Lawrence Alma:Ask me no more |
Viuamus mea Lesbia atque amemus rumoresque senum seueriorum omnes unius aestimemus assis. Soles occidere et redire possunt nobis cum semel occidit breuis lux 5 nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille deinde centum dein mille altera dein secunda centum deinde usque altera mille deinde centum. Dein cum milia multa fecerimus 10 conturbabimus illa ne sciamus aut ne quis malus inuidere possit cum tantum sciat esse basiorum.
TRADUZ. LETTERALE
Viviamo mia Lesbia e amiamo e le chiacchiere dei vecchi troppo severi tutte valutiamo[le] di un asse. I soli possono cadere e ritornare; a noi, quando una sola volta cade / è caduta la breve luce, notte è perpetua unica da dormire. Dammi mille baci, poi cento poi mille altri, poi secondi cento poi fino ad altri mille, poi cento. Poi, quando [ne] avremo fatto molte migliaia, li confonderemo, perché non sappiamo, o perché qualche malvagio non possa invidiare, poiché tanto sa esser[ci] di baci.
1. Parmindo Ibichense (pseudonimo in Arcadia di F.M. Biacca, Milano 1740)
E' veramente straordinaria la possibilità di tradurre una poesia in tanti modi diversi.
Quando l'ho studiata io, alcuni decenni fa, la versione che mi era stata presentata dagli insegnanti, era quella che ho evidenziato in grassetto.
Sono spiacente per aver dovuto pubblicare il tutto in forma continuativa e non con gli stacchi dei versi, ma in questo modo, sarebbe occorso molto spazio.
Viviam, Lesbia, viviamo, e amiamoci insieme, E de’ vecchi più austeri Stimiam le ciarle un zero. Se vedi a sera il sol tuffarsi in mare,
La mattina tu ‘l vedi far ritorno; Una volta per noi, ch’è spento il giorno Sonno d’eterna notte i sensi ingombra. Dammi, Lesbia, baci mille E poi cento appresso a quelli, Torna quindi un’altra volta Darne mille e cento ancora, E allora, che a molti mila Saremo giunti, tra di loro Si confondano, e tra noi Se ne perda ancora il conto;
1Così non potrà alcun da invidia mosso Cangiar maligno nostra gioia in pianti, Sapendo che fur baci, e non già quanti.
2. L. Subleyras (Verona 1770)
Viviam, mia Lesbia, e amiamo, E del senil rigore Nulla i biasmi curiamo. Rinasce il Sol che more;
Spenta a noi breve luce, Notte eterna s’adduce. Or mille baci e cento Dammi, e mille, e poi cento. Ed altri mille e cento.
Indi migliaia assai Confondiam: né mai Gl’Invidi sien capaci Di contar tanti baci.
3. R. Pastore (Venezia 1797)
Viviam, mia Lesbia, e ‘n pace amiamci, E tutti i strepiti tegniam per nulla De’ vecchi rigidi: tramontar puote E poi rinascere a mane il sole:
A noi perpetua da dormir resta Notte nerissima, poiché una fiata Questa ne spensesi fral luce breve.
4. A. Penizzi (Venezia 1846)
Amarci, vivere, Mia vaga Lesbia, Sia il primo, l’unico Nostro pensier:
E le impotenti Grida noievoli Lasciam che spargano Loquaci ai venti I vecchi altier.
Morir ben possono I dì volvendosi, Che poi ritornano A comparir;
Ma a noi se questa Luce nascondesi, Una perpetua Notte funesta
Si dee dormir.
Via cara, donami, Di que’ dolcissimi Baci, che sogliono L’alma bear;
A mille a mille Qui su le labbia, Qui, cara, stampane Su le pupille, Né ti stancar.
Poi l’ampio numero Sì confondiamone, Che inosservabile
Divenga ognor; Né noccia a nui
Del vero nòvero Inconsapevole Il guardo altrui Fascinator.
5. D. Bocci (Torino 1874)
Godiam la vita, o Lesbia, Godiam la vita, e amiamo, E de’ vecchi bisbetici Nulla il garrir curiamo.
I giorni morir possono E riedere; a noi dopo Un breve sol, perpetua Notte dormire è d’uopo.
