POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

domenica, febbraio 27

RISPOSTA A PADRE MAURO ARMANINO di DANILA OPPIO


A Padre Mauro rispondo così:

Ho letto e pubblicato. Un mio amico musicista e cantante, da sempre ha cantato per i popoli afflitti dalla mancanza di libertà, dalla povertà e dalle ingiustizie sociali, mi ha appena scritto che per combattere la guerra basta non farla. 

Renzo Ranzani


Dal 1998, insieme a Marcella Inga ha fatto parte del TRIO MILONGA, una formazione che ha ricercato e proposto classici della musica cubana e latino americana e, più recentemente, si è dedicata a brani di propria composizione. Poli-strumentista, negli anni Settanta ha dato vita al gruppo Tecun Uman, col quale ha interpretato alcune delle più belle canzoni della cultura musicale latinoamericana. Il gruppo, di formazione mista è stato tra i primi a portare in Italia la Canción Protesta . Molto attivi in quegli anni, i Tecun Uman hanno tenuto concerti in tutta Italia e hanno all'attivo l'album Soy del pueblo, prodotto dalla cooperativa l'Orchestra. Da tempo fa parte del Quartetto Caminar. Renzo lo conosco da quando eravamo poco più che adolescenti, quando era legato ad Anna Melato, sorella minore della stupenda e indimenticata attrice Mariangela Melato. 

 http://www.caminar.it/ChiSiamo.html

Questo solo per spiegare l'ideologia di Renzo, che è sempre stato dalla parte del popolo di ogni Paese, e ricordo che quando avevamo 18-20 anni, intorno agli anni del sessantotto, cantavamo le canzoni degli Inti Illimani tipo " El Pueblo Unido Jamás Será Vencido".

E se la smettessimo di produrre armi, tra l'altro sempre più sofisticate, la guerra si tornerebbe a fare, come disse ALBERT EINSTEIN al massimo con  “SASSI E BASTONI”

Gli chiesero come sarebbe stata la terza guerra mondiale e lui rispose: “Non conosco le armi della terza guerra mondiale, ma solo quelle della quarta: sassi e bastoni” La citazione, attribuita talvolta anche a Omar Bradley, apparve per la prima volta nel settembre del 1946 in un articolo di Walter Winchell.  Il motivo per cui si affermava questo, è che una Terza Guerra Mondiale, con le armi nucleari che oggi le grandi potenze economiche possiedono, si distruggerebbero intere generazioni, i pochi rimasti tornerebbero all'età della pietra. Qualcosa del genere l'ho immaginata nel mio romanzo Oneirikos. 

 L'idea di fare la guerra non morirà mai. Perché gli uomini sono incapaci di mantenere la pace. Queste sono mie parole, poiché nel mondo non si è smesso un solo giorno di usare le armi: per guerre o per altro tipo di rappresaglie, in ogni parte del mondo esplodono bombe, fucili, pistole perché la sete di distruzione e di potere non muore mai. A partire dalle grandi guerre che coinvolgono eserciti  fino agli omicidi e femminicidi dentro le famiglie. 

L'unica arma è quella del dialogo tra le due  potenze Russe e Ucraine affinché trovino un accordo, e per noi lontani, la preghiera e la speranza che non deve mai morire, come ultima dea. 

Buona domenica e preghiamo per la Pace nel mondo e perché la ragione torni ad illuminare le menti di chi ha il potere di decisione. 

Danila Oppio


A CHE SERVONO LE ARMI. UNO SGUARDO DAL SAHEL di P, MAURO ARMANINO

 


     A che servono le armi.

 Uno sguardo dal Sahel


Le armi servono per essere usate. Danno effimero potere e arricchiscono relativamente poche persone rispetto a quelle che ne soffrono le conseguenze. Avendo scelto il servizio civile volontario internazionale sostitutivo al servizio militare, non ho mai creduto che la pace fosse un frutto delle armi. Le ho riviste durante l’ultima porzione della guerra civile in Liberia negli anni duemila. Erano, tra l’altro, in mano a bambini che, con tutta la serietà del mondo, controllavano i ‘Checkpoint’ sulle strade alla fine del regime di Charles Taylor. Con armi più grandi e pesanti di loro, avevano il potere di fermare e far tremare gli incauti autisti e passeggeri umanitari delle ONG venute a ‘salvare’ la Liberia. Questi bambini erano un perfetto nessuno, invisibili come la maggior parte dei figli dei poveri. Con in mano un Kalashnikov AK-47 erano in grado di tornare ad esistere e di contare e di essere diventati, d’improvviso, grandi e temuti.  

Le armi si vendono per essere usate. Lo vediamo nel Sahel, a tutt’oggi una delle zone più pericolose del pianeta. I gruppi armati usano prevalentemente armi ‘leggere’ che, in guerre asimmetriche come quelle a cui assistiamo da anni, sono le più dannose. Le armi circolano, passano di guerra in guerra, hanno circuiti di vendita, commercianti e acquirenti, si moltiplicano a dismisura e continuano ad essere rubate e vendute. Armi in cambio di vite umane e di sofferenze e di profughi che fuggono lontano e, spesso, passano da una guerra all’altra, da un campo profughi a richiedenti asilo, per decenni. Armi regolari, irregolari, informali, clandestine, illegali o perfettamente registrate con tanto di matricola onde essere seguite e identificate fin dall’origine. A poco serve, in fondo, quando tutto ciò porta ad uccidere o incutere il timore di farlo. Le armi sono l’espressione della più grande menzogna che pretende di creare la pace con la guerra!

Le armi si fabbricano per essere usate. Nel Sahel abbiamo avuto e (per alcuni) celebrato vari colpi di stato da parte di militari armati. Dopo il Mali è stata la volta del Burkina Faso e ci si domanda chi sarà il prossimo stato, eletto per tale scopo. Parte della gente ha applaudito.  Pensa che i militari al potere, con le armi della persuasione (e le armi in mano), metteranno un punto finale alla corruzione, al nepotismo, alle nefaste influenze straniere e poi ridaranno il potere ai civili fino alla prossima occasione. Si sono costruite nel Niger varie basi militari, l’Italia, ultima arrivata per ora, dovrebbe avere finalmente il suo ‘pied-à-terre’ nei pressi dell’aeroporto internazionale di Niamey. E ora, che la guerra si riaffaccia in Europa, si potranno rinnovare gli armamenti, attestarne la validità e la rinnovata e sofisticata efficacia. Una splendida occasione che perfezionerà ulteriormente l’arte della guerra che, nelle generazioni, non abbiamo mai perduto. 

A morire e soffrire saranno i soliti poveri ignoti. Gl altri, i superstiti, morranno di vergogna per non aver osato cambiare ‘le spade in vomeri e le lance in falci’, nel sogno del profeta. L’Italia avrebbe ancora la possibilità di trasformare la base militare in una scuola di pace, prima che sia tardi.


    Mauro Armanino, Niamey, 28 febbraio 2022


sabato, febbraio 26

OBBEDISCO - editoriale di DANILA OPPIO


Mi scrive il  poeta ROBERTO VITTORIO DI PIETRO:

Salve, Dani. Cerchi su Google il testo completo della celebre poesia I DUE FANCIULLI del Pascoli: penso che mai come in questi giorni sia il caso di ricordarla sul suo blog. Un abbraccio. 

Mi sono messa sull'attenti ed ho risposto mentalmente: OBBEDISCO, come Garibaldi pare disse al Re Vittorio Emanuele II nell'incontro di Teano. La Storia riferisce diversamente: Il celebre e lapidario obbedisco di Giuseppe Garibaldi non è stato rivolto dal generale al re Vittorio Emanuele II, in occasione dell'incontro di Teano (Caserta, 26 ottobre 1860) e, in più, quella parola non è mai stata detta - ma scritta, qualche anno dopo (nel 1866), non al re ma a un generale sabaudo e da tutt'altra parte, in Trentino. 

