Sono un po' - e a ragione - incazzata, anzi no, più che altro, addolorata. E vi spiego il motivo. Mio figlio, e non specifico quale, si è recato durante lo scorso weekend, a Stoccolma. A seguito di una sua visita presso il Museo Vasa, mi ha spedito delle splendide foto del vascello, la cui storia racconterò tra poco.
Tutti i miei figli (pardon, sembra che ne abbia una squadra! sono solo 3) si raccomandano di non pubblicare nel web le immagini che mi fanno pervenire, con la minaccia che se lo dovessi fare, non me ne invieranno mai più. Con grande dispiacere, poiché le foto ricevute sono davvero splendide, non le pubblicherò - e questo sappiatelo, cari figli miei!
Questo non toglie che nel web io abbia cercato e trovato altre magnifiche foto del meraviglioso vascello svedese. E anche la sua incredibile storia.
Questo non toglie che nel web io abbia cercato e trovato altre magnifiche foto del meraviglioso vascello svedese. E anche la sua incredibile storia.
Siamo a Stoccolma, davanti al museo Vasa
Il Museo Vasa si trova
sull'isola di Djurgården ed espone
l'unica nave del XVII
secolo rimasta intatta, la Regalskeppet
Vasa( anche solo Vasa), un galeone svedese ornato
in modo elaborato che affondò durante il suo viaggio inaugurale nell'agosto
del 1628.
Il Vasa (anche Wasa)
è un galeone svedese dotato
di 64 cannoni, costruito per il re Gustavo Adolfo II di Svezia, tra il 1626 e
il 1628 ed affondato nel porto di
Stoccolma il giorno stesso del varo, il 10 agosto 1628. Dopo essere rimasto
oltre tre secoli sott'acqua è stato ripescato nel 1961 e sottoposto al
restauro. Oggi è esposto nel museo omonimo a Stoccolma.
l nome stesso Regalskeppet Vasa deriva
dall'omonimo casato dei Vasa, che governava la Svezia
all'epoca della costruzione del galeone, e significa "Nave di Sua
Maestà" Vasa (o Regia nave Vasa), secondo una
nomenclatura spesso usata da varie marine militari come la Royal Navy inglese.
La poppa della nave
Uno dei cannoni dopo il restauro del Vasa
Il Vasa affondò
nel 1628 al suo viaggio inaugurale. Recuperato dal fondo del mare nei primi
anni ’60, la nave si trova al centro del museo con il 95% del suo legno
originale. Il Museo Vasa è una stanza gigante
dedicata ad una nave da guerra, un simbolo di forza e colonialismo che ha
trascorso 300 anni sul fondo del mare per mostrarsi a noi oggi praticamente
intatto.
Una
meraviglia scientifica che ha un valore archeologico immenso.
Il museo è
stato sviluppato su cinque piani che si avvolgono come una spirale intorno alla
nave per permettere ai visitatori di assaporarne da ogni angolo la vista
spettacolare. Lateralmente sono state allestite 9 mostre con gli oggetti
ritrovati sul vascello: si cammina in mezzo alla storia con le esposizioni
delle vele originali, dei barili che contenevano ancora il cibo, gli strumenti
medici e, tra il ferro dei cannoni ed i vestiti dei marinai, le ossa di chi
quel giorno da quel vascello non è riuscito a fuggire.
Il Vasa non fu costruito per impressionare solo i nemici
grazie al suo armamento da battaglia, ma anche per le sue sculture e ornamenti.
Lateralmente sono esposte anche le sculture che rivestivano il vascello e che
erano un tributo alla magnificenza e al potere dell’allora monarca svedese.
Una testa di leone ruggente fu la prima scultura a essere
recuperata dal mare. Nera, a causa del tempo trascorso nelle profondità
dell’abisso, portava ancora i segni della pittura che la decorava: dorata la
criniera e rosse le sue fauci.
Alla testa di leone seguirono 500 sculture e oltre 200 ornamenti decorativi:
angeli, diavoli, guerrieri, imperatori e Dei.
Ognuna di
esse aveva un significato simbolico. Il leone significava il coraggio e le due
statue di Ercole (le sculture più impressionanti) recuperate con esso
simboleggiavano la forza e la saggezza.
Nel 17°
secolo, “alla moda” significava “stravagante”. Tutte
le sculture erano dipinte in colori sgargianti: rosa, rosso sangue, verde
acido, blu come il mare profondo. Quello che a noi sembra un tantino kitsch ed
esagerato, ai tempi significava impareggiabile.
