Autore: Roberto Di
Pietro
Titolo dell’opera:
“PHANTAASIA non IMAGINAATIO VERA” (Poema di pagine 179,
estratto dalla silloge poetica
intitolata “A testa in giù”)
Editore: IL LEONE
VERDE (ERA -
POESIA) -- TORINO
Prezzo di copertina:
Euro 18,59
Recensione
a cura di
Marcella Artusio Raspo
(pubblicata sulla
rivista di cultura “alla bottega” -
Pavia, N. gennaio-giugno 2003)
Ho
letto con crescente interesse “Phantaasia non Imaginaatio Vera” di Roberto Di Pietro, un ampio poema di
taglio teatrale che, pur essendo stato pubblicato separatamente, è parte
integrante del terzo capitolo dell’ultima silloge dell’autore medesimo,
intitolata “A testa in giù”. Si
tratta di un testo poetico (concepito in perfetti versi endecasillabi e
settenari alterni) che, attraverso un coinvolgente moltiplicarsi di linguaggi e
di varianti stilistiche ricollegabili ad una cultura notevolmente estesa,
stratificata e profondamente assimilata, si aggrega attorno ad un nucleo
unitario che è la fiaba di Cappuccetto Rosso rovesciata nel suo intimo
significato e nella morale.
Un’opera
di autentica, raffinata sperimentazione, questo poema di Di Pietro, giocato com’è su elementi linguistici e
culturali appartenenti alle epoche più diverse della letteratura, a cui si
sovrappongono, e mai a caso, intonazioni e “tic” del linguaggio d’oggi,
soprattutto giovanile, che va dal fumetto alla parlata in codice dei
rockettari, alle deformazioni del lessico televisivo: il tutto in un
parodistico e paradossale caleidoscopio di sfaccettature, talvolta di lettura
necessariamente ardua, talvolta di studiata lapidaria elementarità. Questa
innovazione creativa, che dissacra con virtuosismo le regole estetiche
consolidate nel tempo nonostante le avanguardie storiche del Novecento, mi
ricorda il “poeta plurale” Fernando Pessoa, che però ricorre a degli eteronimi
a cui corrispondono opere diversissime tra loro, mentre Di Pietro condensa in
un solo poema di vasto respiro le stratificazioni di scrittura che si sono
intrecciate nella sua vasta formazione culturale e nella sua non comune
sensibilità artistica. Il viaggio
“iniziatico” di Cappuccetto Rosso nel bosco, trasposizione in chiave moderna
(simbolica quindi, già nella ouverture del poema, l’efficacissima
descrizione dell’abbigliamento della bimba troneggiante su “zatteroni” rossi)
dell’antica Fedra, con tutti i risvolti orfici e misterici che implica questo
personaggio (qui ripreso nella mitica triade Fedra-Ippolito-Arianna “signora
del labirinto”) è di una suggestione talmente sotterranea da riportarci alle
origini di noi stessi: un buio totale, inquietante, attraversato da sussurri
indecifrabili, illuminato a tratti da una luna emblematicamente ambigua –
orfica anch’essa – che torna non a caso ad affacciarsi nella chiusa:
Rimase a disperarne
in quella notte
assorta,
stellata ancora,
invasa dalla luna.
Sentì già il
trepestio…
già quel notorio
passo…
l’orecchio teso, già
su per la scala…
preannunciando
quell' “urlo” primigenio di Fedra-Cappuccetto, che sbarra la fine del
poema.
Al
di là dei personaggi mitologici e di quelli quotidiani (almeno in apparenza),
come quello della Madre della bambina -- figura che già all’inizio del testo
veniva fatta sopraggiungere per “la scala a spirale” (e sappiamo quale
significato abbia la spirale nel linguaggio iniziatico in genere, come nella poetica di William B. Yeats) --
portatrice di una morale “comune” che ancora sopravvive bacchettona, falsamente
cristiana, sostanzialmente oppressiva, il poema si dispiega in una costruzione
verticale la cui acme è rappresentata dalla sfida solitaria del “diverso” sia
in campo etico, sia in campo estetico, sia in senso più ampiamente umano e
sociale. Questo Lupo, costretto a
mascherarsi, non è il lupo cattivo consegnatoci piuttosto arbitrariamente dalla
tradizione fiabesca, in quanto temibile “diverso”, ma è un lupo buono e
ingenuo: innocente così come lo ha creato la natura secondo regole che
investono tutti gli esseri viventi.
Alla luce di questo concetto, Di Pietro in definitiva propone una
corretta identità secondo natura (l’Emile di Rousseau fa testo), che si può
realizzare nonostante i bavagli, i condizionamenti e le ipocrisie culturali che
giungono da più parti. Ne emerge un particolare messaggio ideologico: occorre
essere amanti del prossimo fin che si può, eppure mai al costo di una rinuncia
alla propria essenza spirituale; sapendosi, cioè, conservare veramente liberi e
fedeli fino in fondo alla propria indole, al proprio modo di essere naturale e
spontaneo. E ciò ad ogni prezzo sul piano materiale: anche se, per questa forma
di intima coerenza intransigente, priva di compromessi -- come quella esemplare
del Lupo Asterio, per l’appunto – si sia destinati non solo all’ostracismo, ma
alla fucilazione.
Dal
punto di vista poetico, l’opera di Di Pietro è senz’altro pienamente
risolta: la parte iniziale della
Anabasi, intessuta di reminiscenze classiche e rinascimentali (Poliziano e
Ariosto in particolare, ma non solo) viene a contrapporsi con sapienza alla
parte conclusiva della Catabasi, per quella spiccata tensione drammatica degli
opposti, tra razionalità e irrazionalità, tra intelletto e passione (lì si
annida il dualismo orfico) che ne caratterizza lo scenario grandioso e tragico,
come lo è la commedia umana.
M.A.R.
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