Chissà perché questo verbo è stato legato erroneamente a quel fatidico incontro?

Comunque al critico letterario e poeta torinese, ho dato retta e ho seguito il suo consiglio.

Russia e Ucraina dovrebbero sentirsi fratelli, e dialogare tra loro per trovare  un pacifico accordo. La Nato, o la UE, o gli USA, se proprio volessero intervenire, lo facciano solo in forma diplomatica, come fece la mamma dei due fratelli, riportando la pace tra i due figli. Il Poeta Pascoli ha colto l'occasione del litigio tra i due fratellini, per ammonire i grandi, affinché diventino ragionevoli, e che comprendano che la morte è sempre in agguato, soprattutto se si "gioca alla guerra". Se la mamma avesse usato la ciabatta, il battipanni o gli schiaffoni, invece di mettere tranquilli i suoi figli, li avrebbe aizzati ancora di più e fatto maturare l'odio tra di loro. Si dice "amor di fratelli, amor di coltelli". Ma questo è un detto che non mi è mai piaciuto. 

Spero che si accordino e torni la pace su questo mondo che di problemi ne ha già moltissimi, se si andasse a frugare nel vaso di Pandora, uscirebbero tutti i mali del mondo, che già quel vaso ha delle crepe, e tanti mali gironzolano sulla Terra. Siamo stati martoriati dal Covid, cerchiamo di non aumentare la dose. 

Danila Oppio

I DUE FANCIULLI dI GIOVANNI PASCOLI





Poesia di Giovanni Pascoli

I due fanciulli

Era il tramonto: ai garruli trastulli
erano intenti, nella pace d'oro
dell'ombroso viale, i due fanciulli.

Nel gioco, serio al pari d'un lavoro,
corsero a un tratto, con stupor de' tigli,
tra lor parole grandi più di loro.

A sé videro nuovi occhi, cipigli
non più veduti, e l'uno e l'altro, esangue,
ne' tenui diti si trovò gli artigli,

e in cuore un'acre bramosia di sangue,
e lo videro fuori, essi, i fratelli,
l'uno dell'altro per il volto, il sangue!

Ma tu, pallida (oh! i tuoi cari capelli
strappati e pésti!), o madre pia, venivi
su loro, e li staccavi, i lioncelli,

ed «A letto» intimasti «ora, cattivi!»

A letto, il buio li fasciò, gremito
d'ombre più dense; vaghe ombre, che pare
che d'ogni angolo al labbro alzino il dito.

Via via fece più grosse onde e più rare
il lor singhiozzo, per non so che nero
che nel silenzio si sentia passare.

L'uno si volse, e l'altro ancor, leggero:
nel buio udì l'un cuore, non lontano
il calpestìo dell'altro passeggero.

Dopo breve ora, tacita, pian piano,
venne la madre, ed esplorò col lume
velato un poco dalla rosea mano.

Guardò sospesa; e buoni oltre il costume
dormir li vide, l'uno all'altro stretto
con le sue bianche alucce senza piume;

e rincalzò, con un sorriso, il letto.

Uomini, nella truce ora dei lupi,
pensate all'ombra del destino ignoto
che ne circonda, e a' silenzi cupi

che regnano oltre il breve suon del moto
vostro e il fragore della vostra guerra,
ronzio d'un'ape dentro il bugno vuoto.

Uomini, pace! Nella prona terra
troppo è il mistero; e solo chi procaccia
d'aver fratelli in suo timor, non erra.

Pace, fratelli! e fate che le braccia
ch'ora o poi tenderete ai più vicini,
non sappiano la lotta e la minaccia.

E buoni veda voi dormir nei lini
placidi e bianchi, quando non intesa,
quando non vista, sopra voi si chini

la Morte con la sua lampada accesa.


da Primi e Nuovi Poemetti

venerdì, febbraio 25

PERCHE' SI FA LA GUERRA NEL 2022? di ZARINA ZARGAR

 

Perché si fa la guerra nel 2022?


Psicologa clinica (iscr. 11466-A) e psicoterapeuta in formazione. Con diverse esperienze formative e lavorative alle spalle, la Psicologia è indiscutibilmente la mia passione. Amo approfondire i più disparati ambiti psicologici e credo che da ogni esperienza si possa imparare qualcosa. Quest'ultimo è il concetto fondamentale che mi guida nella stesura dei miei scritti: siamo esseri umani incredibili, capaci di modificarci ogni giorno. Anche un piccolo spunto oggi può portarci a intraprendere nuove strade un domani!

Autrice: Zarina Zargar

Co-autore e Supervisor: Antonino La Tona

Politologi di tutto il mondo si occupano da decenni di studiare le cause politiche ed economiche che regolano lo scoppio delle guerre.

Così anche fanno gli psicologi, pur ponendo una maggiore attenzione ai risvolti psicologici sia a livello di motivazione che di conseguenza.

Già Sigmund Freud, conosciutissimo padre della psicanalisi, a fine del 1800 si era proposto di approfondire l’argomento.

Interessanti, al riguardo, gli scambi epistolari del 1932 tra lui e Albert Einstein in cui si trovavano d’accordo nell’affermare che le guerre sono il risultato del modo egoistico e rapace di pensare ed agire di piccole élite politiche ed economiche di persone. Concordavano anche sul fatto che la fondazione di un’organizzazione sovranazionale con il potere vegliare su queste élite e di domarle fosse necessaria (Brewer, 2007).

Ad oggi tale organizzazione intergovernativa e a carattere mondiale esiste e la conosciamo, è l’Onu (Organizzazione delle Nazioni Unite). Nonostante uno dei suoi obiettivi principali sia il mantenimento della pace e della sicurezza mondiale, sembra che l’umanità in generale e chi è al potere faccia fatica a svincolarsi da complicate dinamiche che riguardano innanzitutto, almeno nell’immaginario comune, la percezione di forza e potenza.

Quindi, quali sono le motivazioni psicologiche specifiche che nel 2022 spingono ancora a compiere atti bellicosi come quelli portati avanti nella notte dalla Russia nei confronti dell’Ucraina?

Pur conoscendo le terrificanti conseguenze umanitarie di tali gesti, che cosa spinge l’essere umano a perseverare in quella direzione?

Di studiare l’argomento se n’è occupata soprattutto la psicologia sociale e, anzi, un certo numero di autori ha notato che la storia della psicologia sociale è intimamente legata alla guerra (es. Richards, 2002; Rose, 1999) e ha iniziato a formarsi come disciplina nella sua forma attuale dopo la seconda guerra mondiale.

Le numerose ricerche scientifiche sull’argomento hanno portato a individuare alcune variabili psicologiche da tenere sicuramente in considerazione in relazione all’escalation di conflitti e guerre:

1. Il potere

Ci sono molti motivi per credere che il potere sia associato alla violenza, l’aggressione e la guerra. Molti teorici (es. Blainey, 1988) hanno collegato la guerra direttamente a spinte o conflitti di potere. Le ricerche collegano il desiderio di potere ad altri concetti classici come l’onore e l’orgoglio (Berkowitz, 1990; Frank,

1986), gli istinti distruttivi (Freud, 1933/1964, pp. 210 –211) o la percezione di privazione di qualcosa (Crosby, 1976).

2. L’affiliazione

L’affiliazione è definibile come costante preoccupazione e bisogno dell’essere umano di avere relazioni strette e sentirsi parte di un gruppo.

Insieme all’aspirazione al potere, il bisogno di affiliazione emerge costantemente in tutte le culture come dimensione portante della motivazione sociale umana (Wicker et al, 1984). Proprio per questo motivo è coinvolta nella decisione di mantenere la pace o iniziare un conflitto.