Un quadro che rappresenta la tremenda inclinazione del Vasa, prima di affondare.
“Tra le 4 e le 5 il grande e nuovo vascello della flotta
svedese si è inclinato ed è affondato” sono poche righe scritte su un libro il
10 Agosto del 1628 a testimoniare quello che successe quella domenica per noi
lontana nel tempo.
Ma il disastro della nave che al suo viaggio d’inaugurazione
affondò nel Baltico non è la fine di una storia, bensì l’inizio di un’altra che è
sopravvissuta fino a noi e che continua ancora ogni giorno.
Il Vasa fu recuperato intatto dal fondo del mare e dopo
mille difficoltà fu trasportato dal letto di sabbia sul quale è rimasto disteso
per più di 300 anni, a questo museo, una delle attrazioni più imperdibili di tutta la Scandinavia.
Il Vasa era il vascello più costoso e più
riccamente ornamentato mai costruito in Svezia a quei tempi e desiderato
fortemente da Sua Maestà Gustav II Adolf, Serenissimo Re di Svezia, per
dimostrare l’egemonia della Svezia sul Baltico.
Il giorno del suo varo tutti i 10.000 abitanti di Stoccolma che si erano affollati intorno al porto e sui moli per augurargli buona fortuna, furono invece tristi testimoni di quello che successe: dopo pochi minuti il vascello ondeggiò, s’inclinò e affondò nel porto di Stoccolma.
Il giorno del suo varo tutti i 10.000 abitanti di Stoccolma che si erano affollati intorno al porto e sui moli per augurargli buona fortuna, furono invece tristi testimoni di quello che successe: dopo pochi minuti il vascello ondeggiò, s’inclinò e affondò nel porto di Stoccolma.
Per tre lunghi anni più di 400 tra carpentieri, falegnami,
operai, artisti e pittori lavorarono senza sosta per dare vita al Vasa.
Era un vascello reale, quello che doveva diventare la nave più importante
dell’intera flotta svedese: lo scafo fu ottenuto da più di mille querce, gli
alberi erano alti più di 50 metri, era equipaggiato di ben 64 cannoni e
adornato da centinaia di sculture dorate e colorate.
Il vascello destò subito ammirazione negli abitanti della
città e preoccupazione nei nemici che da lontano ne seguivano la costruzione.
Il giorno del varo il tempo era soleggiato e il vento
leggero. A bordo del vascello non vi erano solo i marinai ma anche le loro
famiglie, mogli e figli che avevano avuto l’approvazione per partecipare al
giro d’inaugurazione del vascello.
Il Vasa mollò gli ormeggi e cominciò a scivolare
dolcemente nelle acque del Baltico. Dopo pochi minuti si alzò un forte vento e
dopo aver resistito alla prima forte folata, alla seconda la grande nave da
combattimento cedette, s’inclinò su un lato e affondò. A 1300 metri da dove era
partito.
Nessun errore fu commesso a bordo. Il vascello affondò semplicemente perché era instabile: la chiglia era troppo piccola rispetto allo scafo e troppo pesante a causa degli impianti e dell’equipaggiamento da battaglia.
Nessun errore fu commesso a bordo. Il vascello affondò semplicemente perché era instabile: la chiglia era troppo piccola rispetto allo scafo e troppo pesante a causa degli impianti e dell’equipaggiamento da battaglia.
Durante il processo, il capitano dichiarò che la
stabilità del Vasa era stata testata durante i calcoli della costruzione. La
risposta alla domanda su quale fosse stata la causa del disastro fu che “solo
Dio poteva saperlo” e nessuno fu punito.
La prospettiva non rende giustizia alle vere dimensioni del Vasa.
Oggi
sappiamo che i calcoli che furono fatti non erano corretti.
Semplicemente a quei tempi non c’erano le conoscenze giuste e nessuno aveva mai
costruito un vascello di quel peso e quelle proporzioni: il Vasa fu modellato
su vascelli costruiti in precedenza che però non avevano quelle dimensioni. In
pratica fu un esperimento andato male.
Quello che il Museo Vasa racconta
Quello che
oggi il Museo ci racconta è la storia di altri tempi: qui il tempo si è
fermato alle 5 del pomeriggio del 10 Agosto 1628.
Quando il
vascello fu fatto riemergere 333 anni dopo, i corpi dei marinai indossavano
ancora i loro vestiti, piccoli oggetti personali e qualche moneta di bronzo.
