono che lo scultore milanese abbia realizzato il pezzo mentre lavorava a Roma, negli anni ’50 dell’800, e nel contesto del Risorgimento italiano raffigurasse metaforicamente l’Italia.
Il volto femminile mostra la Vergine Maria con gli occhi chiusi, la testa inclinata verso il basso, con uno sguardo che sembra essere assorto nella preghiera o in un pacifico dolore, entrambe espressioni classiche delle raffigurazioni della Vergine.
La scultura è realizzata in prezioso marmo di Carrara, uno dei supporti privilegiati per gli scultori italiani del periodo. Il marmo toscano era inoltre un grande classico per la rappresentazione dei veli, che furono un motivo scultoreo popolare durante i contemporanei dello Strazza. Fra le altre sculture in marmo di Carrara si ricordano la “Dama Velata” di Pietro Rossi e Raffaele Monti.
L’opera fu inviata nel 1856 in Canada, dove l’allora vescovo di Terranova, John Thomas Mullock, elogiò con queste parole la nuova acquisizione: “Ho ricevuto una bellissima statua della Beata Vergine Maria in marmo da Strazza (…) E’ una gemma d’arte perfetta“. Il suo trasferimento fu documentato con grande entusiasmo da un giornale locale, The Newfoundlander: “Dire che questa rappresentazione supera nella perfezione dell’arte qualsiasi pezzo di scultura che abbiamo mai visto, trasmette, ma debolmente, la nostra impressione della sua squisita bellezza. La possibilità di un simile trionfo dello scalpello non era mai entrata nella nostra concezione. Il linguaggio ordinario fallisce sempre nel rendere giustizia a un soggetto come questo, alle rare emozioni che produce in chi lo guarda“.
La scultura venne custodita nel Palazzo Episcopale della cattedrale di San Giovanni a Terranova e Labrador finché nel 1862 non è stata spostata nell’adiacente convento delle Suore della Presentazione.
Ed ora diamo un po' di spazio anche ai capolavori moderni, sempre sul genere di statue velate.
Scultura : panneggio moderno...
Statua di Benjamin Victor personalizzata a grandezza naturale
la statua della signora di Shangott
Benjamin Matthew Victor è uno scultore americano che vive e lavora a Boise, nell'Idaho. È l'unico artista vivente ad avere tre opere nella National Statuary Hall del Campidoglio degli Stati Uniti. Attualmente sta scolpendo la sua quarta statua per la Statuary Hall, di Daisy Bates. Wikipedia (inglese)
Nascita: 16 gennaio 1979 (età 44 anni), Bakersfield, California, Stati Uniti
Anche questo giovane artista non scherza per nulla, in quanto a panneggio che riveste i suoi angeli e le signore che vestono con drappeggi morbidi, ma non sono tessuti!!
Complimenti a tutti questi artisti di un tempo lontano e attuali!
Danila Oppio
mercoledì, agosto 23
MAURIZIO PICARIELLO - alcuni suoi ricordi
COME UNA BANDIERA AL VENTO di P. MAURO ARMANINO
Come una bandiera al vento
Bandiera della Liberia
Il giorno seguente, il 24 agosto, si festeggia la bandiera della Liberia con una sola stella e le strisce sul tipo della bandiera degli Stati Uniti, secondo il numero delle ‘contee’ o regioni. Una bandiera che i migranti liberiani di Niamey si tramandano dall’uno all’altro. Attorno ad essa, per un giorno, sentono e condividono la fierezza di una patria che li ha bruscamente allontanati da sé. Dopo la festa lei, lei tornerà da qualche parte in attesa che un’anima buona si prenda cura di lei. L’amore della libertà ci ha portati qui, sta scritto sulla bandiera liberiana. A scriverlo furono alcuni schiavi liberati d’America che poi inventarono il Paese.
Bandiera del Niger
Bandiera della Russia
Mauro Armanino, Niamey, 23 agosto 2023,
memoria della tratta degli schiavi
C'est dans la nuit du 22 au 23 août 1791 qu'a commencé à Saint Domingue, aujourd’hui République d'Haïti, l'insurrection qui devait jouer un rôle déterminant dans l'abolition de la traite négrière transatlantique.
C'est dans ce contexte que la Journée internationale du souvenir de la traite négrière et de son abolition est commémorée le 23 août de chaque année. Les premières commémorations de la Journée ont eu lieu dans plusieurs pays, notamment le 23 août 1998 à Haïti et le 23 août 1999 à Gorée au Sénégal.
Cette Journée internationale vise à inscrire la tragédie de la Traite dans la mémoire de tous les peuples. Conformément aux objectifs du projet interculturel « Les Routes des personnes mises en esclavage », elle doit être l'occasion d'une réflexion commune sur les causes historiques, les modalités et les conséquences de cette tragédie, ainsi que d'une analyse des interactions qu'elle a générées entre l'Afrique, l'Europe, les Amériques et les Caraȉbes.
GIORNALISMO? QUALCHE VOLTA FA RIDERE PER CERTI STRAFALCIONI! di DANILA OPPIO
Leggo le notizie sui giornali online, e a volte non posso resistere al farmi una bella risata, per i vari refusi che divertono. Mi chiedo, per un articolo breve come quello che sto pubblicando ora, ci vuole tanto a rileggere e correggere? Se non lo fa l'autore dell'articolo, lo faccia almeno chi si occupa della pubblicazione!
Ecco dunque di cosa si tratta: