La cara amica Laura Vargiu, poetessa e scrittrice di grande talento, mi ha inviato un libro di cui lei ha curato l'editing e scritto la presentazione. Ho letto con vero interesse il libro di Tommaso Mondelli, uno scrittore e poeta che mi piace definire "L'ultimo Cavaliere" per la sua squisita affabilità. Nato il 6 aprile (data di compleanno anche di mia sorella) del 1919, uomo brillante e d'ingegno, del quale tengo presentare a voi la sua produzione libraria.
Questo è il libro che ho ricevuto da Laura Vargiu. Nella foto di copertina appaiono, primo a destra seduto, l'autore e al centro l'allora Principe e futuro Re Umberto II di Savoia.
Dal libro “Settimane bianche e crociere a costo zero –
Memorie di guerra e prigionia di un ragazzo partito soldato” di Tommaso
Mondelli, L’Argolibro Editore 2013:
“Il 10 di giugno fu annunciato
alla radio l'inizio della fine: la dichiarazione di guerra alla Francia e
all'Inghilterra da parte del governo italiano. Per una ventina di giorni si
verificarono scambi di fuoco coi francesi. I nostri spari in partenza erano
molto più silenziosi, per il fatto di non sapere verso dove esattamente
puntare. Dall'altra parte, un fischio e uno schianto, uno dietro l'altro, uno
accanto all'altro a distanza di qualche secondo. Oltralpe erano nervosi e
comprensibilmente adirati. Io, dall'alto di una collina, dove avevo un piccolo
e personale punto di osservazione, potevo vedere sulla mia sinistra, nel
fondovalle, l'opera dei barellieri intenti a scavare le fosse dove sistemavano,
trascinandoli per i piedi, i militari uccisi. I morti erano stati raggiunti dai
colpi di artiglieria provenienti dalla Francia, ovviamente. […]
La punta d'orgoglio italiano era
costituita nella sua difesa estrema dal cosiddetto Forte Chaberton, dalla cui
altezza si dominava la zona antistante e su cui erano state poste delle
torrette e dei cannoni a lunga gittata. Fu messo fuori uso allo scoccare dei
primi minuti. Là i primi morti e tra questi proprio un sergente di mia
conoscenza ma di cui non ricordo il nome. Le armi usate non erano che a diversi
chilometri di distanza dall'obiettivo. Si colpiva a caso, naturalmente, ma si
colpiva. Loro rintanati nei fortini non potevano registrare perdite: non
avevano ragioni per uscire e andare a fare conquiste territoriali.
I nostri, invece, dovevano
occupare del terreno per vincere e quindi esporsi alla rappresaglia francese.
Soltanto per morire, senza conquistare.
Io ero lì. Udivo il sibilo di
partenza e lo schianto all'arrivo dei proiettili sulle nostre postazioni e con
la stessa incoscienza di chi assiste a dei fuochi artificiali, senza vederne
l'effetto colorato, assistevo allo spettacolo. Coloro che cadevano e venivano
seppelliti non rappresentavano altro che la risposta a una necessità storica.
Vedevo quei ragazzi andare senza un senso preciso in tutte le direzioni e ogni
tanto qualcuno cadeva senza più rialzarsi. Il senso di paura era assente; mi
venne poi il sospetto che fossero stati drogati in precedenza con il rancio,
che lo fossimo tutti… Anch’io mangiavo lo stesso cibo. Potrebbe essere questa
la condizione che crea gli eroi? No, è l'artificio della menzogna! Quando
dovevo muovermi dal mio osservatorio, lo facevo con la spensierata naturalezza
della perfetta incoscienza. Un plagio collettivo. Una modificazione degli
istinti che può renderti docile o aggressivo, ardimentoso o vigliacco, eroe o
codardo: l'uomo manipolato dalla chimica!”
Prefazione L’importanza della memoria di Laura Vargiu
È così che si sono salvate dalle
nebbie della dimenticanza anonime storie che altrimenti non avremmo mai
conosciuto, per il semplice ma pur straordinario fatto che qualcuno abbia
deciso di raccontare le proprie o le altrui vicende. La scrittura, in quanto
scrigno di una oralità forte ma pur sempre fragile, resta uno strumento
fondamentale per preservare e tramandare storie e memorie. Del resto, nemmeno
di Ulisse avremmo avuto notizia, se i poemi omerici non fossero stati fissati
per iscritto; così come quello della giovanissima Anna Frank sarebbe stato solo
uno fra i tanti milioni di nomi finiti purtroppo nelle liste dello sterminio
nazista, se lei stessa non avesse scritto il suo celebre diario. E che dire di
Emilio Lussu o di Primo Levi, solo per citare altri due personaggi che ci hanno
trasmesso testimonianze fondamentali che leggiamo ancora oggi?