3. La responsabilità

Tutti noi, come membri facenti parte di una società abbiamo delle responsabilità nei confronti dell’altro. Questo concetto, unito al desiderio di rivestire un ruolo di potere, può portare alcune persone ad agire in modo pro-sociale, ad esempio, attraverso una leadership che tenga in considerazione tutto il gruppo, ma può portare invece altre persone ad agire in modo distruttivo con aggressività e altri comportamenti dissoluti (Winter D.G., 1991b). Questi risultati suggeriscono che la responsabilità in tempi di crisi può portare a supportare risposte aggressive che includono la guerra (se, ad esempio, si tratta di responsabilità nei confronti di una nazione).

Purtroppo, nonostante i grandi passi che il mondo ha fatto dal punto di vista scientifico anche tramite le ricerche in ambito psicologico, troppo spesso conoscere le dinamiche che portano al verificarsi di un determinato comportamento non basta a limitarlo o limitarne le conseguenze.

Ed oggi, in questo giorno triste che noi tutti stiamo vivendo, non bastano teorie o analisi scientifiche e psicologiche per provare a descrivere qualcosa che a priori dei classici giochi politici, economici e strategici delle potenze mondiali, avremmo voluto non descrivere più: LA GUERRA, che da troppi anni diviene strumento strategico di interesse economico, funzionale al potere dei pochi, provocando la morte dei “molti”.

Concludendo, citiamo le parole del Prof. Daniele La Barbera:

“È un momento triste e drammatico per il Mondo, per l’Umanità e per la Storia e tra i tanti motivi di angoscia anche quelli che ci obbligano a fare i conti con l’insopportabile contro-informazione che fino a poche ore fa continuava a difendere Putin accusando gli Stati Uniti e Biden di inventarsi un conflitto inesistente e di paventarne il rischio elevatissimo esclusivamente a fini politici. Credo che la coscienza collettiva non possa più tollerare distorsioni e perversioni dell’informazione volte a negare la realtà per affermare, con un misto di follia e narcisismo, le proprie minuscole verità private. Al punto da attribuire la responsabilità di una guerra non a chi l’ha scatenata ma a chi lo accusava di volerla scatenare. E adesso aspettiamoci qualche idiozia negazionista: le scene di guerra sono in realtà spezzoni cinematografici di archivio, le bare delle centinaia o migliaia di civili e soldati ucraini uccisi sono – ovviamente – vuote, anche perché le bombe e i proiettili russi, contrariamente a quanto afferma il mainstream, in realtà non fanno male a nessuno. “

BIBLIOGRAFIA

1. Brewer, M. B. 2007. “The Importance of Being We: Human Nature and Intergroup Relations.”

American Psychologist 62: 728–738.

de Waal, F. 1990. Peacemaking Among Primates. Cambridge: Harvard University Press.

Einstein, E. 1932/2012. “Letter to Sigmund Freud, July 30,1932,” in C. P. Webel and J. Johansen (eds.), Peace and Conflict Studies: A Reader. London: Routledge. 174–175.

2. Richards, G. (2002). Putting psychology in its place: A critical historical overview (2nd ed.). Hove: Routledge.

3. Rose, N. (1999). Governing the soul: The shaping of the private self (2nd ed.). London: Free Association.

4. Blainey, G. (1988). The causes of war (3rd ed.) New York: Free Press.

5. Berkowitz, L. (1990). Biological roots: Are humans inherently violent? In B. Glad (Ed.), Psychological dimensions of war (pp. 24 – 40). Newbury Park, CA: Sage

6. Frank, J. D. (1986). The role of pride. In R. K. White (Ed.), Psychology and the prevention of nuclear war (pp. 220 –226). New York: New York University Press.

7. Freud, S. (1964). Why war? In J. Strachey (Ed. & Trans.), The standard edition of the complete psychological works of Sigmund Freud (Vol. 22, pp. 197–215). London: Hogarth Press. (Original work published 1933)

8. Crosby, F. (1976). A model of egoistical relative deprivation. Psychological Review, 83, 85–113.

9. Wicker, F. W., Lambert, F. B., Richardson, F. C., & Kahler, J. (1984). Categorical goal hierarchies and classification of human motives. Journal of Personality, 52, 285–305.

10. Winter, D. G. (1991b). A motivational model of leadership: Predicting long-term management success from TAT measures of power motivation and responsibility. Leadership Quarterly, 2, 67– 80.




DODICI RINTOCCHI di RENATA RUSCA ZARGAR


DODICI RINTOCCHI

Il mio corpo si muove sciolto e flessuoso trasportato dal ritmo veloce della musica. Chiudo gli occhi: voglio eliminare da me tutto ciò che non sia libertà pura. Così, posso abbandonarmi al sogno, mentre la musica entra nel mio sangue, goccia dopo goccia, e mi trascina in alto. Ecco, infine, due braccia che mi stringono, fino a sprofondare perduta nell’infinito…

Amo tanto ballare da sola sulla pista della discoteca: esprimere me stessa, giocare come se il corpo fosse un fiore che si apre, senza più limiti!

Infine, è ora per me di rientrare a casa, domani mattina devo alzarmi presto.

Esco e mi avvio alla mia auto. Ho abbandonato le tensioni, il dolore, il malessere, l’angoscia esistenziale, sulla pista. Ora sto bene.

Gli altri sono restati nel locale, la loro notte continua fino all’alba, quando andranno insieme a prendere il cappuccino con la focaccia calda in un bar che sarà già aperto.

Ma per me è abbastanza, sono stanca e vado a dormire.

Il tempo della vita non voglio solo vederlo passare, devo esserne protagonista: devo imprimere la mia orma su questa terra. Il divertimento è solo una piccola parte dell’esistenza, è ciò che aiuta a svincolare nuove energie. Poi, c’è tutto il resto.

Il parcheggio è zeppo di macchine e silenzioso. Anche l’amica con la quale sono venuta è rimasta a ballare. Qualche lampione alto sparge la sua luce sullo sfondo blu del cielo.

Entro in auto e accendo subito la radio. Si effonde a tutto volume il ritmo di una canzone famosa:

“Spiriti Potenti, Vi invochiamo 

Vegliate su Noi che stanotte balliamo 

Volti alla luna, Alta la fronte 

Danzano le streghe di Gabry Ponte 


Quando è notte il lupo grida all'ombra della luna 

La danza delle streghe non porta mai fortuna 

Fuochi e Spiriti ballate 

dentro al cerchio della luce 

Tramontate stelle… anime sorelle 


Dodici rintocchi squarciano la notte scura 

La danza delle streghe signore di paura 

Dalle tenebre sorgete 

lento il fuoco nero brucia 

Spettri nel castello fate il vostro ballo 


Volti alla luna, Alta la fronte 

Danzano le streghe di Gabry Ponte”

La sera dopo, Tonina è di nuovo là, in discoteca. La gente arriva in piccoli gruppi o anche in solitudine, specialmente gli uomini. All’inizio la musica è solo nella prima sala, ancora quasi tutta vuota. I clienti si attardano al bar, si guardano intorno, per ora sono ben poche le persone che ballano. Verso la mezzanotte, la musica si accende anche nella seconda sala, e molti iniziano a dimenarsi.  Questo locale è “over trenta”, frequentato cioè da persone adulte e non dai soliti bamboccioni. Molti sono single che sperano di trovare compagnia, magari temporaneamente, altri fanno parte di una comitiva che consuma così il sabato e la domenica sera. Tra i tanti anonimi, spicca un tipo con i pantaloni blu che punta il dito in alto o basso, secondo la musica, un revival mal riuscito di Travolta. Un altro, con la sua bella pancetta, salta qua e là, come pure uno spilungone coi baffi dall’aria poco intelligente. Si agitano, all’intorno, numerose donne dal corpo floscio e dagli abiti pretenziosi simili a adolescenti di cattivo gusto. Persino la dj di mezza età, pure ella in sovrappeso, urla sopra la musica del disco: “Alzino le mani i single” e il popolo dei felici alza le mani.