Oh, mille e cento donami Fervidi baci tuoi, E cento e mille in seguito, E mille e cento poi!
E quando immenso un cumulo Di mila e mila avremo, Per non saperlo, a studio Le cifre arrufferemo,
E per non far che invidia I denti suoi ci mostri, Vedendo tanto il numero Esser de’ baci nostri.
6. M. Rapisardi (Milano-Palermo-Napoli 1882)
Godiamo, o Lesbia, mia Lesbia, amiamo, E de’ più rigidi vecchi i rimproveri Meno d’un misero asso stimiamo. Tramontar possono gli astri e redire:
Noi, quando il tenuo raggio dileguasi, Dobbiam perpetua notte dormire. Baciami, baciami, vuo’ che mi baci: A cento scocchino, a mille piovano Qui su quest’avida bocca i tuoi baci: E poi che il numero sfugge a noi stessi, Baciami, baciami, sì che l’invidia
Non frema al computo de’ nostri amplessi.
7. L. Toldo (Imola 1883)
Viviam mia Lesbia, amiamo, Al brontolio dei rigidi Vecchiardi non badiamo: Tramonta il sol, ma torna;
Se cade il di fuggevole, Per noi più non raggiorna. Mille di baci tuoi Cento eppoi mille donami Ed altri cento poi; E cento e cento mila; E così giunti al numero Di più migliaia in fila, Tosto vogliam la traccia Confonder; perché il cumulo Non ci si legga in faccia.
8. C. De Titta (Lanciano 1890)
Godiamo, o Lesbia, mia Lesbia, amiamo, Né degli austeri vecchi curiamo L’acri rampogne. Tramonta il giorno, Ma all’oriente poi fa ritorno:
Spento il dì breve di nostra vita Noi dormiremo notte infinita.
Su mille baci dammi e poi cento, Mill’altri e cento ne vo’ contar, Ancora mille, non son contento, Cent’altri ancora, segui a baciar.
Allor che molte migliaia avremo Fatte di baci, col loro suon Il loro numero confonderemo Per non sapere quanti ne son,
Perché non abbiano certi malnati, Sapendo quanti baci da te Ho avuti e quanti io te n’ho dati, D’invidia ad ardere contro di me.
9. D. Menghini (Gallarate 1891)
Viviam, o Lesbia mia, viviamo amando e ad ogni ciarla degli austeri vecchi diamo il valor d’un asse: il sol cadere e risorgere può, ma se una volta
il breve giorno tramontò per noi, dormir dobbiamo una perpetua notte. Mille baci mi dà, poscia altri cento e mille ancora ed altri cento ancora, e mille e mille e cento e cento e infine dopo molte migliaia, mescoliamli per non saperli o perché alcun maligno invidiar non ce li possa mai, de’ nostri baci il numero sapendo.
10. G. Mazzoni (Milano 1915)
Viviam, mia Lesbia, viviamo e amiamo E quante chiacchiere fanno gli arcigni Vecchi, contiamole men d’un quattrino. I soli spengonsi, ma san tornare;
Noi, se mai spegnesi la breve luce, Dobbiam perpetua notte dormire. Oh mille baciami volte e poi cento, Mille ancor baciami volte e poi cento, Mille altre baciami volte e poi cento! Poi, fatto il numero di più migliaia, Rimescoliamoli, da non sapere
Più quanti sieno, né possa un tristo Invidiarceli tutti quei baci!
11. A.C. Volpe (Bologna 1930)
Viviamo, mia Lesbia, viviamo, e nessuno ci contenda l’amarci!
Lasciamo borbottare i vecchi savi: non valgono insieme un centesimo. Il sole va e torna; noi aspetta una notte eterna, dopo che il breve giorno, che ci sorride oggi così dolce, è tramontato. Donami cento, mille baci, altri mille e altri cento ancora; e ancora cento e mille! e poi confondiamone il numero, dopo averne fat- te molte migliaia, acciocché noi li ignoriamo, e il malvagio geloso non possa ru-
barceli, sapendone egli così grande il numero!
