Abbiamo ricordi solo del passato. Il futuro non ce ne
fornisce. E’ un’affermazione scontata di cui nessuno può dubitare. Il tempo è
una freccia che corre solo in una direzione. In avanti. Non possiamo invertirlo
e pretendere che la freccia voli all’indietro. Le macchine del tempo non
esistono. Teoremi matematici e teorici, a volte in forma di modello, possono affrontare
filosoficamente la questione del ritorno a ciò che è stato. Il gioco di
impedire che il nonno e la nonna si conoscano, rendendo impossibile la nostra
nascita, ne è un esempio. Ma sono, appunto, solo giochi intellettuali. Nella
realtà non posso far sì di non essere mai nato. Se il viaggio nel tempo fosse
possibile, i pensieri che concepisco non ci sarebbero. I miei ricordi non
sarebbero mai esistiti, e di conseguenza non sarebbero mai stati cancellati.
Le domande sul tempo e sull’universo sono le più
grandi e difficili. Le menti migliori ci rimuginano sopra. I processi chimici
che avvengono nel cervello e rappresentano l’essenza del pensiero lavorano a
pieno ritmo. Di tanto in tanto si verificano conquiste meravigliose.
Ripenso a quello che non si sapeva quando ero giovane
e a quello che oggi si sa. In una prospettiva universale la questione dei buchi
neri è molto recente. Anche la mappatura del dna umano è una conquista che,
anche solo settantacinque anni fa, nessuno avrebbe potuto immaginare.
Tutta l’attività intellettuale, in fondo, mira a
trovare un senso che vada al di là della mera esigenza biologica di riprodurci,
sia perché la specie umana sopravviva sia perché le nostre domande ancora senza
risposta, o magari neanche formulate, possano essere portate all’esame dei
cervelli di nuove generazioni. Tutti ci chiediamo delle cose. E’ un tratto che
ci accomuna,. Non conosco nessuno che in una fredda notte d’inverno non abbia
guardato le stelle ponendosi dei dubbi sull’esistenza, su senso e sul ciclo della vita. Sotto questo aspetto,
si può affermare la ragione che la poesia TOMTEN (Il folletto) di Viktor
Rydberg sia un racconto filosofico che può misurarsi con le riflessioni dei
grandi pensatori.
Molti si arrendono, smettono di fare domande, alzano le
spalle e continuano la loro vita quotidiana come se non esistessero enigmi.
Alcuni rinunciano da giovani, altri tengono duro fino a una fase più avanzata
della vita. Ma alla fine la “filosofica” alzata di spalle arriva. Posso
capirli. Oltretutto, per miliardi di persone dedicare del tempo a pensare è un
lusso inaccessibile. Questa è una delle più grandi ingiustizie del mondo in cui
viviamo: che alcuni abbiano il tempo di riflettere mentre ad altri questa
possibilità non è concessa. Cercare il senso della vita dovrebbe rientrare
nelle dichiarazioni internazionali dei diritti dell’uomo come una cosa
scontata.
Alcuni trovano la verità nelle religioni. Altri
tornano a puntare lo sguardo alle stelle. Per quanto mi riguarda, quando ero
bambino, in una fredda notte d’inverno durante la quale non riuscivo a dormire,
vidi un cane attraversare di corsa il cono di luce di un lampione ondeggiante,
per poi essere inghiottito dall’oscurità. A volte penso che tutte le mie
domande sulla vita e sulla morte, sul passato e sul futuro, abbiano a che fare
con quel cane solitario che correva a passo felpato di tenebra in tenebra.
La nostra capacità di farci domande ci rende umani.
In questo senso il cielo stellato dell’inverno è anche uno specchio in cui
vediamo riflesso il nostro viso.
Io penso che il mio sia più autentico che mai quando
mi sento traboccare di domande. Nel mio mondo le verità sono sempre
provvisorie. Niente di ciò che ho pensato in vita mia è rimasto uguale a se
stesso. Le verità sono come navi che solcano le onde. Bisogna saperle governare
nella direzione giusta, evitando secche e scogli sommersi, e variando la
velocità e il numero delle vele issate.