Non sono giovani, dunque, ma si scatenano come ragazzini, è la loro palestra settimanale. Due biondissime con chiodo e stivaloni neri, borchie e bracciali dappertutto, si strusciano al palo guardandosi intorno con movimenti che vorrebbero essere provocanti: sono madre e figlia. Poi, un uomo porge il lato b a una donna che mima un atto sessuale e molti ripetono, senza freni inibitori. Forse hanno bevuto troppo o, forse, no, con le loro minigonne, calze a rete, stivali, nella musica battente cercano una gioia che li sfugge per tutta la settimana. Hanno lasciato a casa l’abbandono, il fallimento, la paura della vecchiaia e della morte, i loro corpi sfatti sembrano appagati.

E le anime?

Tonina non cerca nulla in quel misero consesso se non il ballo: ama la musica forte, il ritmo, deve trovare il punto d’unione del corpo con l’universo, dare e prendere forza, energia, benessere…

Per questo non guarda neppure verso quei compagni: non le piacciono, non vuole condividere la loro triste vita.

Dodici rintocchi squarciano la notte scura 

La danza delle streghe signore di paura 

Dalle tenebre sorgete 

lento il fuoco nero brucia 

Spettri nel castello fate il vostro ballo…

É passata la mezzanotte, ma non sono le streghe a ballare, le streghe sono, comunque, vincenti, hanno potere, qui c’è solo il popolo dei perdenti.

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Correva l’anno 1594.

La bambina con i suoi zoccoletti procede nel buio della campagna. Un tondo di luna sorride nell’alto del cielo ma le ombre alte degli alberi, che sembrano allungarsi alla tenue luce, la spaventano. Ella torna a casa, dopo un lungo periodo a servizio, perché la madre malata l’ha mandata a chiamare. La sua dimora, un misero tugurio, si trova proprio vicino al porto, dove c’è anche il trogolo delle lavandaie. Lei, invece, era a servizio a Legino, un quartiere un po’ fuori della città, dove si trovano alcune ville padronali. La distanza non è molta ma, dovendo sempre lavorare, non riusciva mai a venire a trovare la mamma che offriva, invece, i suoi servizi alle famiglie nelle belle case a schiera del centro. Ecco, là sopra, il Priamar, Pia-ma, pietra del mare, o pietra del male, come credevano molti, la terribile fortezza eretta dai genovesi che comandavano in Savona, con le sue mura possenti e spaventose. Così, nella notte, metteva paura. Proprio sotto, c’erano il porto e le povere abitazioni…

Dodici rintocchi si allargavano nella notte dalla Cattedrale.

La madre era sdraiata su un giaciglio di paglia, tossiva, la sua fronte scottava. Come curarla? Le poche monete che aveva raggranellato non facevano neppure un mezzo scudo d’argento. Dopo, non sarebbe rimasto nulla per mangiare, visto che la madre non poteva lavorare e lei aveva lasciato il servizio.

- Maria, dovrai andare alla casa gialla sopra il porto, c’è la biancheria da prendere, deve essere lavata…- la mamma faticava a parlare, le mancava il respiro - altrimenti perderemo questo lavoro…

- Hai delle monete da parte, mamma?

- No, non ho più nulla, sono già tanti giorni che non lavoro, - intanto, tossiva scuotendosi tutta e diventando rossa - non pensare a me, vai alla casa gialla. 

La donna era ricaduta esanime sul cuscino.

Che fare? Maria aveva undici anni ma la vita le aveva già insegnato molto. A Legino, sentiva sempre la cuoca dei padroni che parlava di erbe per questo, per quello…  Se non poteva pagare un medico, né comprare delle medicine, doveva trovare quelle erbe.

La mattina dopo, si era recata di buon mattino a prendere tutto ciò che c’era da lavare nell’elegante palazzo indicato dalla madre ma, prima di mettersi al lavoro, era andata a fare un giro nelle zone erbose che circondavano l’abitato e si era rifornita di quanto le serviva. A casa, aveva preparato un decotto per la madre e poi si era avviata ai lavatoi con le altre lavandaie della città. Cantavano e sbattevano i panni sul piano del trogolo, si facevano coraggio l’una con l’altra, con le mani rosse e gonfie dalla fatica e dal freddo. Molte erano ragazzine come lei.

Era così trascorso qualche giorno, la madre stava meglio, anche se era molto debole, e lei continuava a darsi da fare.

Nella casupola a fianco la loro, viveva una famiglia molto numerosa: madre, padre e dodici figli. Maria, qualche volta, parlava con loro, specialmente con uno dei figli che, forse, aveva più o meno la sua età. Egli era apprendista fabbro e, quando tornava sfinito la sera, si fermava qualche minuto con lei, prima di entrare in casa, mangiare e andare a dormire.

Così, le chiedeva come stesse la madre.

- Meglio, molto meglio. - sorrideva Maria che cominciava a vedere i primi risultati delle sue cure.

- Beata te, che avevi i soldi per andare dal medico. Io non guadagno quasi nulla, eppure fatico tutto il giorno, il padrone mi picchia, mi ha anche frustato diverse volte! Ma, forse, le donne a servizio guadagnano bene, dobbiamo mandare mia sorella che ormai ha l’età, così anche noi staremo meglio. - Giuseppe pensava a voce alta.

- No, no, io non avevo abbastanza denaro per il medico. Ho curato mia madre con le erbe, come avevo imparato a Legino. Poi, con i miei pochi risparmi, le ho dato di più da mangiare e le ho comprato persino un pezzo di carne. Non ho potuto fare altro, ma lei ora sta meglio.

- Con le erbe?

- Sì, con le erbe si può curare tutto, dicono. -

Un po’ di tempo era passato, Maria non era tornata a servizio a Legino ed era rimasta con la madre che, piano piano, si stava rimettendo, anche se non era in grado di fare il lavoro pesante di prima. Ora andava solo a prendere i panni e li riportava, poi, puliti. Maria, invece, lavava tutto il giorno, perché la madre aveva trovato anche un’altra famiglia ricca che le affidava la roba sporca, ma era contenta.

Un giorno, Giuseppe era venuto a cercarla al trogolo.

- Senti, Maria, mia madre sta male, molto male. Sono venute delle donne a curarla ma non è cambiato niente! Perché non ci pensi tu?

- Ma Giuseppe, io non so se potrei guarirla…

- Prova, almeno! -

  Maria era andata. La madre di Giuseppe era sfinita dal lavoro e dai figli. Era tutta pelle e ossa, aveva ormai anche un’età in cui molte donne, nelle sue stesse condizioni, morivano per le tante gravidanze, la mancanza di cibo sostanzioso, cure e riposo.

Maria aveva capito tutto questo e, oltre alle erbe ricostituenti, aveva raccomandato a Giuseppe di far riposare la madre, di nutrirla meglio, di impedire che, come al solito, si privasse di tutto per lasciare i bocconi migliori al marito.

Giuseppe, i fratelli e le sorelle, si erano dati da fare e la donna, lentamente, si era ripresa.

Giuseppe, ormai, guardava Maria con ammirazione. Qualche volta, nel pochissimo tempo libero, avevano anche passeggiato insieme, verso la campagna, e si erano dati la mano. Tutte le sere, lei aspettava sulla porta di casa per vederlo arrivare e si salutavano, con un sorriso negli occhi, prima di entrare ognuno nella sua miserabile stamberga e cadere in un sonno di piombo.

