POETANDO

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lunedì, febbraio 6

DIERESI - di Roberto Vittorio Di Pietro



       SIGNIFICATO DI DIERESI  




Fenomeno fonetico e metrico (dal greco diaíresis, “disgiunzione”) per cui due vocali contigue in una parola, che dovrebbero costituire un dittongo, vengono divise in due sillabe distinte. La dieresi, che si oppone alla sineresi, è solitamente indicata con due puntini sopra la vocale.
Nei testi letterari, la dieresi può essere utilizzata per ragioni stilistiche o metriche, affinché due vocali contigue che comporrebbero una sillaba unica vengono contate come due sillabe all’interno del verso (è il caso del primo verso del sonetto di Cecco Angiolieri  "S’i’ fosse foco, aredereï ‘l mondo" o di Dante "…Dolce color d’orï/ental zaffiro…" (Dante, Purgatorio, I, v.13)
La dieresi è diffusa anche nelle lingue straniere: in tedesco, ad esempio, è usata per indicare il fenomeno dell’Umlaut (detto in italiano metafonia o metafonesi).
Mi scrive Roberto Vittorio Di Pietro, che ringrazio per la sua chiara delucidazione sull'argomento, che dimostra la sua profonda conoscenza in materia. Un grande maestro!

Cara Danila,
quanto alla dieresi che, giustamente lei definisce ormai fuori uso, mi piace offrirle un’osservazione ancora oggi tutt’altro che inutile: 

 si sa che nella poesia italiana classica, tradizionalmente concepita secondo precise regole metriche – e, aggiungerei non secondariamente, destinata ad una corretta lettura ad alta voce -- alla dieresi era affidata la precisa funzione di scindere in sillabe separate le vocali di un dittongo altrimenti monosillabico e, come tale, con effetti destabilizzanti sotto il profilo ritmico complessivo del componimento. Di conseguenza, per garantire il rispetto di questo fattore in termini di vocalità più che di scrittura, occorrerebbe che nella recitazione di testi redatti da autori classici il lettore/dicitore si dimostrasse in grado di far notare all’ascoltatore la cruciale presenza di una dieresi. Uso un condizionale siccome, oggi come oggi, capita molto spesso che, nella lettura di testi poetici, gli attori incaricati di porgere il testo vocalmente, non si curino di questo particolare, in definitiva usando violenza alle indicazioni  di un determinato poeta, e in tal modo – ciò che è maggiormente riprovevole - privando il testo poetico di alcune ulteriori pregevoli qualità estetiche insite proprio in alcune sfumature ritmico-sonore volutamente ricercate in sede di composizione.

Torniamo quindi alla lirica pascoliana NEBBIA. Come avevo già rilevato, qui il Pascoli, mediante l’alternanza di novenari, di ternari e di senari, riesce magistralmente a creare, a cavallo tra un verso e l’altro, una sequenza di “novenari ombra” -- ossia un particolare ritmo dattilico ininterrotto, molto incisivo e gradevole all’orecchio di un ascoltatore. E allora, provi lei stessa a verificare, leggendo la lirica ad alta voce,  la differenza che si propone all’udito con l’eliminazione di quella dieresi metricamente fondamentale. Riprendiamo soprattutto il novenario ombra in questione:

piene le/ crepe

di /valeri-/ane

cioè, raffigurato in termini metrici:

+ -  -/+ -
-/+ - -/+ -

Noterà come in questa sequenza di tre dattili fondamentali (ovvero un tempo di valzer: zum pa pa/zum pa pa/zum pa pa…),il secondo dattilo (crepe di) risulta deliberatamente suddiviso fra il primo verso e il secondo. Ne consegue che il dattilo centrale del secondo verso (valeri), per conservarsi integro e percepibile all’udito, non può ritmicamente scivolare come niente fosse verso la desinenza trocaica del verso (una sorta di dattilo monco) che rivendica una cadenza metrica a sé.
Spero di essere stato sufficientemente chiaro in questa spiegazione, pur senza l’auspicabile supporto della mia viva voce.
Ed ora le propongo, per suo intimo gusto uditivo, un’altra lettura ad alta voce dove la dieresi presenta analoga importanza: il meraviglioso sonetto ALLA SERA di Ugo Foscolo. Qui siamo in presenza di endecasillabi canonici, dove il cardine ritmico è dato dall’accentuazione imprescindibile sulla quarta e/o sesta sillaba tonica:

Forse perché della fatal qui-ete
 (ovvero, dieresi sulla “i”)
Tu sei l’imago, a me sì cara vieni
O sera, e quando ti corteggian liete
(dittongo normale, senza dieresi)
Le nubi estive e i zefiri sereni…ecc.

Purtroppo, contravvenendo alle intenzioni dell’autore, quella dieresi la si trova non di rado graficamente omessa nelle versioni stampate del sonetto, per cui tanti attori/lettori ci privano di una perla sonora in più che il poeta desiderava porgere.

