Tutto questo
mio desiderio di libertà, di autonomia, anzi di indipendenza, mi ha comunque
preso la mano se mi ritrovo a 62 anni sola anche se felicemente in pensione
(piccola e non tutta: la riforma Fornero è riuscita a bloccarmene 10 anni
regolarmente contribuiti come lavoratore autonomo).
Mi sono
svegliata e mi sono sentita una sopravvissuta. Mi sono finalmente guardata allo
specchio riconoscendomi soprattutto per simpatia. La stessa che mi permette di
accogliere con una certa naturalezza tutti gli sgarbi dell’età e del mio vivere
da trasfertista e da pendolare per decenni, rotta a tutte le intemperie.
Appunto, rotta, come sento le mie ossa quando mi alzo al mattino, ma
piacevolmente incredula di non dovere prendere ancora il treno per Bologna col
buio e tornare col buio. Bologna è stato il mio pendolarismo più comodo.
Adesso ho
finalmente il tempo per essere felice e infatti spesso lo sono. La felicità non
ha un motivo, è un sorriso che improvvisamente nasce dentro e scoppia talvolta
in una bella risata che fa trovare bella la vita anche quando stendo i panni in
balcone.
Ecco, prima
non avevo il tempo di sentire quel sorriso, di ascoltarmi ridere dentro. Questo
è il più grande regalo che mi ha fatto l’andare in pensione.
Non è che ho
perso il mio DNA musone e troppo critico, quasi isterico nella sua precisione.
Solo che sempre più spesso mi rompe e cerco di ridimensionarlo. Perché adesso
sento che il tempo ha da dirmi una parola fine.
In sostanza, e
per concludere questo racconto, devo dire che ho attraversato crisi e sono
stata precaria per tutta la vita.
Tranne i primi
5 anni, che furono la mia età felice, entrata nel mondo con la scuola mi ero
resa conto di dipendere dagli insegnanti e da mio padre e dalle regole che
regolavano la vita degli esseri umani di sesso femminile fatta soprattutto di
continua diplomazia (io direi ipocrisia), di camminamento sul filo, di altalena
che, se non era un via-vai di sesso, era una vera e propria barcarola.
Poi la
mancanza di lavoro, poi il lavoro a cottimo, poi il lavoro in prova, poi io
stessa ho dato una volta le dimissioni per scrivere un libro, poi sono tornata
come piccolo consulente informatico in Svizzera, poi ho super-lavorato fino a
andar via di testa e sbarcare in analisi, poi ho cambiato ditta per un’altra
che avviava un progetto nuovo e all’avanguardia e lo era così tanto che il
progetto s’interruppe e fui licenziata (ditta con meno di 16 dipendenti).
Poi mi ha cercato
e trovato un’azienda solida, ma dopo 11 anni ha considerato che, per
motivazioni economiche, era meglio convertirmi da dipendente a tempo
indeterminato a consulente a partita Iva, che lo lasci a casa più facilmente se
il mercato non tira. E mi sono gustata questa minestra precaria per i
successivi 10 anni. Quando, cambiando il vento del mercato, mi hanno riassunto
in pianta stabile. Non chiedetemi il perché che non me lo spiego ma ne
ringrazio il destino perché alla fine del 2008 io avevo già 57 anni.
In tutte le
mie precarietà mi è mancata la Cassa Integrazione e diventare Esodata. Da
quest’ultima precarietà mi sono salvata per il rotto della cuffia, acquisendo
il diritto alla pensione per età e contributi INPS il 3 ottobre 2011, appena in
tempo per sfuggire al lavoro a maglia Fornero-Monti.
E adesso che
in pensione ci sono, devo constatare che mi rimane un’ultima precarietà, quella
che è comune a tutti. Essendo ineliminabile mi secca molto, dopo aver tanto
combattuto.
Bah! Cercherò
di fare sempre delle cose che mi rendano orgogliosa di me stessa e che vadano
verso gli altri. Che servano a accompagnare i più giovani di me verso il
traguardo di tutti, producendo cibo buono per il corpo e per il cervello e
anche di fare dello spirito (i giovani sono sempre molto seri, talvolta
serissimi), in modo che, se non si può ingannare la morte, si possa almeno
ingannare l’attesa.
Del resto,
questa storia di sentire sempre più spesso la morte, mi capita dalla
menopausa. Dopo che quel girovagare di
ormoni si è interrotto o ridotto, sembra che il cervello sia rimasto
soprattutto lui a farla da padrone e non è quasi mai un padrone simpatico, pesa
sempre tutto, per lui 2 + 2 fa sempre 4, con la bacchetta ti illustra
sulla lavagna come alla vita, ovviamente, non c’è altra soluzione che il suo
inevitabile termine e non parliamo dell’anima che è roba solo per bigotti
paurosi e tu non avrai mica paura?
Lasciamo
perdere, lo ascolto perché dopo tutto sono io e non posso farne a meno e mi
ricorda talvolta una frase del “Paradiso perduto” di Milton (vedi che la
cultura serve), riferito a Lucifero (angelo a me tanto simpatico che ne ho
scritto anni fa la breve e vera storia):
<< Suo
regno è nel cervello
ed
in se stesso
può far dell’Ade un Ciel,
del Cielo un Ade >>.
Be’, siccome
ancora non sopporto di avere un padrone, foss’anche il mio prezioso cervello,
ho deciso di costituirmi a sindacato e discuterci mettendo in atto una nuova
strategia.
Ora, io sono
un ex informatico (ho esercitato attivamente l’arte per 34 anni, più di metà
della mia vita fin qui) e per me gli indici di memorizzazione/ricerca sono
fondamentali.
Così ho notato
che in me è sempre esistito, forte, pulito, lucido, puntuale appunto, l’indice
RAZIONALE che lavora mettendo in relazione le cose.
Bene, sto
costruendomene un altro che avevo sempre così trascurato da non conoscerne
l’esistenza: l’indice EMOZIONALE. E con lui sto rivisitando il mondo.
Scopro cose
nuove, anche andando a ritrovare le antiche, che mi spaventano anche un po’
perché non ci sono abituata. O forse è l’indice di VECCHIAIA?
Comunque sia,
non faccio male a nessuno.
A distanza di
quasi 40 anni ho dunque avuto la strana ventura di sapere come poi è andata a finire
questa ricerca di libertà.
E incontrare
Sesìl, che ha la mia età di allora, mi ha detto quanto sarebbe stato prezioso
raccontare.
Ho vissuto
così, per un po’ più di un mese, contemporaneamente in 2 mondi lontani, sono
salita a cavallo del tempo, una specie di Colosso di Rodi con un piede nel
secolo scorso e l’altro piede nel presente. Sapendo che entrambi poggiano
sull’argilla e le loro impronte ne saranno inghiottite come tutte quelle dei
viventi che passano sulla riva del mare.
E dopotutto,
rileggendo lo scritto, mi sembra proprio che quei vent’anni me li sono portati
dietro fin qui, ai giorni nostri.
Dove
m’interrompo perché le nuove abitudini mi chiamano da un po’.
- Fine –
Angela Fabbri
C’è una remota
possibilità, Sesìl, che leggendo quel che ho scritto tu decida di scegliere la
laurea, la famiglia, i figli.
Ciao.
La tua Angela
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