Anche quella di Tommaso Mondelli
è una piccola storia, una delle innumerevoli di cui brulica la Storia italiana
del Novecento. Una storia semplice, di ordinaria quotidianità e, a tratti, di
altrettanta drammaticità nel bel mezzo di quell’immane delirio che fu il
secondo conflitto mondiale.
Quando all’inizio delle nostre
lunghe “chiacchierate” per e-mail Tommaso mi raccontò di aver partecipato alle
operazioni militari ed essere poi stato fatto prigioniero dagli Alleati, gli
suggerii di raccogliere in una pubblicazione i ricordi legati a quel periodo.
La risposta poco entusiastica da parte sua (per lo meno tale parve a me in quel
momento) mi indusse a credere che il discorso si sarebbe concluso lì; in
effetti, non è detto che tutti coloro che hanno combattuto una guerra siano
disposti a parlarne o amino parlarne troppo.
Invece, inaspettatamente, dopo
qualche mese mi annunciò con entusiasmo di essere intento a scrivere le sue
“memorie militari” e più tardi me ne inviò la bozza, chiedendomi che cosa, a
mio parere, da quella sarebbe potuto venir fuori. Il risultato è rappresentato
dalle pagine che seguono, dense di una narrazione particolareggiata che espone
la vicenda personale del protagonista senza scinderla dai contesti
storico-politici che le fanno da sfondo.
Sono anni non facili quelli nei
quali si muove quel giovane uomo, figlio di una Italia contadina e operosa che
ascolta alla radio i discorsi di Palazzo Venezia e osserva incuriosita i fasti
di un rinnovato impero, sognando di correre anch’essa veloce a bordo di quei
treni dalla tanto decantata puntualità. Anni di autarchia, di leggi razziali e
del “Taci! Il nemico ti ascolta”, a cui non tarderanno ad aggiungersi le corse
ai rifugi antiaerei e il razionamento alimentare, se non la fame più nera. E il
conto di una guerra imposta a tutti dalle scellerate decisioni di pochi non si
sarebbe di certo esaurito così.
Partito dapprima per l’assolvimento
del servizio di leva, Tommaso vedeva nella carriera militare un futuro
lavorativo in condizioni di relativa stabilità quale era quella che si
respirava nella seconda metà degli anni Trenta; gli eventi però precipitarono
nel giro di breve tempo ed egli si ritrovò coinvolto all’improvviso in un gioco
più grande di quello inizialmente ipotizzato. Eppure, a sentir parlare lui, che
sostiene di non aver vissuto una vera e propria esperienza bellica, considerati
i fronti “tranquilli” ai quali fu inviato insieme al suo reparto, sembrerebbe
di essere davanti a niente di più di un semplice resoconto di fatti e
spostamenti privi d’interesse. Certo, a eccezione del triste spettacolo del
giugno 1940 al confine francese, il lettore non troverà descritti in queste
pagine cruenti combattimenti fra soldati o massacri di popolazioni inermi; è
pur vero, inoltre, che l’autore non ebbe la sventura di marciare sulle gelate
steppe in terra di Russia né quella di combattere al sole di El-Alamein dove,
si sa, “mancò la fortuna, non il valore”, così come non si trovò a Cefalonia
all’indomani di quel fatidico 8 settembre del ’43 che a troppi costò la vita.
Tuttavia, ciò non significa che
la storia di Tommaso debba essere considerata poco importante o meno degna di
essere raccontata rispetto alle precedenti o a quelle di coloro che furono
insigniti di medaglie al valor militare. Si tratta semplicemente di vicende
diverse, il cui confronto risulterebbe tanto inutile quanto insensato,
accomunate però dal fatto di essere tasselli inseparabili di un unico grande
mosaico. C’è tanta drammaticità nella vicenda di Tommaso, più di quanto il
ragazzo che è ancora in lui riesca a percepire a distanza di circa un
settantennio dallo svolgimento di quei fatti. Trovarla non è difficile: basta soffermarsi
agli angoli dei toni leggeri e spesso ironici della narrazione che fanno
capolino fin dal titolo, riflettendo sulla condizione di soldati mandati allo
sbaraglio contro un nemico senza dubbio meglio armato; osservare con occhi
attenti le lunghe estenuanti marce consumate tra le strade polverose di
stagioni dissestate; ascoltare nel “Va’, pensiero” intonato da un coro di voci
in cammino verso ignota destinazione tutta l’incertezza del destino e scorgere
la libertà perduta attraverso le sbarre pur invisibili della prigionia.
