In questi giorni si sente parlare dell'acqua alta a Venezia, dei danni che provoca, del Mose e di chi è la colpa. Non so di chi sia, ma mi sono ricordata di una mia poesia scritta anni or sono e mai pubblicata. Amo Venezia, e la porto nel cuore. Venezia non muore, anche se qualcuno teme che accada, pur mantenendo viva la speranza. Vero Rudy?
Rodolfo Vettorello è un grande scrittore, impareggiabile, ed ha scritto in questi giorni una splendida lirica titolata appunto VENEZIA MUORE che ho pubblicato qui, recentemente. La mia invece parla da sé, dove ho lasciato il mio fragile cuore.
ACQUA ALTA A VENEZIA
Tra
le calli di Venezia, invase dall’alta marea
urto
la folla che non vedo – trasparente indifferente.
Indossando
stivali di nuvola adamantina
trasmigro
da un marciapiede inesistente
evitando
una pozzanghera e una gondola made in China.
(L’ombra della solitudine mi segue)
Nelle
vetrine i vetri di Murano, dall’artigiano
sapientemente
soffiati gridano
la
loro indifesa fragilità – la stessa mia emotiva.
Mi
soffermo assorta, un’altra me furtiva
sbircia
da un antico specchio. Osservo entusiasta
il
mio cuore lì riflesso, che mai avevo visto prima
Lo
tenevo in tasca e basta.
(L’ombra della solitudine si scosta)
Se
scivolassi su pozze salmastre
s'infrangerebbe come cristallo.
Non mi ero mai accorta quanto
vulnerabile fosse quell’oggetto scordato
nel vecchio impermeabile sdrucito.
(L’ombra
della solitudine si allontana)
Entro nella bottega e chiedo all’artigiano:
“Potrebbe indicarmi il valore
di questo mio reperto antico?
A suo vedere xèlo ancora bòn?”
L’artigiano sorride mentre lo ripone
con garbo in uno scrigno di
velluto
“El me piase
siora. El compro mi,
se no’l ghe despiase.”
D’improvviso l’acqua alta si ritira
e una rosea
pennellata
colora -così ai miei occhi pare -
uno dei più bei tramonti veneziani.
(E la
solitudine definitivamente scompare)
Danila Oppio
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