POETANDO

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domenica, febbraio 3

ZIBALDONE: Stralcio di alcune prime pagine e commento di Danila Oppio




ZIBALDONE DEI PENSIERI
Stralcio dalle prime pagine e commenti di Danila Oppio

In molte opere di mano dove c’è qualche pericolo (o di fallare o di rompere ec.) una delle cose più necessarie perché riescano bene è non pensare al pericolo e portarsi con franchezza. Così i poeti antichi non solamente non pensavano al pericolo in cui erano di errare, ma (specialmente Omero) appena sapevano che ci fosse, e per franchissimamente si diportavano, con quella bellissima negligenza che accusa l’opera della natura e non la fatica. Ma noi timidissimi, non solamente sapendo che si può errare, ma avendo sempre avanti gli occhi l’esempio di chi ha errato e di chi erra, e però pensando sempre al pericolo ( e con ragione perché vediamo il gusto corrotto del secolo che facilissimamente ci trasporterebbe in sommi errori, osserviamo le cadute di molti che per certa libertà di pensare e di comporre partoriscono mostri, come sono al presente, per esempio, i romantici) non ci arrischiamo di scostarci non dirò dall’esempio degli antichi e dei Classici, che molti pur sapranno abbandonare, ma da quelle regole (ottime e Classiche ma sempre regole) che ci siamo formate in mente, e diamo in voli bassi, né mai osiamo alzarci con quella negligente e sicura e non curante e dirò pure ignorante franchezza, che è necessaria nelle somme opere dell’arte, onde pel timore di non fare cose pessime, non ci attendiamo di farne delle ottime, e ne facciamo delle mediocri, non dico già mediocri di quella mediocrità che riprende Orazio, e che in poesia è insopportabile, ma mediocri nel genere delle buone cioè lavorate, studiate, pulitissime, armonia espressiva, bel verso, bella lingua, Classici ottimamente imitati, belle imagini, belle similitudini, somma proprietà di parole, (la quale soprattutto tradisce l’arte) insomma tutto, ma che non sono quelle, non sono quelle cose secolari e mondiali, insomma non c’è più Omero Dante l’Ariosto, insomma il Parini il Monti sono bellissimi, ma non hanno nessun difetto. (LEOPARDI)

Mi soffermo un attimo su questa parte, che vista con gli occhi della scrittura odierna, appare ampollosa e ripetitiva, con quei franchissimamente e facilissimamente decisamente eccessivi, di una spesso mancata punteggiatura, (volutamente mancata?) quell’imagini che pare un errore di stampa ma che appartiene all’autore.  Quel che invece appare chiarissimo è il pensiero del Poeta-filosofo sul modo di poetare troppo studiato, elaborato, che però manca di spontaneità, anche di fantasia, ma soprattutto mancante di quei difetti che fanno dell’artista un genio! Geniale il nostro Giacomo!




Quanto scrive qui Leopardi, pare di riviverlo ai giorni nostri. L’inciviltà che progressivamente avanza a seguito di una precedente civiltà, che deturpa le menti, che manca di fantasia, l’illusione che fa dell’uomo un essere pensante, la speranza che tiene in tensione gli animi, l’ardore. Della Ragione che annebbia i sentimenti che non si riescono più ad esprimere artisticamente.  E non è il caso di ripetere quanto sostiene l’autore. Duecento anni fa lamentava le stesse situazioni che si stanno verificando oggigiorno. O che si erano presentate ai tempi dell’Impero Romano, della Magna Grecia e, in epoche più recenti, di tutti quegli imperi nati da guerre espansionistiche, come quelle volute dall’Impero Napoleonico o Britannico. Ma anche dell’Italia con le sue Colonie. Che è rimasto? E lo stesso decadimento è avvenuto nell’arte, in tutte le sue forme. (Recentemente ho scritto di Marina Abramovic e della sua installazione a Palazzo Strozzi, potrebbe essere definita in vari modi, forse novità, fuorché opera d’arte). Si tratta dei corsi e ricorsi storici. Cadute e risalite, ma più spesso veri e propri cedimenti. E in queste due pagine Leopardi ne fa un tratto molto chiaro. Così come vanno oggi le cose, direi che siamo arrivati alla frutta. A parte qualche rara eccezione che appartiene a uomini carichi di umanità, di sapienza, di buon senso e di vero senso dell’arte.
Per ora ho espresso il mio pensiero che collima perfettamente con quello dell’autore dello Zibaldone.

Ho notato espressioni linguistiche tipiche dell’epoca in cui visse, oggi un po’ arcaiche, ma anche altre, che sono tuttora attuali nel parlato odierno.

“…un popolo oltremodo illuminato non diventa mica civilissimo…!

“ non importava un fico… Noi avremmo aggiunto “secco”.
Vi suggerisco di meditare su queste sue due pagine e soprattutto sulle due righe finali dello scritto leopardiano.

Danila Oppio

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