Quattro anni fa, nel 2012, avevo preparato 9 elaborazioni grafiche a china, per illustrare alcune poesie inserite nella silloge del Poeta Gavino Puggioni. Ovviamente in bianco e nero. Oggi le ho trovate in una cartella del pc, mi sono divertita a colorarle un poco, almeno nello sfondo. Ma vorrei raccontarvi anche la storia di come sia nata la copertina di questa silloge:
Avevo trovato sul web questa foto, che mi ha colpito moltissimo:
Il poeta Gavino Puggioni aveva scritto una poesia dal titolo "Il bambino con la chiave", e ho mostrato all'autore questa foto. Ha pensato così di farla vedere alla brava illustratrice Debora Cabboi, che l'ha presa come modello per studiare un disegno che rappresentasse quel bambino in possesso di una chiave molto speciale.
Ed ecco il risultato:
Questo bellissimo disegno è stato riportato nella copertina della silloge poetica titolata NELLE FALESIE DELL'ANIMA - o delle umane emozioni.
Copertina silloge.
La poesia che ha ispirato il disegno è la seguente:
Il bambino con la chiave
L'avevo visto quel bambino
son passati tanti anni
ormai
l'avevamo visto noi tutti
quel bambino in compagnia
della sua solitudine
migrare da una terra
all'altra
con quella chiave simbolica
nelle sue mani
a voler aprire
a voler dire
a voler urlare
al mondo intero
apritemi quella porta!
che nessuno osava sfiorare
Apritemi quella porta!
dietro di essa
c'è il mio mondo
c'è la mia speranza
quella che mi avete rubato
quella che state uccidendo
quella che io voglio
salvare
Apritemi quella porta!
Con me ci sono milioni di
bambini
guardateli! ascoltateli!
sono i miei compagni
siamo i vostri figli
in questa vita che tale
ancora non è
Apritela! quella porta
la Terra è nostra
vogliamo viverla!
Gavino Puggioni
22 novembre 2012
I miei disegni sono stati ridotti al minimo indispensabile, e situati a fondo pagina di 9 delle innumerevoli poesie contenute nella silloge stessa.Qui le ho ingrandite, come avrebbero dovuto risultare nel libro. Tengo a precisare che l'autore mi aveva spedito la bozza in cartaceo della sua raccolta poetica, e per la quale ho provveduto a correggere alcuni refusi e offrirgli qualche suggerimento.
Alla silloge ho contribuito anche con una prefazione, la seguente:
Il titolo racchiude tutto il
pensiero filosofico dell’Autore. Non servono luoghi e spazi di tempo, di come
sia giunto a comporre l’attuale silloge, occorre percorrere le falesie
dell’anima, per svelare il senso delle poesie di Puggioni, è comunque
importante conoscere il motivo per cui ha scritto questi versi, e quali
emozioni li hanno dettati. Le falesie sono coste con pareti rocciose che
scendono a picco sul mare. Quelle dell’anima, sono le poesie che scendono a
picco nell’interiorità dei poeti, per riversarsi nel mare calmo e profondo
della scrittura.
L’Autore
si è definito “una maschera dipinta – in una vita mascherata – da emozioni
infinite”. Appare evidente l’input che fa scaturire i versi del Poeta, da
addebitare alle sensazioni che gli affiorano nell’animo. La vita interiore,
così intuisco, pare sia l’unica capace di donargli pienezza di sentimenti, che
esterna con vera maestria, attraverso la liricità dei suoi versi.
Il
suo amore incondizionato per la Terra, questo nostro Pianeta tanto maltrattato,
e per l’intera umanità, soprattutto quella sofferente, strappa al Poeta urla di
sconforto, versi di disperazione che cadono come lacrime sopra i fogli di
carta, sui quali verga le sue composizioni.
Il
ricordo del passato, della sua infanzia felice, gli fa cantare una nenia
malinconica e insieme sublime, di quella vita vissuta accanto ai suoi affetti
familiari, ai luoghi che l’hanno visto bambino. Si accorge che il tempo è
implacabile, inflessibile, e che la vita vissuta ha lasciato una scia di
ricordi che, pur facendo parte del trascorso, ritornano nel presente, come il
relitto di una nave, affiorato sulla superficie del mare tanto amato dal Poeta.
I giorni sono colmi di ricordi che lasciano una sensazione di vuoto apparente,
poiché già il ricordo riempie mente e cuore.
In
HO SOTTERRATO PIETRE, chiude con questi versi: ”Non ho sotterrato la memoria –
che veglia su di me – pegno d’amore – per una vita semplice – dedicata a tutto
– piena di niente”. E’ come se dopo aver vissuto occupandosi di mille cose,
l’Autore si fosse accorto che in fondo non erano così importanti. Non è un po’
così per tutti noi? Il tempo scorre, e dalla solita umana indifferenza, si
ritrova in un pomeriggio in cui il vento del deserto sibila nel silenzio, un
boato del nulla infranto alle porte dell’infinito.
Scrive,
il Poeta, del pomeriggio di una giornata ventosa, ma anche del meriggio della
sua esistenza.. La parabola discendente della vita, non si può chiamare sera.
Non fino a che vive nel cuore la speranza: speranza in un mondo migliore, della
sopravvivenza di sentimenti colmi di umanità, in un’apoteosi di consapevolezza
che vale ancora e sempre la pena di essere vissuta. Non è sera, fintanto che
dietro una porta chiusa se ne apre un’altra, che si spalanca su nuove
meraviglie, poiché la vita non è sempre triste, perché ci sono ancora musiche
infinite da ascoltare, e la primavera che rifiorisce ancora e sempre.
Puggioni
è un poeta amareggiato, a volte proprio arrabbiato per come gira il mondo, a
causa delle guerre, della fame che dilania i popoli, dei bambini maltrattati,
un mondo che diventa sempre più indifferente ai veri bisogni dell’umanità.
Il
Poeta s’identifica, quindi, come una pallina: “Sono una pietra dura – scalfita
– consumata – sbattuta come una pallina – sempre a rotolar – tra pensieri
impervi – viali di una vita – che scorre e corre lenta – verso la sua meta”.
C’è molto realismo in questi versi, e una sottile rassegnazione, che però
spesso scompare, illuminata da un rivolo di speranza.
L’Autore
termina la silloge con questo lirismo: “…lassù, soli – ci abbraccerà il vento –
che spazzerà il male – dall’universo…e la vita ritornerà”.
Rimane
ancora molta positività dentro gli armoniosi versi dell’Autore, che con occhio
attento dipinge la Vita com’ è realmente, piena di contraddizioni, di bellezza
e di fango, ma che lascia aperta la porta alla Dea Spes, che come tutti
sappiamo, se dovesse proprio morire, sarebbe davvero l’ultima.
Danila Oppio