Se la “Dolce vita” ha rappresentato una Roma che
non ho potuto conoscere, per motivi anagrafici, se non quando era già
declinata, la Roma mondana (e mondana in tutti i sensi), della
Grande Bellezza, è quella della mia generazione. La pseudo intellettuale
di sinistra in preda a una crisi di nervi, “sono” quelle femministe che dai
microfoni di Radio Citta’ Futura invitavano le donne “proletarie” ad
abbandonare i propri mariti. Quelle benestanti borghesi che rinchiuse in via
Del Governo Vecchio, non lasciavano i loro, architetti e professionisti di una
Roma bene, più che di sinistra… sinistri nel loro decadentismo intellettuale.
La borghese ch’era stata bella, destinata all’anonimato per il proliferare di
carne più giovane di lei ed altrettanto se non di più, disponibile di lei ma
che nel mio immaginario somiglia a quella Marcelle dell’Età della Ragione di
Sartre.
Le sfarzose feste di una nobiltà tutt’altro che
d’animo, d’una romanità perduta dall’avvento dei nuovi ricchi, cafoni e burini
ma dalle enormi disponibilità economiche. Le case arredate come musei del nuovo
senza alcuna personalità, o infinitamente barocche d’uno sfarzo ereditato senza
averlo vissuto.
Via Veneto, Caracalla, il Gianicolo, uno
spettacolare attico sul Colosseo che toglie il respiro. Il dipinto notturno quella città di papi e imperatori che m’è appartenuta per uno dei
tanti screziati periodi della mia esistenza.
E’ la Grande Bellezza il libro mai scritto dal
protagonista, vissuto di allori per una pubblicazione giovanile che gli ha dato
accesso ad aperte cosce , vogliose d’un intelletto non posseduto e che il
protagonista “sprecherà”, rendendosene conto con mal celato cinismo sul volgere
del termine della sua esistenza. Un protagonista tutto sommato grato per quanto
ha, in un certo qual senso, immeritatamente ottenuto da tutto ciò che lo ha
circondato.
Inutile dire di aver subito il fascino di questo
Jep Gambardella, tanto vicino alle radici della mia sconclusionata esistenza,
consapevole di non essere diventato quello che gli altri avrebbero voluto e che
si ritrova spaesato in quell’unica mattina in cui causalmente sveglio, non la riconosce come
sua.
Sono nel mio immaginario i mangiatori di fuoco
delle notti di Piazza Navona, attività che perfino io ho fatto seppure solo per
scommessa, in quell’età’ dove ancora dovevi dimostrare qualcosa, se non agli
altri a te stesso. Il gobbo che leggeva la mano guardandoti nell’occhi e le
ragazze che subendo il fascino perverso della morte che t’accompagnava, che te
la davano senza nemmeno doverla chiedere.
Un fantastico Servillo che i francesi, perennemente con la puzza sotto il naso, ci
invidiano, e fanno bene, non potendo loro mai arrivare a quelle vette che solo
il Cinema italiano e’ in grado di raggiungere, per un motivo che a tutt’oggi mi
rimane sconosciuto.
Me lo diceva in tempi non sospetti, Roger Vadim,
uno dei mariti di B.B., gli americani andavano matti per quei film che qui da
noi non riscuotevano un gran successo ai botteghini. Gli americani erano
strepitosi nella realizzazione tecnica dei film, ma i sogni di uno Zavattini o
di un Fellini, per loro erano inimmaginabili, impossibili perfino da mettere in
uno story board ed ora Sorrentino, il nuovo visionario di quel “dolce inganno”
che, a tutti gli effetti e’ il Cinema.
La fotografia, inutile dirlo, e’ spettacolare
senza la benché minima sbavatura, un voluto “sole in macchina” (l’unico di
tutto il film) che come un abbaglio ti riporta per un istante alla realtà che
si tratta di un film che altrimenti potresti perderti per sempre all’interno della
pellicola. Giusta perfino la colonna sonora che unisce tra loro le immagini di
questo eterno “trenino” d’una i terminabile festa dove devi divertirti per
forza. I non troppi dialoghi essenziali all’opera filmica come solo nel Postino
avevo già visto.
I francesi se ne facciano una ragione, a loro
rimane comunque la palma delle commedie sexi. Un consiglio a chi ancora non ha
visto il film, al pari di certi film epici e, come si diceva un tempo, di largo
respiro, va visto nel buio amniotico di un cinematografo, senza interruzioni
pubblicitarie che sono un po’ come quando ti svegli di notte per andare al
bagno…interrompono quell’emozione onirica e vagamente sensuale che e’ il sogno
con una realtà non necessaria. Non preoccupatevi di non capire e godetevi un qualcosa
che è il senso stesso dell’esistenza… la vita.
Massimo Mariani Parmeggiani
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