Erano passati, così, diversi mesi. Maria aveva preso l’abitudine di andare, ogni tanto, per erbe, da sola: non c’era nessuno da guarire ma le erbe erano molto utili, quindi, aveva continuato a usarle.

Tra i cespugli si sentiva bene, poteva lasciar scorrere i pensieri, forse, sognare. Ormai era primavera, sua madre diceva che lei era nata in quella stagione, quindi, aveva circa dodici anni e il suo seno iniziava appena ad arrotondare.

Un giorno, si era trovata accanto il padre di Giuseppe, Stefano, detto Ste.

- Ciao, Maria. Sempre sola, eh?

- Sì. - Maria era in imbarazzo, mentre lui si faceva sempre più vicino.

- Perché non ci sediamo un po’ qui, all’ombra? -

Maria non era riuscita a dire di no, quell’uomo forse voleva parlarle, chissà, forse voleva dirle di Giuseppe… Il cuore le batteva forte. Forse, chissà, cercava una moglie per Giuseppe… Strano che non ne discutesse con sua madre, ma, probabilmente, voleva sapere se lei fosse d’accordo. Sì, certo, lei sarebbe stata d’accordo, le piaceva la dolcezza di Giuseppe, il modo con cui la guardava, i bei momenti trascorsi a passeggiare, a chiacchierare, a pensare al domani…

Si erano seduti all’ombra di un grande pino. L’uomo la guardava in modo strano, senza parlare, aveva il respiro ansante, era arrossato. Poi, all’improvviso, le aveva infilato una mano sotto la gonna. - Stai buona, non ti succederà nulla. E non ti servirà urlare, tanto qui nessuno ti sente. -

Maria aveva cercato di alzarsi per fuggire ma lui la teneva stretta. L’aveva sdraiata e le si era messo sopra. Freneticamente le accarezzava il piccolo seno da bimba, le cosce lunghe e magre. In pochi minuti, aveva approfittato di lei, poi si era risistemato e, nell’andarsene, le aveva bofonchiato: - Non credevo di essere il primo. Ti vedevo con mio figlio. Sei così bella! Ma non dirai nulla a nessuno, altrimenti ti accuserò di avermi provocato, dirò che è stata colpa tua, tua madre ti scaccerà e anche mio figlio non ti vorrà più vedere. Sai cosa succede alle donnacce che si danno da fare con gli uomini. 

Ridacchiando soddisfatto, se ne era andato.

Maria aveva pianto silenziosamente. Sapeva che queste cose accadevano spesso, ne aveva sentito parlare dalle altre donne al trogolo. Chi non aveva padre o fratelli o un marito, era una facile preda. E, spesso, anche le donne che avevano familiari maschi ricevevano lo stesso trattamento, specialmente perché erano povere. Sapeva ormai che i suoi sogni erano finiti, mai più avrebbe dato speranze a Giuseppe, si vergognava troppo. Non voleva più vederlo.

Così, non si era confidata con nessuno, aveva evitato qualsiasi incontro con Giuseppe e, quando lui era andato al trogolo per chiederle il motivo del suo comportamento scostante, gli aveva risposto in malo modo. Giuseppe non aveva insistito.

Maria non era neppure più andata in campagna a cercare le erbe, non si faceva trovare mai da sola, stava sempre con la madre o con altre donne. Ma Ste, approfittando di una momentanea assenza della madre, era persino entrato in casa e l’aveva buttata sul letto, con il pericolo di essere visti da tutti. Maria era terrorizzata, proprio come se fosse stata lei la colpevole.  Poi, le aveva intimato di andare in campagna ogni volta che lui glielo avesse chiesto. - Mi piaci troppo, non voglio rinunciare a te, mia moglie non mi dà più nulla, ho bisogno del tuo corpo fresco.

Maria era diventata triste, mangiava pochissimo, eppure doveva resistere, sua madre aveva bisogno di lei, che poteva fare? Così, piano piano, si era adattata: quando lui le faceva segno, andava per erbe e lui la prendeva dietro a un cespuglio. In fondo, faceva presto, bisognava sopportare, come subivano tante altre donne.

Dopo qualche mese di quella vita, era successo anche che, per la prima volta, le venissero le sue cose. Sapeva che da ora in poi avrebbe corso dei pericoli e l’aveva detto, a lui, di stare attento. Ma lui non aveva voglia di stare attento, non voleva pensare a qualcosa che non fosse il suo piacere. Intanto, il suo corpo diventava quello di una donna, con le curve arrotondate, le cosce e i fianchi torniti, il seno fecondo. Ste la cercava sempre più spesso, lasciava il lavoro di nascosto, la casa di notte o di mattina prima dell’alba, e lei lo seguiva impotente, sempre più atterrita dalle imprudenze di lui che aveva perso la testa. Là, nel bosco, egli le diceva persino che avrebbero potuto fuggire insieme, lasciare la città, andare a vivere lontano, liberi. Maria, con l’anima annientata, non rispondeva. Poi, tornava a casa, sporca, fuori e dentro, così le sembrava, e inventava scuse per la madre che le domandava perché andasse per erbe in orari tanto strani.

Pertanto, quando Maria aveva circa tredici anni, era rimasta incinta.   -Arrangiati, - le aveva risposto lui - conosci le erbe, usale per eliminare questo ingombro.-

Maria aveva provato vari intrugli, mangiato e bevuto infuso di prezzemolo in gran quantità, ma l’ingombro non era andato via e la pancia, invece, cresceva.

A volte, guardava verso il Priamar come in un brutto presentimento: il sole batteva sulle pietre disuguali che formavano le solide pareti del palazzo.  

Il suo corpo, nello spazio di pochi mesi, si era ingrossato. La sua mente, solo un anno prima, nonostante la vita di sacrificio, le faceva desiderare giochi e corse tra i sentieri che portavano fuori dalla città, magari insieme a un ragazzo come lei, con l’esistenza ancora davanti. Invece, ora, si tormentava al pensiero di cosa fare.

Lui, intanto, non la cercava più, e almeno questo era un fatto positivo. Ma la mamma si era accorta che lei aspettava un bambino e si era disperata tanto. Poi, alla fine, non riuscendo a farsi dire chi fosse il padre, anch’ella si era rassegnata. Sarebbero andate avanti lo stesso, pure con una nuova creatura.

Infine, il bambino era nato, un bel maschietto robusto. Maria e la madre se ne prendevano cura e rispondevano alle domande dei curiosi sostenendo che il padre era un soldato e che era dovuto partire improvvisamente per la guerra ma che presto sarebbe tornato.

Forse, non ci credeva nessuno, ma bastava per mettere a tacere gli interrogatori.

In quel tempo, lui era tornato alla carica. Nel bosco, dopo essersi soddisfatto, le aveva intimato:

- Devi dar via questo bambino, è troppo scomodo.  Quando ti sposerai avrai altri figli, questo devi abbandonarlo. 

Maria era annichilita. Non avrebbe mai ripudiato il suo bambino che amava! Che cosa voleva lui?

- Non ti chiedo nulla, lo alleverò da sola, perché dovrei abbandonarlo?

- Siamo vicini di casa, non lo voglio vedere, non voglio che lo vedano i miei figli, potrebbe somigliare a me… Te ne devi liberare, anzi, avresti dovuto farlo prima, come ti avevo detto. -

Maria doveva trovare una soluzione, ma quale? Se fosse andata a servizio, avrebbe dovuto lasciare il bambino alla madre e aveva paura che lui gli facesse del male. Se rimaneva lì, lui avrebbe avuto il bambino sempre davanti agli occhi e avrebbe potuto lo stesso fargli del male.

