“DIALOGHI DI VIVENTI INTORNO AI
MORTI”
(Appunto orientativo per il lettore)
Nelle mie intenzioni, la dedica
esplicita a Luciano di Samòsata dovrebbe poter fornire (ad un lettore
sufficientemente saputo) una certa chiave di interpretazione del poemetto almeno
sui seguenti due livelli di massima:
1. In “Dialoghi dei Morti” (come pure in un passo del “Menippo”) viene proposta da Luciano
questa particolare visione dell’Ade: “Chi si affaccia sull’Acheronte, depone
automaticamente la propria maschera, ovvero si trova ad essere definitivamente
privato della sua ‘persona’ per assumere la figura ultima e irriducibile di
nudo scheletro”.
Mie considerazioni al margine:
a)
la scomparsa definitiva di ogni schermo protettivo di
fronte al giudizio altrui è di per sé l’evento
più temuto dalla maggior parte degli esseri umani; sicché la sopravvenuta
impossibilità di nascondere al prossimo una qualunque pur minima parte segreta
della propria anima costituisce (e ripensiamo pure al Sartre di “A huis clos”) la tragica, spaventosa
esperienza stessa dell’Inferno.
b)
Per contro, non
può che sembrare assolutamente
incredibile (assurda e risibile) la
posizione di chiunque – contravvenendo clamorosamente alla norma -- dichiari addirittura di desiderare come massimo premio ultraterreno la possibilità di
mostrare fino in fondo, all’universo intero, la “nudità” della propria anima:
auspicando, cioè, che si veda finalmente scoperta ed illuminata nella sua
intima, irriducibile, “scheletrica” essenza, una Verità personale già
rivelatasi inesprimibile, incomunicabile, incomprensibile al resto dell’umanità
sulla terra.
2. Ne “La Storia Vera”, Luciano
mi offriva un altro importante spunto di sofferta riflessione, laddove
notoriamente afferma: “Signori miei, la verità
è che quello che sto dicendo non corrisponde alla verità…”. Se si tiene conto di questo ‘messaggio’ e lo
si riconduce all’excipit del
poemetto, si dovrebbe poter cogliere meglio anche il senso allusivo di quella
altrimenti irragionevole, eccessiva ‘prostrazione spirituale’ manifestata in
conclusione dall’io narrante. Infatti, è come se quell’io intendesse
suggerire:
a) “Da un lato vorrei tanto che, in un ipotetico oltretomba, quel
‘premio’ che sto onestamente dicendo
di desiderare con intensità (un desiderio autentico, veritiero fino in fondo, benché sembri in assoluto il più falso e paradossale dei desideri secondo
la norma dei comportamenti umani) fosse davvero
un traguardo concepibilmente raggiungibile; e, dall’altro invece, so benissimo
di esprimere una non verità nel momento
stesso in cui così la formulo con ingannevole apparente fiducia, poiché nel contempo sono tristemente certo che la realizzazione di quel mio particolare
“desiderio” di per sé non è razionalmente sostenuta da nessun fondamento di
concepibile verità: nemmeno da “verità” di fonte religiosa, le quali, pur
accennando ad una generica futura felicità del cuore, non inducono a voler
sperare, né tanto meno a credere, che la felicità promessa in premio sarà poi
di fatto ottenibile in quella precisa
forma, in quella precisa direzione da
me desiderata.
b) Di qui una duplice domanda, conflittuale e sconsolante: “Perché,
a questo mondo, un’affermazione assolutamente veritiera (come lo è questa del mio insolito “desiderio”) è
dopotutto destinata a suscitare solo divertita incredulità o esplicita
derisione? E perché, al tempo stesso, una fede arbitraria e assurda (come quella nella possibilità
di figurarsi le condizioni ideali di un ipotetico oltretomba – secondo la
‘logica’ del personaggio di spalla nel poemetto) risulta essere del tutto
accettabile razionalmente, anziché decisamente risibile nei suoi presupposti
irrazionali?
c) Infine questa intima reazione psicologica dell’io narrante: “Tu,
Luciano, in partenza ardivi ‘sinceramente’ confessarti insincero senza soffrirne
per nulla, anzi ridendone con maliziosa ironia; io, viceversa, quando
finalmente mi decido a voler confessare ad alta voce la ‘non veridicità’ di
certe mie parole fuorvianti – ossia quelle che falsamente sembrano
sottintendere qualche fiduciosa speranza
da parte mia in una piena rivelazione della più riposta Verità del cuore umano
se non altro in una vita ultraterrena -- non posso fare a meno di piangerne con
il più sincero sgomento.”
Ndr: Chiedo venia per le parti del testo lirico, non regolari, a causa di un lavoro di scansione che, per difficoltà tecniche, non mi offrivano uguali dimensioni, in quanto variavano di volta in volta. A questo punto, dopo interminabili tentativi, ho rinunciato alla perfezione, lasciando spazio ad una comunque chiara lettura.
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