12. G. Sbodio (Milano 1933)
Sete di baci
Godiamo la vita, o mia Lesbia, ed amiamo, e tutto il brontolare dei vecchi ar- cigni stimiamolo un asse. I giorni posson morire e tornare; ma noi quando si è spenta la breve luce della vita, una notte eterna dobbiamo dormire.
Dammi mille baci e poi cento, poi altri mille e poi altri cento, poi di seguito al- tri mille e poi cento. E quando ne avremo fatto molte migliaia, li mescoleremo per non saperli più contare o perché qualche maligno non ce li possa invidiare, sapendo che c’è un così gran numero di baci.
13. G. Mazzoni (Bologna 1939=1966)
Viviam, mia Lesbia, - viviamo e amiamo! E mutrie e prediche - di brontoloni Vecchi, stimiamole - men d’un quattrino. I Soli cadono, - ma san tornare;
Noi, da che spengesi - la luce breve, Una perpetua - notte dormiamo. Oh mille baciami - volte e poi cento, Mille ancor baciami - volte e poi cento, Mille altre baciami - volte e poi cento, E giunti al numero - di più migliaia, Rimescoliamole, - per non sapere Quante mai siano, - né possa un tristo Invidiarceli - tutti que’ baci.
14. C. Scelfo (Bronte s.d. [1930-1940])
Viviamo
Viviamo, o mia Lesbia, ed amiamo. Nulla C’importi delle ciarle de’ severi Censori. Il sole cade e torna ancora. Quando l’ombra di morte ci ricopra,
Tetra ed eterna notte dormiremo. Oh dammi mille baci, e dopo cento; Poi altri mille, ed altri cento ancora; Ed altri mille ancora, ed altri cento. Quando molte migliaia n’avremo dati, Confonderli dovremo, perché a noi Non sian noti, o perché nessun maligno Ce l’invidii, sapendo quanti sono.
15. V. Errante (Milano 1945)
Esortazione a Lesbia
Viviamo, Lesbia mia, viviamo e amiamoci! E i brontolii dei troppo austeri vecchi, tutt’in fascio, stimiamoli un quattrino.
Se pur tramonta, può tornare il sole. Ma noi, quando la breve luce sparve, dormir dobbiamo una notte perpetua.
Oh dammi mille baci; e, quindi, cento; e ancora mille; ed altri cento, poi: e così sempre, via, di mille in cento.
E quando sommeranno a più migliaia, le imbroglieremo: a che non torni il conto e ad evitar di un invido il malocchio, se mai risappia quanti sono stati.
16. E. D’Arbela (Milano 1947=1957)
Viviamo, mia Lesbia, e amiamoci, e le mormorazioni dei vecchi arcigni sti- miamole tutte meno di un quattrino. I soli possono tramontare e tornare, ma quando per noi tramonta la breve giornata, dobbiamo dormire una sola e perpe- tua notte. Dammi mille baci e poi cento, poi ancora mille e poi di nuovo cento, e poi di seguito ancora mille e poi cento. Poi, quando ne avremo sommate molte migliaia, li confonderemo per non saperne il numero, e perché nessun maligno ci possa dare il fascino, sapendo che si sono dati tanti baci.
17. P. Venchi (Sirmione 1948=1988)
Godiamoci la vita, o mia Lesbia, e vogliamoci bene, infischiandoci dei vecchi censori brontoloni. I giorni passano, ma ritornano: noi una volta morti, notte e- terna ci attende. Dammi un bacio, un altro, cento, mille ancora e poi non con- tiamoli più perché i maligni non possano formulare a nostro danno cattivi presa- gi.
18. C. Saggio (Milano 1949=1955)
Viviamo, o Lesbia mia, viviamo e amiamo e i brontolii dei troppo arcigni vecchi tutti contiamoli un quattrino solo. Il sole se tramonta può tornare;
ma noi, poiché la breve luce cadde, dobbiam dormire una perpetua notte. Oh mille baci dammi e ancora cento, ed altri mille e poi di nuovo cento, quindi mille altri ancora e ancora cento; e quando molte mila ne avrem fatti,
li mischieremo, sì da non saperli, e che nessun malvagio n’abbia invidia, quando egli sappia che son tanti baci.