 Infine, scusandomi di un peccatuccio di autoreferenzialità (un vizietto molto diffuso in questa nostra società narcisista, dal quale cerco il più possibile di rifuggire) mi pare di qualche utilità rimandarla ad una mia lirica di quelle dedicate nel 2015 alla memoria del compianto Rodolfo Tommasi, e da lei già pubblicata nel blog. In quella poesia non esito a recuperare – a ragion veduta, come preciserò – l’uso di una dieresi la cui funzione in questo caso ha un doppio valore sia metrico, sia spiccatamente semantico. Ecco il verso estrapolato, che non avrà difficoltà a trovare nel blog:

Io e non più ïo: fanciullino e ormai
senza più peso come mi sognavo...ecc.

Si tratta di versi il cui destinatario al quale sono idealmente rivolti non è  Giuseppe Ungaretti, o meglio lo è ma solo in quanto spirito di un artista defunto  --  il quale, nell’aldilà, considera il proprio status di trapassato con saggio e sereno distacco in rapporto a quelle che erano state le proprie troppo umane passioni, in prospettiva definite futili “balocchi” con i quali si era ciecamente gingillato durante il proprio soggiorno terreno.

Ebbene qui, a parte il necessario accento canonico sulla quarta sillaba metrica del verso, è fondamentale comprendere come, attraverso quella semplice dieresi, io abbia inteso rispecchiare il definitivo superamento (nell’oltretomba) di quel dualismo dell’ego, che – specie secondo alcune importanti filosofie orientali -- rappresenta una delle maggiori  insidie cui  ogni creatura razionale dovrebbe tentare di sottrarsi, aspirando ad una sintesi unificatrice negli eventuali panni di uomo eccezionalmente “illuminato”.

Tanto per dirle che -- come succede per alcuni abiti smessi che improvvisamente acquistano l’insospettabile valore di oggetti “vintage”?...diciamo pure così—forse persino quei due puntini insulsi possono rivelarsi un tesoretto nascosto in certi casi: anche in letteratura, perché no,  qualunque strumento va sfruttato se, chissà, lo si scopre capace di soddisfare  determinate esigenze espressive. E in questo caso, cara Danila, proprio a quell’indimenticabile Rodolfo Tommasi, le cui capacità critiche personali ritengo e sempre riterrò essere state di gran lunga superiori ad ogni norma, non sfuggiva che in quell’unico verso, tramite l’uso di una semplice dieresi (da nulla?) ero in fondo riuscito a compendiare dei risvolti filosofici che avrebbero richiesto una complessa e ben diversa articolazione in altro contesto. Ricordo che quando mi disse di aver saputo autonomamente cogliere subito quel dettaglio, ne fui talmente commosso che quasi non potei astenermi dal gettargli le braccia al collo.

E a proposito del grande Rodolfo Tommasi, ripropongo la lirica di Di Pietro, a lui dedicata dove, nell'ultima strofa, si può notare l'uso della dieresi.
Per l'intero articolo, vi rimando a questo link:

RICORDO E MEMORIA

(a te: ma come intercettando
un sospiro postumo
del tuo venerato Ungaretti)


i.

“Ieri, nel salutarmi al camposanto,
spargendo vere lacrime giuravi:
Sempre con te sarò! Non dubitare…’

Domani già – e non sai? – più caldi affetti
t’affliggeranno…e, giusti, appanneranno
ricordi che volevi imperituri.

Delta di vecchio fiume è la memoria:
giudiziosa, sul greto d’ogni morte
 assesta l’onda del vivere altrui.”

ii.

“D’immenso illuminato?...Ah, non sapevo!…
Ora soltanto, alfine, eccomi desto,
uscito da una veglia sonnacchiosa
fatta di voli ad occhi mal dischiusi.

Io e non più ïo: fanciullino e ormai
senza più peso come mi sognavo,
qui, se rammento, con distacco canto
il dolce dei miei inutili balocchi.”

 Roberto Vittorio Di Pietro

6 commenti:

  1. E la dieresi in albanese? Ad esempio nell'albanese ' surprizȅ ‘ (pron. ‘ surprìs ‘) = sorpresa.
    Angela Fabbri

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  2. Si è una sorpresa, se non si pronuncia! Ma qui ci vorrebbe un commento appropriato da Roberto, il quale legge ma non commenta mai!
    Ciao Angie!

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  3. E deriva dai supplì, me l'hai detto tu, una volta, Danila.
    Et maintenant... Meine Weltanschauung wird mehr klar. Während die Tage gehen.
    Angela


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  4. Das stimmt ! Dafür bin ich dankbar. Schönen Tag noch!
    Danila

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  5. Das stimmt, nicht's wahr?
    Ich erinnere noch viele Dinge, vielleicht zuviele Dinge...
    Angela

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  6. bene ricordare....ma sarebbe meglio passare oltre, a meno che i ricordi non siano piacevoli e allora il ricordo fa compagnia! Ciao
    Danila

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