Leggendo questo libro, ricco di
notizie, aneddoti, citazioni storiche e riflessioni personali sul corso degli
eventi, si ha l’impressione di sfogliare un vecchio album fotografico oppure di
guardare un lungo filmato d’epoca, proprio come quelli che giravano i
cineoperatori militari. Al tempo stesso, neppure i colori sono assenti, dal
bianco accecante della neve sui Monti della Luna all’azzurro inebriante del
mare di Sicilia, che si accompagnano ai tanti suoni che pervadono il testo,
come gli squilli di tromba che scandiscono i ritmi delle giornate in caserma,
il verso ribelle dei muli insofferenti al basto o, ancora, il rimbalzare
monotono delle palle da tennis sui campi in terra battuta in cima a una collina
di Algeri. Anche i giorni del dopoguerra avranno i loro suoni e colori, a
dispetto del sapore amarissimo del periodo iniziale.
Questa di Tommaso è un’autentica
testimonianza di un’epoca, in verità neanche troppo lontana, che contribuisce a
sottolineare l’importanza della memoria e il continuo bisogno che di essa
abbiamo, soprattutto in una società come la nostra, troppo spesso distratta e
sorda agli insegnamenti del tempo. Ricordare non è soltanto importante: è
addirittura vitale, poiché senza passato non possiamo guardare al futuro che si
costruisce degnamente, giorno per giorno, traendo i giusti insegnamenti alla
luce della memoria. Ecco perché, forse, non è sbagliato parlare di un dovere
della memoria che ricada specularmente su vecchie e nuove generazioni: le prime
devono ricordare, le seconde non dimenticare. È l’unico modo affinché non venga
meno la speranza anzitutto in noi stessi, in quanto esseri umani, e nella
possibilità di un mondo migliore, dove ciò che d’inumano è stato non accada
più.
Desidero pubblicare la recensione scritta dalla poetessa Arcangela Contessa, che ben illustra la personalità eclettica dell'autore per il quale ho stima e affetto.
Si
può parlare degli scritti di Tommaso Mondelli in una miriade di modi e maniere,
ma io qui ed ora se avessi saputo farlo, avrei voluto poter coniare nuove
parole per questo suo nuovo libro. Dei suoi lavori precedenti è stato già
detto: “vena poetica fertile”, “scrittura raffinata, forbita e ricca”, “poesia
che commuove e svela una sapienza conquistata sul campo della vita” ed altro
ancora, tutto ancora pulsante e vero per questo suo nuovo lavoro. Le sue parole
che con leggerezza ci inducono alla riflessione, ci spingono altresì ad
immaginare e scrutare “l’uomo” che scrive. A me capita così, e così è successo quando ho letto i suoi
lavori, prima d’incontrarlo. Poi
da quando i suoi pensieri e le sue parole da vettore di significato, attraverso
lui e con lui si son fatti suoni, parola parlata, è scaturito il bisogno di un
approccio diverso per la meraviglia e la gioia che sa con continuità suscitare.
Meraviglia per la sua forza, vestita di mitezza. Meraviglia per la sua
profondità e le sagge convinzioni supportate da studio ed esperienza. Meraviglia
per la sua apertura al confronto aperto e costruttivo, agito senza mai un filo
di supponenza che pur si potrebbe permettere. Meraviglia per la sua infinita
verve che sa farsi stimolo,
per la inesauribile energia
a tutto campo, che agisce sempre con entusiasmo. Incontrarlo ed ascoltarlo è stato ed è per me come ricevere un caldo abbraccio
della vita, forse per questo in
modo irrinunciabile mi viene da dire chi è l’uomo che ci regala questi nuovi e
preziosi versi.
-
Un maestro sapiente e fedele che “trasporta in sé” tanti segreti, una parte dei
quali ha scelto di donarceli
attraverso versi.
-
Una persona che si esprime in modo sapiente ed incanta con parole scelte con
cura e spontaneità, che sa comunicare
con maestria pensieri e
concetti, emozionando chi legge ma soprattutto che riesce ad aprire con l’altro
da se un proficuo dialogo.
-
Un uomo che dialoga mostrando cose
semplici a volte complesse in altre, che implicano sempre tutte e comunque, la
sua acuta osservazione, il suo
desiderio per la conoscenza a tutto campo sia delle situazioni appunto, che dell’essere umano e del suo
comportamento. Forse i suoi studi possono averlo aiutato in questo suo modo di
essere anche filosofo pratico e teoretico, ma io credo che se pur possiamo apprendere quasi
tutto, non possiamo di certo
imparare il modo di sentire che ci viene donato dalla nascita è che è la
scintilla con cui si accende il
desiderio del dire.
Ed è la sua scintilla che fa la
differenza.
Grazie
Tommaso.
Arcangela
Contessa
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e.mail autore: tommaso.mondelli@yahoo.it
Danila Oppio
catura,
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