Vi racconto un fatto accadutomi una quindicina d’anni
fa. Facevo parte della Redazione dell’Insieme, il bollettino parrocchiale, nel
quale venivano regolarmente pubblicati i miei articoli, che portavano la mia firma.
Un giorno scrissi un testo che riguardava il rapporto tra mamme e figli ma, in
accordo con il parroco, invece di firmare col mio nome, adducendo che non era
giusto che apparissi ogni volta, mi firmai “Una mamma”. Passò qualche anno. Un giorno una persona mi avvicinò, e mi consegnò un foglio dattiloscritto,
chiedendomi se potevo pubblicare il suo contenuto nel giornalino parrocchiale.
Gli diedi una scorsa, e compresi che si trattava di quel mio articolo di tempo
addietro. Le chiesi da dove l’avesse estrapolato. Mi rispose di averlo scritto lei.
La guadai in viso e le dissi: veramente l’ho scritto io, e lo pubblicai con la
firma “una mamma” perché non volevo apparire. In ogni caso, l’articolo è già comparso sull’Insieme, quindi non lo
ripubblico, e stracciai quel foglio in faccia a quella infida persona.. Tra
tutti i redattori, è venuta a proporre proprio a me questa meschinità, che ero la
vera autrice di quell’articolo. Che figura di emme! Se questo non si chiama plagio, con quale
altro nome si potrebbe definire?
Se ci penso, mi viene ancora da ridere, ma occorre
stare attenti, perché prendersi carico di un merito che non ci appartiene, è un
furto bello e buono.
Danila Oppio
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