Una nave che torna da un viaggio è diversa rispetto a
quando era partita. Anche la verità
viaggia nella mia mente e nella mia vita. Perché queste verità sopravvivano
devo a volte mettermi in discussione e cercare un cambiamento.
Quando avevo vent’anni la guerra sferrata dagli Usa
contro il Vietnam fu un spartiacque importante e per molti versi decisivo.
Allora come adesso, ritenevo giusto lottare contro l’aggressione americana, ma
quando quella guerra finì e le truppe americane sgombrarono il campo, il
Vietnam attaccò a sua volta la vicina Cambogia. E a quel punto era giusto
condannare il Vietnam come prima lo era stato contrastare l’azione
americana. Con mia sorpresa,, in quel
momento sull’aspetto razionale ebbe la meglio quello sentimentale: come potevo
attaccare il coraggioso popolo vietnamita? C’era gente che si gettava in lacrime
sul divano, sostenendo che i vietnamiti avevano tutto il diritto di attaccare
la Cambogia.
Per me fu un’intuizione decisiva. A volte bisogna
mettere sottosopra la verità per coglierne la vera essenza.
Bertolt Brecht scrisse che pensare è uno dei massimi
piaceri concessi al genere umano. Sono d’accordo con lui. Cercare di risolvere
un problema con la massima concentrazione, passeggiando o restando seduti alla
scrivania, è liberatorio e stimolante. E dà anche grande piacere.
Tutti i pensieri sono concessi Nel mondo della mente
non ci sono steccati, fossati o ostacoli minati. E’ un paesaggio completamente
libero.
Chi governa in regimi tirannici o dittatoriali lo sa,
e teme la libertà di pensiero delle persone. Pe questo ricorre a metodi diversi
per costringerle a esercitare, in modo più o meno consapevole, un’autocensura,
scavando nei loro cervelli, fossati che prima non c’erano.
Spesso le scoperte determinanti in settori
industriali diversi arrivano dalla catena di montaggio, non dagli uffici in cui
lavorano gli ingegneri pagati per mettere a punto soluzioni e problemi diversi.
Un giorno l’operaio bussa alla porta del direttore e presenta una proposta in
grado di portare al drastico miglioramento di una fase del processo di
lavorazione, che lo renderebbe più veloce e meno costoso
Lo sviluppo della nostra capacità razionale ha
naturalmente a che fare con la sopravvivenza che, in ultima analisi, è il
nostro unico obiettivo.
Vogliamo vivere, non morire. Ogni colta che vedo un
essere umano frugare tra i rifiuti mi compare davanti agli occhi questo
semplice assioma: vogliamo vivere. A qualsiasi prezzo.
Forse si può ribaltare il ragionamento? La nostra
attività mentale ruota sostanzialmente intorno al fatto che desideriamo evitare
a ogni costo di morire. Dopotutto, la vita la conosciamo. La morte ci è ignota,
anche se sappiamo che i cadaveri si decompongono e che alla fine rimangono solo
ossa (e poi nemmeno quelle).
Ma pensiamo anche a cosa comporta la morte. Ci sono
altri mondi? O solo oscurità? Questo significa che prima o poi ci si ritrova
davanti a un muro. Cosa c’era prima del tempo e dello spazio? Cosa c’era prima
che ci fosse qualcosa in assoluto?
Il “nulla” e l’”eternità” sono la stessa cosa?
Mia nonna paterna arrivò ad essere quasi centenaria.
Negli ultimi anni veniva colta periodicamente dall’angoscia della morte. In
quei momenti si metteva sotto le coperte e chiudeva gli occhi. Li stringeva
forte, come una bambina convinta di potersi in quel modo rendersi invisibile.
A volte mi sedevo sul bordo del letto e lei allora
apriva cautamente le palpebre. Le chiedevo cosa la tormentasse, pur sapendolo
benissimo.
“La morte” rispondeva. “Me la vedo davanti, e allora
devo sbrigarmi a non pensare, a scacciare tutti i pensieri e cercare di tener
duro finché non passa. E’ l’unica cosa che posso fare, almeno finché non arriva
l’ondata successiva.”
Forse il pensiero più difficile è proprio questo? Non
pensare affatto?
Henning Mankell – Sabbie mobili – l’arte di
sopravvivere (Cap. 44)
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