Nella stiva i barili erano ancora colmi di provvigioni, il tavolo
dell’ammiraglio era ancora in piedi nella sua cabina, il servizio da cucina, i
portacandele in bronzo, le lampade e pure il gatto della nave erano ancora a
bordo.
Il Vasa è
una macchina del tempo testimone per noi di come era la vita su una
nave durante il 1700, grazie agli oggetti ritrovati all’interno del
vascello.
Ai tempi era molto difficile trovare qualcuno che fosse
disposto a diventare parte dei 145 marinai del Vasa: il lavoro era duro, il
salario bassissimo e le condizioni di vita atroci.
I marinai trascorrevano la maggior parte del tempo nel buio, umido e sovraffollato ponte di batteria dove nella semioscurità dovevano condividere lo spazio con gli altri marinai e circa 300 soldati supplementari anche per dormire.
I marinai trascorrevano la maggior parte del tempo nel buio, umido e sovraffollato ponte di batteria dove nella semioscurità dovevano condividere lo spazio con gli altri marinai e circa 300 soldati supplementari anche per dormire.
Tutto quello che possedevano, erano i loro rammendati
vestiti di lino, unica protezione contro il freddo umido che penetrava nelle
ossa, qualche moneta di bronzo, scarpe e guanti.
La mancanza di cibo fresco, frutta e verdura e la scarsa igiene a bordo contribuivano alle malattie dilaganti, e quei tempi c’erano solo cure primitive. L’unica risorsa medica sulla nave era il barbiere.
La mancanza di cibo fresco, frutta e verdura e la scarsa igiene a bordo contribuivano alle malattie dilaganti, e quei tempi c’erano solo cure primitive. L’unica risorsa medica sulla nave era il barbiere.
Il cibo era preparato nel livello più basso della
nave e cucinato in un calderone di ghisa su fuoco aperto il che contribuiva a
creare un ambiente malsano e pieno di fumo. La dieta principale era costituita
da porridge di semole e
orzo e altri alimenti secchi come fagioli, piselli, carne salata, maiale e
pesce. Ogni marinaio aveva a disposizione tre litri di birra giornalieri, che
servivano per placare la sete causata dal cibo troppo salato: a quei tempi
sulle navi i due terzi degli uomini erano malati o moribondi e in circa due
mesi già la metà dell’equipaggio era “sepolto in mare”.
I marinai
sapevano di dover mantenere la disciplina altrimenti sarebbero stati sottoposti
a severissime punizioni. Chi rifiutava o si lamentava per il cibo, veniva messo
a pane e acqua per dieci giorni. Chi uccideva veniva legato schiena contro
schiena a chi aveva ucciso e veniva gettato fuori bordo. La blasfemia, o
l’insolenza, dirette l’Ammiraglio, erano punite con il “giro di chiglia”.
L’uomo condannato veniva issato fuori bordo con la testa in acqua e poi tramite
una fune veniva trascinato sotto la chiglia fino dalla parte opposta della
nave, una, due o tre volte.
Dettagli dell’imponente scafo costruito dal legno di più di mille querce
La storia del Vasa finisce e comincia il 10 Agosto 1628.
Il 13
settembre del 1956 il giornale serale Expressen annunciò
che un antico vascello era stato ritrovato vicino a Beckholmen, nel centro di
Stoccolma.
Ci vollero
anni per organizzare il recupero e nell’aprile del 1961 il Vasa fu fatto
emergere dalle acque del Baltico: un pezzo incontaminato del 17° secolo ha
rivisto la luce. Il vascello, dopo essere stato liberato dall’acqua e dalla
sabbia, fu in grado di galleggiare da solo.
Da quel
giorno comincia la sfida più grande: Le acque fredde e poco salate del
Baltico hanno salvato il vascello, ma da quando è stato recuperato dal
fondo del mare i pericoli sono stati molto più grandi.
Le attuali
manutenzioni e la cura del Vasa procedono giorno dopo giorno. A causa
dell’inquinamento del porto di Stoccolma le acque sono ricchissime di zolfo che
si è infiltrato nel legno del vascello durante i suoi anni trascorsi sotto la
superficie dell’acqua: lo zolfo reagisce con l’ossigeno formando acido solforico
che attacca il legno e a oggi vengono costantemente assoldati esperti in tutte
le parti del mondo per trovare una soluzione a questo problema.
La ricerca
per una conservazione a lungo termine del Vasa continua per garantire ai visitatori
futuri di poter osservare questo vascello esattamente com’era, ed esattamente
come l’ho visto io.
Così dice Martina, beata lei!
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