Perché si fa la guerra nel 2022?
Psicologa clinica (iscr. 11466-A) e psicoterapeuta in formazione. Con diverse esperienze formative e lavorative alle spalle, la Psicologia è indiscutibilmente la mia passione. Amo approfondire i più disparati ambiti psicologici e credo che da ogni esperienza si possa imparare qualcosa. Quest'ultimo è il concetto fondamentale che mi guida nella stesura dei miei scritti: siamo esseri umani incredibili, capaci di modificarci ogni giorno. Anche un piccolo spunto oggi può portarci a intraprendere nuove strade un domani!
Autrice: Zarina Zargar
Co-autore e Supervisor: Antonino La Tona
Politologi di tutto il mondo si occupano da decenni di studiare le cause politiche ed economiche che regolano lo scoppio delle guerre.
Così anche fanno gli psicologi, pur ponendo una maggiore attenzione ai risvolti psicologici sia a livello di motivazione che di conseguenza.
Già Sigmund Freud, conosciutissimo padre della psicanalisi, a fine del 1800 si era proposto di approfondire l’argomento.
Interessanti, al riguardo, gli scambi epistolari del 1932 tra lui e Albert Einstein in cui si trovavano d’accordo nell’affermare che le guerre sono il risultato del modo egoistico e rapace di pensare ed agire di piccole élite politiche ed economiche di persone. Concordavano anche sul fatto che la fondazione di un’organizzazione sovranazionale con il potere vegliare su queste élite e di domarle fosse necessaria (Brewer, 2007).
Ad oggi tale organizzazione intergovernativa e a carattere mondiale esiste e la conosciamo, è l’Onu (Organizzazione delle Nazioni Unite). Nonostante uno dei suoi obiettivi principali sia il mantenimento della pace e della sicurezza mondiale, sembra che l’umanità in generale e chi è al potere faccia fatica a svincolarsi da complicate dinamiche che riguardano innanzitutto, almeno nell’immaginario comune, la percezione di forza e potenza.
Quindi, quali sono le motivazioni psicologiche specifiche che nel 2022 spingono ancora a compiere atti bellicosi come quelli portati avanti nella notte dalla Russia nei confronti dell’Ucraina?
Pur conoscendo le terrificanti conseguenze umanitarie di tali gesti, che cosa spinge l’essere umano a perseverare in quella direzione?
Di studiare l’argomento se n’è occupata soprattutto la psicologia sociale e, anzi, un certo numero di autori ha notato che la storia della psicologia sociale è intimamente legata alla guerra (es. Richards, 2002; Rose, 1999) e ha iniziato a formarsi come disciplina nella sua forma attuale dopo la seconda guerra mondiale.
Le numerose ricerche scientifiche sull’argomento hanno portato a individuare alcune variabili psicologiche da tenere sicuramente in considerazione in relazione all’escalation di conflitti e guerre:
1. Il potere
Ci sono molti motivi per credere che il potere sia associato alla violenza, l’aggressione e la guerra. Molti teorici (es. Blainey, 1988) hanno collegato la guerra direttamente a spinte o conflitti di potere. Le ricerche collegano il desiderio di potere ad altri concetti classici come l’onore e l’orgoglio (Berkowitz, 1990; Frank,
1986), gli istinti distruttivi (Freud, 1933/1964, pp. 210 –211) o la percezione di privazione di qualcosa (Crosby, 1976).
2. L’affiliazione
L’affiliazione è definibile come costante preoccupazione e bisogno dell’essere umano di avere relazioni strette e sentirsi parte di un gruppo.
Insieme all’aspirazione al potere, il bisogno di affiliazione emerge costantemente in tutte le culture come dimensione portante della motivazione sociale umana (Wicker et al, 1984). Proprio per questo motivo è coinvolta nella decisione di mantenere la pace o iniziare un conflitto.