Doveva andarsene da Savona, lasciare la sua città e trovare un altro luogo dove vivere. Chissà, forse a Genova, avrebbe potuto trovare lavoro…

Giuseppe, intanto, era rimasto stordito dal fatto che Maria avesse avuto addirittura un figlio.  

Come era possibile? Maria gli era sembrata attratta da lui, spesso avevano chiacchierato di un futuro insieme, gli occhi di lei gli avevano sorriso tante volte! Non poteva essersi sbagliato tanto!

Inoltre, la vedeva sempre sola, non aveva ragazzi intorno… Perciò, aveva immaginato che qualcuno si fosse approfittato di lei, della sua inesperienza e giovinezza.

Avevano ricominciato di nuovo a parlare, anche se Maria si vergognava tanto e non riusciva ad alzare lo sguardo verso il suo viso. Infine, però, gli aveva confidato che voleva lasciare la città, rifarsi una vita altrove.

A volte, Maria doveva andare nel bosco con Ste e poi, più tardi, doveva incontrare Giuseppe: si sentiva macchiata, come se fosse stata tutta colpa sua. Se Giuseppe avesse saputo, non l’avrebbe mai più guardata in faccia, non l’avrebbe aiutata! Maria sperava di poter salvare suo figlio, per questo Giuseppe non doveva sapere nulla ed ella chiedeva a Dio di perdonare tante menzogne.

- Ho sentito, dal mio padrone, - le aveva confidato Giuseppe una sera - che a Genova i fabbri trovano facilmente lavoro, sono molto ricercati. Sto prendendo contatti e tra pochi giorni andremo via di qui, tutti noi insieme, io, te, il bambino e tua madre. Non ci troveranno mai. -

A Maria sembrava di volare. Tutto quell’orrore sarebbe finito, avrebbe ricominciato una nuova vita lontano da lì, con Giuseppe e il bambino! Col tempo, avrebbe dimenticato tutto!

Dio aveva ascoltato le sue suppliche perché Dio perdona tutti i peccatori, come diceva sempre il prete la domenica.

Due giorni dopo, Giuseppe le aveva detto di tenersi pronta che sarebbero andati via, la mattina seguente, ognuno per proprio conto, senza farsi notare. Lei avrebbe preso il bambino e, con la madre, sarebbe andata in campagna. Lui avrebbe finto di andare al lavoro. Fino a sera nessuno si sarebbe accorto di nulla e a quell’ora sarebbero stati ormai lontani.

Nella tarda sera, però, erano venuti i soldati ad arrestarla. Le avevano legato le mani e l’avevano trascinata via, verso la fortezza. Il bimbo era rimasto con la nonna.

Maria era stata gettata in un’angusta cella senza nulla per coprirsi.

Da una grata poteva scorgere la luna piena che spuntava quasi rossa sopra gli archi e le mura: una lama di luce si diffondeva in una fetta di mare blu immobile, quasi a trattenere il respiro. Intorno, solo buio. Si sentiva un cane che latrava nella notte.

Dodici rintocchi si erano sparsi, puliti, dalla Cattedrale. Che stava succedendo? Perché si trovava lì? Non lo sapeva!

La mattina dopo, la porta si era aperta e le guardie avevano fatto entrare qualcuno che le sembrava un monaco.

- Allora, che cosa ci dici?

- Su che cosa?

- Non fingere di non sapere!

- Ma non so perché sono stata imprigionata qui…-

Maria tremava di freddo e di paura. Aveva appena compiuto quattordici anni.

- Non scherzare, donna! La magia è un crimine!

- Io non so nulla di magia.

- Sei stata denunciata per aver usato erbe e per aver avuto un figlio dal diavolo, con cui ti sei unita.

- Erbe? Sì, mia madre è guarita con i decotti di erbe e anche la mia vicina, ma cosa c’è di male in questo?

- Il diavolo, nei suoi amplessi con te, ti ha dato quelle erbe. E ti è nato anche un figlio…-

Maria era ammutolita, cosa poteva dire?

- Dunque, è vero! Il figlio è del diavolo.

- No, io non conosco il diavolo!

- Allora di chi è tuo figlio? -

Maria non poteva parlare. In ogni caso sarebbe stata accusata e nessuno le avrebbe creduto. Chi l’aveva denunciata con tanta falsità e crudeltà?

Il monaco era uscito dalla cella e aveva dato ordine perché fosse trasferita a Genova, dove sarebbe stata interrogata. Così, in un carro coperto, Maria era arrivata a Genova, dove l’avevano tradotta in un’altra cella.

Infine, era comparsa davanti ai giudici.

- Devi dirci tutto, se vuoi salvarti l’anima.

-  Ma io non ho fatto niente!

- Vedremo. -

Mentre uno dei giudici ricordava che le streghe si incontravano e si accoppiavano con il diavolo in campagna, che potevano volare, uccidere, rubare il sangue dei bambini innocenti, Maria veniva trascinata per terra tenendola per le braccia.

- Allora, sei pronta a confessare?

- Non ho fatto nulla!

- Il tuo vicino, persona attendibile, un brav’uomo, padre di molti figli, ti accusa di stregoneria. Tuo figlio, dice, è figlio del diavolo e il diavolo in persona ti ha dato delle pozioni che hai somministrato a sua moglie e ad altre persone. Ti ha vista andare spesso in campagna, anche di notte, dove, evidentemente, ti accoppiavi col diavolo. -

Un altro aggiungeva: -Papa Innocenzo VIII, nel 1484, ha promulgato la Bolla Summis desiderantes che recitava, tra l’altro: “È in effetti pervenuto di recente alle nostre orecchie che in certe regioni della Germania superiore e nelle diocesi di Magonza, Colonia, Treviri, Salisburgo e Brema parecchie persone di entrambi i sessi, dimentiche della loro stessa salvezza e deviando dalla fede cattolica, si sono date ai demoni incubi e succubi; per mezzo d’incantesimi, fatture, scongiuri e altre superstiziose infamie ed eccessi magici fanno deperire ed estinguersi la progenie delle donne, i piccoli degli animali, le messi della terra, i grappoli delle vigne, i frutti degli alberi.”-

- I Domenicani – spiegava ancora un altro giudice - ne “il Martello delle streghe” affermavano: “Esse scatenano grandinate, venti dannosi con fulmini, procurano sterilità negli uomini e negli animali, i bambini che non divorano li offrono ai diavoli o li uccidono in altro modo.” Molti eminenti studiosi hanno analizzato in vari importanti trattati se si tratti di potere del demonio sulle streghe, vittime forse degli effetti allucinogeni degli unguenti utilizzati nelle pratiche magiche, o se esse siano dotate di effettivi poteri. Io credo che esse, unendosi al diavolo, ne acquisiscano dei poteri che usano per distruggere la società cristiana. Dobbiamo combatterle! Persino nel Levitico è scritto: “L’uomo o la donna che ha lo spirito pitonico o di divinazione sian messi a morte, sian lapidati”. Lo spirito pitonico, che si riconduce alla Pizia, una sacerdotessa-oracolo del tempio pagano di Apollo e che persiste nelle malefiche streghe, deve essere soppresso! -

Maria neppure al lavatoio aveva mai sentito parlare di queste cose, non capiva che cosa dicessero quegli uomini che, intanto, l’avevano infilata in una gabbia detta altalena e l’avevano buttata nell’acqua di un’enorme vasca. Ogni volta, che tornava all’aria, senza respiro, le chiedevano di confessare. Ma lei non aveva nulla da confessare. Poi, uno di loro aveva fatto portare un ferro rovente e con quello aveva premuto sulla povera mano di Maria, che era svenuta. L’avevano subito rianimata, affermando che era il diavolo che voleva salvarla, lo svenimento era una prova certa. Infine, le avevano tagliato un orecchio.

A quel punto, Maria aveva confessato tutto quanto volevano sapere.

