Dolore. Raccontato da poeti, scrittori e
letterati. Dolore. Non so descriverlo io, il dolore per la tua partenza, così
brusca. Improvvisa. Inaspettata. Solo vuoto, un vuoto che non ha senso, che si
perde nello spazio stellare. Non somiglia al vuoto di una stanza vuota, non il
vuoto di un mondo vuoto. Un vuoto totale
dove, in assenza dell’aria, anche le parole non hanno il mezzo per volare.
Dove
il mio grido si smorza. Solo la bocca spalancata, come l’urlo di Munch.
Dove neppure il battito del cuore trova una cassa di
risonanza per tuonare la sua lacerazione. A me bastava sapere che esistevi,
dove l’atmosfera che respiravo era la stessa del tuo vivere d’ansia. Del tuo
vivere per vivere. Del tuo lavorare per vivere. Del tuo lavorare per lavorare,
che ti ha spezzato. E mi ha tolto il respiro. Te ne sei andato senza un saluto,
neppure a coloro di cui tieni le foto nel tuo taschino. Non hai ritenuto di
doverci salutare, perché pensavi di tornare. Ma come hai potuto? Non sapevi che
viaggiare, nel modo in cui facevi tu, senza pause, su quel treno della vita
senza fermate intermedie, si sarebbe trasformato in un viaggio senza ritorno?
Nel vuoto, in quell’atmosfera rarefatta in cui non
respiro, cosa mi resta? Mi bastava sapere che esistevi, lo ripeto.
Ora, neppure una lapide davanti alla quale posare un
fiore, nessuno a cui dire: “Mi manca!”. Perché c’eri, esistevi. Ed io respiravo
la tua stessa essenza dell’essere. Il
mio dolore a chi lo dò? Le mie grida mute dove vanno? Il vuoto grande che ho
dentro va ad aggiungersi al grande vuoto dell’universo. E tu ora, dove sei? Di
chi sei, tu che non sei appartenuto neanche a te stesso?
Dolore, che strazia, ma il vuoto è peggiore dello
strazio, perché tutto sommato lo strazio ha un suo limite, che viene lenito dal
tempo, mentre il vuoto che sento, è immane e raggiunge l’immensità. Ed io nuoto
in quel vuoto. Addio! O non è forse un arrivederci?
Il giorno in cui te ne sei andato, ho sentito il
braccio intorpidirsi, insensibile, e poi tutto il corpo, come se la mia anima
fosse andata via. Lo stesso mio pensiero, che conserva il tuo nome, fu
come se la sua vitalità evaporasse. E forse anche il tuo orologio d’oro
che riponevi nel taschino, ha cessato il suo regolare tic-tac.
Andando a segnare il tempo dell’eternità.
Danila Oppio
Avvincente, coinvolgente. Ottima scrittura. :):):)
RispondiEliminaGio