3. La responsabilità
Tutti noi, come membri facenti parte di una società abbiamo delle responsabilità nei confronti dell’altro. Questo concetto, unito al desiderio di rivestire un ruolo di potere, può portare alcune persone ad agire in modo pro-sociale, ad esempio, attraverso una leadership che tenga in considerazione tutto il gruppo, ma può portare invece altre persone ad agire in modo distruttivo con aggressività e altri comportamenti dissoluti (Winter D.G., 1991b). Questi risultati suggeriscono che la responsabilità in tempi di crisi può portare a supportare risposte aggressive che includono la guerra (se, ad esempio, si tratta di responsabilità nei confronti di una nazione).
Purtroppo, nonostante i grandi passi che il mondo ha fatto dal punto di vista scientifico anche tramite le ricerche in ambito psicologico, troppo spesso conoscere le dinamiche che portano al verificarsi di un determinato comportamento non basta a limitarlo o limitarne le conseguenze.
Ed oggi, in questo giorno triste che noi tutti stiamo vivendo, non bastano teorie o analisi scientifiche e psicologiche per provare a descrivere qualcosa che a priori dei classici giochi politici, economici e strategici delle potenze mondiali, avremmo voluto non descrivere più: LA GUERRA, che da troppi anni diviene strumento strategico di interesse economico, funzionale al potere dei pochi, provocando la morte dei “molti”.
Concludendo, citiamo le parole del Prof. Daniele La Barbera:
“È un momento triste e drammatico per il Mondo, per l’Umanità e per la Storia e tra i tanti motivi di angoscia anche quelli che ci obbligano a fare i conti con l’insopportabile contro-informazione che fino a poche ore fa continuava a difendere Putin accusando gli Stati Uniti e Biden di inventarsi un conflitto inesistente e di paventarne il rischio elevatissimo esclusivamente a fini politici. Credo che la coscienza collettiva non possa più tollerare distorsioni e perversioni dell’informazione volte a negare la realtà per affermare, con un misto di follia e narcisismo, le proprie minuscole verità private. Al punto da attribuire la responsabilità di una guerra non a chi l’ha scatenata ma a chi lo accusava di volerla scatenare. E adesso aspettiamoci qualche idiozia negazionista: le scene di guerra sono in realtà spezzoni cinematografici di archivio, le bare delle centinaia o migliaia di civili e soldati ucraini uccisi sono – ovviamente – vuote, anche perché le bombe e i proiettili russi, contrariamente a quanto afferma il mainstream, in realtà non fanno male a nessuno. “
BIBLIOGRAFIA
1. Brewer, M. B. 2007. “The Importance of Being We: Human Nature and Intergroup Relations.”
American Psychologist 62: 728–738.
de Waal, F. 1990. Peacemaking Among Primates. Cambridge: Harvard University Press.
Einstein, E. 1932/2012. “Letter to Sigmund Freud, July 30,1932,” in C. P. Webel and J. Johansen (eds.), Peace and Conflict Studies: A Reader. London: Routledge. 174–175.
2. Richards, G. (2002). Putting psychology in its place: A critical historical overview (2nd ed.). Hove: Routledge.
3. Rose, N. (1999). Governing the soul: The shaping of the private self (2nd ed.). London: Free Association.
4. Blainey, G. (1988). The causes of war (3rd ed.) New York: Free Press.
5. Berkowitz, L. (1990). Biological roots: Are humans inherently violent? In B. Glad (Ed.), Psychological dimensions of war (pp. 24 – 40). Newbury Park, CA: Sage
6. Frank, J. D. (1986). The role of pride. In R. K. White (Ed.), Psychology and the prevention of nuclear war (pp. 220 –226). New York: New York University Press.
7. Freud, S. (1964). Why war? In J. Strachey (Ed. & Trans.), The standard edition of the complete psychological works of Sigmund Freud (Vol. 22, pp. 197–215). London: Hogarth Press. (Original work published 1933)
8. Crosby, F. (1976). A model of egoistical relative deprivation. Psychological Review, 83, 85–113.
9. Wicker, F. W., Lambert, F. B., Richardson, F. C., & Kahler, J. (1984). Categorical goal hierarchies and classification of human motives. Journal of Personality, 52, 285–305.
10. Winter, D. G. (1991b). A motivational model of leadership: Predicting long-term management success from TAT measures of power motivation and responsibility. Leadership Quarterly, 2, 67– 80.
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