Allora l’avevano ficcata in una di quelle prigioni ambulanti, gabbie in assi di legno e ferro battuto, e trasportata in giro per la città per far vedere alla gente come venissero punite le streghe, amiche del demonio, pericolose per la società cristiana.

I curiosi, nelle strade, nei mercati, si affacciavano dall’apertura e scrutavano una giovane fanciulla insanguinata, sofferente. Godevano perché il Maligno era stato sconfitto. Qualcuno rideva, poi si faceva il segno della croce: giustizia era completa. Infine, Maria era sta sgozzata, come tutti quelli che avevano confessato, prima di essere arsa.

Dodici rintocchi squarciano la notte scura…

In quel tempo, si era conclusa la breve vita di Maria. 

Il procedimento, però, non ancora era terminato. Le guardie si erano recate, quindi, da sua madre a Savona. Avevano requisito i pochi risparmi che c’erano in casa per pagare le spese delle torture, del processo e della condanna. Avevano buttato in mare il bambino che non meritava neppure una sepoltura, in quanto figlio del demonio.

La folla savonese, saputo che la loro concittadina era stata complice del diavolo, si era accalcata urlante davanti al tugurio: - Fuori dalla città, non vogliamo la madre di una strega! Se non te ne vai, farai la stessa fine di tua figlia! - Avevano iniziato, intanto, a lanciare pietre contro le fragili mura.

La madre di Maria, terrificata, si era avviata piangendo verso la campagna, dove era morta poche ore dopo di freddo e di crepacuore.

La giustizia era stata, pertanto, veramente compiuta.

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È la notte di Halloween. Non è una ricorrenza della tradizione cristiana e, in fondo, la maggior parte delle persone neppure si pone il problema. Si fa festa e, dopo Halloween, da sempre, si celebrano i Santi e poi i Morti, in una sequenza che, in ogni caso, avvicina all’aldilà: l’atavica paura della morte da esorcizzare. Sono ben pochi quelli che sono davvero convinti che Halloween sia la festa più importante dell’anno per i seguaci di Satana, o che il 31 ottobre sia l’inizio del nuovo anno, secondo il calendario delle streghe, che il paganesimo, l’occulto, la stregoneria, il satanismo, siano i veri protagonisti. Ma alcuni avvertono che un influsso occulto si dirami nella vita delle persone…

Il popolo dei felici, però, brama solo divertimento, senza pensieri, e si avvia alla solita discoteca, magari in costume, con trucchi vistosi che ricordano le streghe, la morte, il buio…

Tonina indossa uno di quei cappelli a larga tesa, con fibbia intorno, alti, a punta, e l’ha scelto rosso, anche se non è proprio il colore tradizionale (le piace di più). Su internet ha letto che il 31 ottobre le streghe sono protagoniste e che realizzare un costume da strega è molto semplice: basta un abito nero e un trucco vistoso, oltre al cappello nero e appuntito. Sul cappello, poi, a piacere, si possono inserire decorazioni di stelline adesive, nastri, oppure ragnetti, ragnatele, zucche…

Così, Tonina ha sparso sulla casacca nera che indossa e sul cappello, molte stelline e qualche ragnetto adesivi, comprati in cartolibreria. Ha accentuato il trucco rendendolo più vistoso e scuro, specialmente intorno agli occhi.

All’arrivo nel parcheggio, c’è il solito extracomunitario che questa sera non tenta di vendere le abituali rose ma si è attrezzato con cappelli, adesivi e zucche con il lumino dentro.

Tutti comprano qualcosa per animare ancora di più la serata. Tonina prende un adesivo che raffigura la streghina classica a cavallo della scopa (somiglia tanto alla Befana ma è più giovane) che si staglia sullo sfondo di una luna tonda e bianca nel blu del cielo. L’attacca sul vetro anteriore della sua auto, poi entra con la sua amica nel locale.

C’è già la musica e subito inizia a ballare.

Dodici rintocchi squarciano la notte scura 

La danza delle streghe signore di paura 

Dalle tenebre sorgete 

lento il fuoco nero brucia 

Spettri nel castello fate il vostro ballo 

Tonina ama la vita che c’è nella musica, che le pervade ogni parte del corpo, che allontana i pensieri e i problemi quotidiani. Sì, è una strega, è donna, ha potere, può vincere il dolore, il buio e persino la paura. Si sente forte, finalmente, non è schiava di nessuno, nessuno può usarla come un oggetto, nessuno può più manipolare i suoi pensieri.

È libera, finalmente, dopo secoli di oppressione.

Ormai sono le due di notte, è l’ora in cui Tonina lascia il ballo. Molti, invece, entrano proprio a quell’ora. Come sempre, la sua amica rimane lì, con gli altri della compagnia. La serata, o nottata, andrà fino alle 5 o alle 6 del mattino.

Tonina esce da sola nel parcheggio.  

Questa notte il cielo è coperto, minaccia pioggia, non c’è il magnifico blu stellato ma un plumbeo grigio scuro. Persino il lampione vicino alla sua auto è spento, forse si è bruciata la lampadina o forse qualcuno le ha tirato un sasso e l’ha rotta. Che gente c’è in giro! Quasi dall’ombra escono due individui. Saranno due che arrivano ora e vanno in disco. Tonina tira fuori dalla piccola borsetta di paillette la chiave dell’auto e apre la porta. I due individui le si affiancano senza parlare, uno da una parte e uno dall’altra. Il più alto le mette un coltello alla gola: - Stai zitta, troia, sennò ti ammazzo come un cane.

- Ma non ho soldi… Prendete pure quello che volete, ho solo 5 euro…

- Prendiamo quello che vogliamo! -

L’altro la getta sul sedile posteriore, le strappa i pantaloni e le mutande mentre il compagno, dal sedile davanti continua a tenerle il coltello alla gola, premendolo fino a graffiarle la pelle.

- Dai, puttana, vedrai che ti piacerà…-

L’uomo si sbottona i pantaloni e si dibatte ferocemente su di lei per pochi minuti. Poi, si alza e si sposta nella parte davanti dell’abitacolo, con il coltello.

Forse, passerà qualcuno, pensa Tonina, forse qualcuno la vedrà e la salverà. Trema di dolore e di umiliazione, il corpo di una donna può essere preso e usato quando e come si vuole…

Non è cambiato niente da allora.

Il secondo uomo si butta su di lei ed è la stessa scena.

- Allora ti è piaciuto?  Voi donne fate sempre le sdegnose ma è questo che volete… troie!

- Andiamo Ste, prima che arrivi qualcuno.

- Davvero la bastarda ha solo 5 euro, non vuole farsi fregare in discoteca! - e le molla un ceffone.

- Prendile l’anello e il bracciale e filiamocela.

- E ricordati che se parli, torniamo, sappiamo dove abiti. Bocca chiusa, ricordati, altrimenti la prossima volta non saremo così gentili. E ringraziaci che non ti tagliamo la gola! - e le assesta un ultimo calcio.

Tonina rimane sola nel parcheggio.

Quando è notte il lupo grida all'ombra della luna 

La danza delle streghe non porta mai fortuna 

L’unico testimone di tanto orrore è la streghina adesiva sul vetro dell’auto. O, forse, neppure lei ha visto, impegnata a volare in cielo libera, verso la luce della luna, sulla sua scopa immaginaria.