19. P. L. Mariani (Milano 1950)
Godiamoci la vita, o Lesbia, e amiamoci ed il noioso brontolar dei vecchi moralisti stimiamo un soldo appena. Possono i soli tramontare e ancora tornare: a noi, quando una volta spengasi la breve luce della vita, notte
perpetua attende, col suo buio sonno.
Donami mille baci, e quindi cento ed altri mille ed altri cento ancora: e poi mille di nuovo e ancora cento. Quando molte migliaia ne avrem fatte, per non saperle mai, confonderemo: ché nessun invidioso, di malocchio possa colpirci, allora che s’accorga correr tra noi sì gran festa di baci.
20. Salvatore Quasimodo (Milano 1955=1993)
Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo, e ogni mormorio perfido dei vecchi valga per noi la più vile moneta. Il giorno può morire e poi risorgere, ma quando muore il nostro breve giorno, una notte infinita dormiremo. Tu dammi mille baci, e quindi cento, poi dammene altri mille, e quindi cento, quindi mille continui, e quindi cento. E quando poi saranno mille e mille,
nasconderemo il loro vero numero, che non getti il malocchio l’invidioso per un numero di baci così alto.
21. M. Guma (Napoli 1961)
O mia Lesbia, godiam l’amor, la vita, E dei vecchi accigliati i brontolii Calcoliamoli tutti un asse solo. Muore il sole ogni giorno e sa tornare; Mentre a noi, se la breve luce muore, Tocca eterna dormir sol’una notte. Mille baci tu dammi e quindi cento,
E poi mille di nuovo e ancora cento, E poi mille di nuovo e sempre cento. Poi che molte migliaia n’avremo aggiunte, Mescoliamoli alfin per non saperli. Né il malocchio d’un tristo mai ci colga, Quando sappia di baci sì gran copia.
22. G. B. Pighi (Verona 1961= senza divisione in versi Torino 1974)
Viviamo, Lesbia mia, e amiamo, e le mormorazioni dei vecchi che fanno i severi, tutte insieme, non le stimiamo un soldo. I soli tramontano e ritornano: per noi, quando una volta è tramontato il breve dì, notte perpetua da dormire senza fine. Dàmmi mille baci, poi cento, poi altri mille, poi altri cento, poi via via altri mille, poi cento. Poi, quando avremo fatto molte migliaia, le confonderemo, per non sapere quante, o perché nessun invidioso ci porti male, quando sappia ch’esiste una tale infinità di baci.
23. L. Pepe - N. Scivoletto (Roma 1968)
Godiamoci la vita, o Lesbia mia, e amiamoci e non stimiamo più d’un soldo tutti i borbottii dei vecchi troppo austeri. Il sole può tramontare e tornare: noi in- vece, una volta tramontata la breve vita, dobbiamo dormire una sola notte senza fine. Dammi mille baci, poi cento, poi altri mille e poi ancora cento, indi altri mille e poi cento. Poi quando ce ne saremo scambiati molte migliaia, ne imbro- glieremo la somma, per ignorarla o perché un qualche malevolo non abbia a col- pirci col malocchio, al saper esserci stati tanti baci.
24. Guido Ceronetti (Torino 1969)
Vita e amore a noi due Lesbia mia E ogni acida censura di vecchi Come un soldo bucato gettiamo via. Il sole che muore rinascerà
Ma questa luce nostra fuggitiva Una volta abbattuta, dormiremo Una totale notte senza fine. Dammi baci cento baci mille baci E ancora baci cento baci mille baci! Le miriadi dei nostri baci
Tante saranno che dovremo poi Per non cadere nelle malìe Di un invidioso che sappia troppo, Perderne il conto scordare tutto.
25. Mario Ramous (Bologna 1971)
Godiamoci la vita, mia Lesbia, l’amore ed ogni mormorio dei vecchi più acidi consideriamolo un soldo bucato. I giorni che muoiono possono tornare, ma se questa nostra breve luce muore, noi dormiremo un’unica notte senza fine. Dammi mille baci e ancora cento, dammene altri mille e ancora cento, sempre, sempre mille e ancora cento.
E quando alla fine saranno migliaia, per scordare tutto ne imbroglieremo il conto, perché nessuno possa constringere in malie un numero di baci così grande.
