Mia nonna
Vittoria, ragazza madre negli anni '20
Vittoria, classe 1909,
era alta, bionda e con due enormi occhi azzurri. Mia nonna, ragazza madre, alla
fine degli anni 20, era riuscita a far valere i suoi diritti tramite il
tribunale, ma nonostante tutto aveva amato solo quell’uomo che l’aveva lasciata
incinta e poi abbandonata. Era la mia eroina, il mio punto di riferimento, la
mia «fata turchina» che chiamava tutti i bambini del quartiere a giocare con
me, che costruiva con vecchie coperte fantastiche capanne, che s’inventava
sempre nuovi giochi per me. La notte mi teneva stretta a lei: era la «roccia»
che mi proteggeva da tutto e da tutti e cercava di fare l’impossibile per
rendere meno dolorosa la perdita di mio padre quando avevo solo 7 anni, e la
freddezza di mia madre nei miei confronti. C’è sempre stata nei momenti bui
della mia vita: bastava un cenno, uno sguardo per capirci. Lei (a cui spero
tanto di assomigliare) quante storie e filastrocche antiche, quanti stornelli
cantati nelle sere d’estate mi ha raccontato: sono le stesse storie che poi ho
raccontato a mio figlio Luca. Ricordo che mentre le facevo il bagno, si
guardava e mi diceva «guarda cosa sono diventata». Ho trascorso l’ultimo mese
al suo fianco, sdraiata accanto a lei raccontandole io le sue storie e le sue
filastrocche mentre mia nonna, con voce flebile mi diceva: «Lo sai che io ti
voglio bene?». Poi in quella mattina di maggio, a 99 anni mi ha lasciato. Oggi,
dopo 10 anni, mi ritrovo spesso ancora a sussurrare: «Dove sei? Nonna dove
sei?».
Onara
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