Renata Rusca Zargar


giovedì, febbraio 24

GIORNO dopo GIORNO - Due vecchie signore sul Web di ANGELA FABBRI E DANILA OPPIO - RECENSIONE DI LUCIANO NANNI

Angela e Danila

Due vecchie signore sul web. Giorno dopo giorno

 Giorno dopo giorno

narrativa  arte 

Autori

Angela Fabbri

Danila Oppio

Edizione: Amazon

Legnano 2021

pp. 393

Recensione a cura di

Luciano Nanni

Pubblicata su: Literary nr. 2/2022


Epistolografia. Queste due simpatiche signore presentano quel che si sono raccontate durante la pandemia nel corso del 2020. Angela è single, informatico in pensione, è nata a Ferrara. Danila, sposata e con tre figli, è nata a Fonzaso (Belluno) e vive a Legnano. Scrivono e disegnano tutt’e due, grandi cuoche e, da quel che si comprende, grandi amiche. L’età la lasciamo a chi leggerà il libro; possiamo solo dire che è divisa equamente. Potrebbe sembrare che un epistolario a distanza attraverso il web si limiti a fatti personali. Certo, ci sono, ma il discorso si amplia a un punto tale che ne scaturiscono diverse osservazioni. Ci viene da chiamarlo quasi un vademecum, non proprio tascabile, sui problemi e le riflessioni che la pandemia fa emergere. Già dall’inizio ci si pone la domanda: chi è poeta. Diciamo da subito: le due autrici. Ci sono versioni contrapposte. Difficile sostenere, per esempio, che il Foscolo non sia un poeta, basti leggere i sonetti, tra gli esiti più elevati della poesia dell’Ottocento. Seguiamo allora le due pantere grigie nel loro percorso letterario, poiché anche le missive fanno parte della letteratura, e, guarda caso, del Foscolo. Uno spunto interessante ci viene dalla globalizzazione che, a quanto si riferisce, comincia a stancare. Perché? Chi cerca l’equilibrio dovrebbe dimostrare il pro e il contro. Ma, come ci insegnano le personalità di Angela e Danila, è assai difficile ridurre tutto a un livello onnicomprensivo, considerando la grande varietà delle cose umane, varietà che rappresenta una ricchezza, in primis in senso spirituale. La correlazione tra materia e pensiero ci soccorre da una poesia (p. 84) che dimostra un’attinenza tradotta sul piano interiore. Tale, infatti, è la scrittura, comunque venga definita. Fra le curiosità che queste lettere mettono in luce non si può sottacere di quella vena fantastica, poi utilizzata nel fantasy, che rende più appetibili le missive. Ci riferiamo ai draghi, che col tempo, e le modificazioni che l’immaginazione realizza, finiscono per diventare amabili, e persino affettuosi. Un altro interrogativo è: qual è oggi il ruolo della Chiesa? La morale è una sola e fissa o cambia secondo tempi e luoghi? Naturalmente molto dipende da tradizioni che cercano di stabilire regole inamovibili, di fronte al flusso della Storia. Non mancano spunti di grammatica. Considerando la quantità di forestierismi, soprattutto anglicismi, che quotidianamente incontriamo, e non solo sul web, la norma è che una parola straniera sia indeclinabile. Invece la formazione del femminile nella nostra stessa lingua pone qualche indecisione. Prendendo le mosse dall’italiano, quindi, pensiamo al futuro: forse i dialetti spariranno. E alla fine spariranno le varie lingue, un mondo che significa la nostra civiltà? Qui torna l’idea di globalizzazione, al fine di valutarne ogni aspetto. Potremmo continuare segnalando il sogno, e le varie implicazioni. Dall’antichità questa forma mentale, si fa per dire, ha sollevato una incredibile quantità di interpretazioni. A nostro parere esiste indubbiamente un sostrato che rinasce quando si liberano i freni inibitori. Perciò una identità più profonda. Altri argomenti potrebbero interessare il lettore, come gli insetti. Per ora accontentiamoci di questo epistolario, in attesa del prossimo che dovrebbe riguardare il 2021.   


sabato, febbraio 19

GLI ASSENTI DEL VERTICE EUROPA - AFRICA di P. MAURO ARMANINO

Gli assenti del vertice Europa – Africa 

« Tout ce qui est fait pour l'Afrique sans le peuple africain n'est pas pour l'Afrique ». 

   Tutto quanto si decide per l’Africa senza il popolo africano non è per l’Africa.


Questa la traduzione della frase posta come emblema della dichiarazione dei popoli africani sul recente vertice dell’Unione Europea e Africana. Ancora prima dell’incontro effettuatosi a Bruxelles il 17 e 18 febbraio passato, c’erano stati vari contatti. Il ‘terreno’ opportunamente preparato con la promessa della Commissione Europea di un aiuto di qualcosa come 150 miliardi di euro per l’Africa. L’apertura solenne di questo sesto vertice era sotto il tema ‘ Africa ed Europa, due continenti con una visione comune per il 2030’. Per un’Africa in ‘piena mutazione’, ricordava il presidente in esercizio dell’Unione Africana Macky Sall del Senegal. Con la necessità di ‘reinventare la relazione trai due continenti’, affermava Emmanuel Macron, presidente francese. C’è solo da sperare che detta visione non sia comune, né nel 2030 né mai. A Bruxelles, infatti, i popoli non c’erano affatto.

Parte dei capi di stato africani che hanno rappresentato il loro Paese nell’incontro di Bruxelles non sono legittimi. Alcuni in pieno Terzo mandato presidenziale ottenuto con manipolazioni costituzionali, longevità nel potere, elezioni truccate e appoggio delle potenze europee per mantenersi al potere. Questo e altro li rende poco o nulla degni di portare la voce del popolo che (non) rappresentano. Dall’altra sponda, quella europea, la democrazia è finita da un pezzo per trasformarsi in monarchia, oligarchia o semplicemente ossequiente portaborse dei poteri finanziari. I vari presidenti invitati al vertice, dunque, rappresentano poco più di loro stessi e molto di più le lobby finanziarie che finanziano le loro rispettive campagne presidenziali. A loro devono i conti finali prima, durante e dopo.

Gli assenti erano loro, i popoli africani ed europei senza potere, voce, volto e conti nei paradisi fiscali opportunamente protetti e garantiti. I contadini, le aziende famigliari, i lavoratori e lavoratrici dell’informale su cui si regge l’economia quotidiana dell’Africa. Assenti la grande maggioranza del Continente: i giovani (anche quando invitati da Macron per vertici alternativi). Le donne reali del quotidiano, che resistono e tirano fuori la vita anche da dove si era nascosta per la vergogna. Assenti le migliaia di morti per le guerre ideologiche delle religioni che arruolano la violenza come illusoria soluzione politica. Assenti coloro che le carestie e i conflitti armati spingono lontano dalla loro terra. Assenti i migranti venduti e sacrificati all’altare degli accordi di subappalto della loro gestione. Assenti i prigionieri politici che nel continente non si contano più, tanto sono numerosi e dimenticati. Assenti coloro che, tra i popoli europei, resistono alla narrazione dominante.

Ancora recentemente l’Italia ha offerto vari milioni all’OIM (Organizzazione delle Migrazioni Internazionali) per meglio controllare le frontiere e soprattutto i migranti ‘informali alle frontiere del Niger. Quest’ultimo si è prontamente e ‘liberamente’ offerto ad accogliere sul suo suolo sovrano i militari francesi ed europei che la vicina repubblica del Mali considera ‘indesiderati’. Una commovente magnanimità che la repubblica del Niger, a suo tempo fiera della propria indipendenza, offre ai militari statunitensi e la loro basi di droni ad Agadez. Appena qualche giorno fa, alla periferia della capitale, alcune scuole per bimbi in età prescolare, sono state date alle fiamme. Ecco perché la visione comune del 2030 non interessa e neppure, in fondo, i vaccini che, poco utilizzati nel Continente, hanno permesso ai popoli africani di cavarsela egregiamente. Risulta vero il detto dai popoli:

 Tutto quanto si decide per l’Africa senza i popoli assenti non è per l’Africa.

       Mauro Armanino, Niamey, 20 febbraio 2022