26. F. Della Corte (Milano 1977)
Godiamoci la vita, o Lesbia mia, e i piaceri dell’amore; a tutti i rimproveri dei vecchi, moralisti anche troppo, non diamo il valore di una lira. Il sole sì che tramonta e risorge;
noi, quando è tramontata la luce breve della vita, dobbiamo dormire una sola interminabile notte. Dammi mille baci e poi cento, poi altri mille e poi altri cento,
e poi ininterrottamente ancora altri mille altri cento ancora. Infine, quando ne avremo sommate le molte migliaia, altereremo i conti o per non tirare il bilancio o perché qualche maligno non ci possa lanciare il malocchio, quando sappia l’ammontare dei baci.
27. E. Cetrangolo (Milano 1978)
La breve luce
Alziamo, Lesbia, confidenti il volto al riso dell’amore: e se le ciarle de’ vecchi ci castigano stimiamole il valore d’un soldo. I giorni possono andare o ritornare, ma una volta
che a noi sarà caduta questa breve luce del tempo una infinita e sola notte dovremo immobili dormire. Ma dammi mille baci e cento e mille e ancora cento e mille ed altri ancora; poi, quando ne avrem fatti le migliaia, perché taccia confusa ogni malia,
li mischieremo e non sapremo il numero.
28. E. Mandruzzato (Milano 1982-1992)
Dobbiamo Lesbia mia vivere, amare, le proteste dei vecchi tanto austeri tutte, dobbiamo valutarle nulla. Il sole può calare e ritornare,
per noi quando la breve luce cade resta una eterna notte da dormire. Baciami mille volte e ancora cento poi nuovamente mille e ancora cento e dopo ancora mille e dopo cento,
e poi confonderemo le migliaia tutte insieme per non saperle mai, perché nessun maligno porti male sapendo quanti sono i nostri baci.
29. F. Caviglia (Roma-Bari 1983)
Viviamo ed amiamoci, o mia Lesbia: le chiacchiere dei vecchi troppo seri stimiamole tutte due soldi. Il sole può cadere e ritornare,
ma noi - quando la nostra breve luce si sarà spenta una volta - avremo una notte soltanto da dormire infinita.
Dammi mille baci e altri cento, ed altri mille, e dopo, ancora cento. Quando saranno migliaia confonderemo il conto, per non sapere, o per evitare il malocchio di un invidioso, quando saprà che sono stati tanti i nostri baci.
30. E. Savino (Milano 1985)
Resta un’eterna notte da dormire
Viviamo, Lesbia, facciamo l’amore. Lasciamoli sbavare i vecchi duri. Non valgono uno zero, tutti insieme. Albe ci sono, e declini di sole.
Per noi luce breve. Quando declina resta un’eterna notte da dormire. Dammi mille baci. Ora altri cento. Ora altri mille, poi ancora cento. Ne avremo fatti molte volte mille, li mischieremo, e non sapremo quanti. E l’invidioso non farà il malocchio
a noi, sapendo quanti sono i baci.
31. M. Arduino (Sirmione 1992)
O Lesbia cara, amiamoci e viviamo. I commenti malevoli dei vecchi stimiamo meno d’una monetina. Dopo il tramonto, il sole può tornare: a noi, spenta che sia la breve luce, tocca dormire una perpetua notte.
Tu dammi mille baci e quindi cento ed altri mille dopo ed altri cento e mille in successione e cento ancora. Così, quando saranno più migliaia, ne perderemo il conto, ad evitare che taluno, cui nota sia la somma, possa farci, invidioso, una malia.
32. qm. (marzo 1995)
Mille e non più mille
Con me la vita, Lesbia mia, e l’amore; i versacci di cariatidi vecchiarde li avremo tutti in conto d’una lira.
Conoscono i soli i tramonti ed i ritorni: noi, al primo tramontare della breve luce, notte senza fine avremo a dormire.
Dammi mille baci, e cento ancora, 9
poi mille altri, e altri cento poi, poi fino a mille ancora, e ancora cento.
Poi ne faremo una somma colossale, e soffieremo il turbine per non più saperli, o che un guardone non scagli una fattura contando esatto il numero dei baci.
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