POETANDO
lunedì, novembre 30
domenica, novembre 29
I BIGLIETTI DI ANGELA FABBRI
I disegni di Angela, realizzati molti anni addietro, quando aveva circa 18 anni, sono molto espressivi. Ho dato un minimo di colore giusto per staccarli dallo sfondo, ma lei li farà stampare coi colori che desidera. Non c'è un viso che si somigli, e questo mi fa comprendere come l'autrice riesca a creare volti dalle varie espressioni e differenti fisionomie.
Complimenti Angela!
giovedì, novembre 26
IL CORPO RIVOLTATO DALL'ESTERNO ALL'INTERNO, DALL'INTERNO A... di COUCOU, SÈLAVY!
IL CORPO RIVOLTATO DALL’ESTERNO ALL’INTERNO, DALL’INTERNO A …
(Omaggio a un amico)
Un palloncino nel cesso piantammo, monito agli agguati linguacciuti della vita
E nella nostra infinita arroganza al bianco di sponde e rintocchi giocammo baluginanti sparizioni nei crateri celesti
Flebili voci al telefono e alchimie di quel nulla risultante da deliri cronici in sovrapposizione: se non altro per tramortire le stesse idee, se non altro perché quell’ampio vuoto si rivelasse a ognuno, in una squallida camera condominiale, coi suoi riverberi comicamente cosmici. Uno spas(i)mo di tragedia incompiuta
Di dissolvenze musicali, irreversibili à rebours.
Noi che non avevamo proprio niente da dirci o da darci, ma solo trame scinte da ordire e mandare a monte in congiunta solitaria, quale gelo ci possedeva , ho dimenticato il suo volto
Fantasma a me, fantasma a te
Del non manifestarsi
Porte sbattute, mai aperte e mai chiuse
Passeggiando come ologrammi fra l’ombre e gli orrori, assieme a melodie struggenti ci godemmo lo strutto dell’essere sempre in ritardo su di noi
Gatti in volo dal balcone dell’infanzia, noi che non siamo riusciti ad alzare davvero la voce né a versar lacrime una sola volta, equivocando languori e rancori nel peggior liquore infine
A quale luce – neanche oggi le candele riposano abbastanza - ci incollammo come insetti
“Dato, dato, giocato
Avuto, perduto, furnuto “
Eppure per anni ancora tornò nel mio canto, vaga e stonata, la spirale del tuo disincanto, e nelle stanze del tuo carillon suonarono da lontano le mie sconfitte.
Coucou, Sèlavy!
COME FAR DIVENTARE STRABICI I BAMBINI...VIDEO DIVERTENTISSIMO
E NON HO ANCORA SMESSO...di Danila Oppio
Avevo annunciato che avendo finito il materiale utile per altri lavoretti, ho smesso di farne altri, ma poi come per magia salta fuori ancora qualche idea e così ho realizzato lo stivaletto di Bambina Natalina usando un vasetto di vetro e mezza pallina di polistirolo espanso.Una calzetta di filanca per bambine e qualche piccola decorazione. Ecco il risultato.
ORIGO di COUCOU, SÈLAVY!
ORIGO
Quando il mondo non canta e ti vesti da negromante
Quando il passato ti ingaggia per scovare la crepa
Queste infiltrazioni impari a credere tuo regno
Questa musica tua creazione
Quando ti affacci, la mano pendula, al formicolio di uno schermo
Il megafono fra le costole parla da molti ombelichi
Servo senza brame, abitacolo
Piatto offerto in pasto a un ospite negligente
E un vigneto di tasti sbiaditi pigi
Impronte su cui ognuno zompettò
Per meglio ingannare il fiuto dei posteri
Il Nemico alle spalle
Strategie dell’arte di arrangiarsi
Quando la notte risale la china della pupilla
Il sonno disturba il sonno
Il giorno disturba il giorno
Allora
La petulanza dell’ultimo pidocchio
Rarefatta si tacque
Di candido stupore tingendo
Il campo di battaglia e il credo
Mentre, soffocando le risa, pontificavi già:
“Mai pelle fu sotto queste bende, figli miei
Che più non ci si adoperi a leggere i geroglifici del globo
Che almeno il seme sia sottratto al cerchio della maledizione
Scemata:
Restituito alla vanità”
Coucou Sèlavy!
LA PIOGGIA È UNO STATO D'ANIMO - silloge poetica di ANNA MONTELLA
Oggi ho ricevuto l’ultimo libro di Anna Montella.: LA PIOGGIA È UNO STATO D’ANIMO.
Molte delle poesie inserite già le conoscevo e le avevo apprezzate moltissimo. L’autrice le aveva pubblicate sul suo profilo FB. L’idea di raccoglierle in una silloge mi è molto piaciuta, e dovevo averla assolutamente tra i vari libri scritti da Anna.
Il motivo per cui ho fotografato il libro davanti alla casa di bambole che ho costruito pazientemente, è nato leggendo e rileggendo due sue composizioni: OUTFIT e IL NITORE DELL’INFANZIA.
Hanno riportato alla mia mente proprio la casetta che fin da piccola avevo sempre desiderato e mai avuto. Più di vent’anni fa ho potuto realizzare questo mio antico sogno, ormai donna matura, ma con un rigurgito d’infanzia che ritornava insistente.
In edicola erano in vendita a scadenza settimanale i fascicoli di libri sulle bambole, con allegati parti della casa, non solo l’esterno, ma perfino i mobili, gli oggetti da arredamento e le bamboline. C’è voluto molto tempo per finire la raccolta e anche molti soldini e poi altro tempo per montare la casa. Alla fine mi accorsi che il tetto era sbilenco e non riuscivo in alcun modo a sistemarlo. Ho chiesto al mio amico mobiliere se riusciva a raddrizzarlo mettendolo sotto una pressa e ha eseguito il lavoro in modo perfetto e… gratuitamente. Roberto se n’è andato qualche giorno fa, nel giro di una settimana il Covid l’ha colpito e affondato. Colgo l’occasione per ricordarlo, grazie al libro di Anna.
Ma ora torniamo alla raccolta poetica, da sempre le poesie di Montella mi hanno appassionato per il loro contenuto e per lo stile magistrale con cui scrive. Per questo motivo, tra le tante composizioni ho scelto le due che ho citato e le riporto molto volentieri qui sotto! Insieme ai miei calorosi complimenti all’autrice.
Danila Oppio
Anna Montella
domenica, novembre 22
GRIGIO IL TEMPO di MARIELLA OPPIO
Tremule foglie
multicolori
fanno corona
all'arco d'entrata.
Il pettirosso
becca e poi va.
Un frullio d'ali
nella nebbia.
Pare tutto un sogno
entro una coltre fredda.
L'umida aria campestre
è un brivido nella natura.
Il silenzio regna,
ma sopra il grigiore
il sole attende
e sarà gioia e pace.
Mariella oppio
19 novembre 2020
giovedì, novembre 19
RENÉ MARIA RILKE - ELEGIE DUINESI - Prima Elegia
RENÉ MARIA RILKE
René Maria Rilke nasce a Praga il giorno 4 dicembre 1875. Appartenente alla classe borghese cattolica di Praga, Rilke trascorre un'infanzia e un'adolescenza piuttosto infelici. I genitori si separano nel 1884 quando lui ha solo nove anni; tra gli undici e i sedici anni è obbligato dal padre a frequentare l'accademia militare, che aspira per lui una prestigiosa carriera militare. Piccolo funzionario asburgico, il padre aveva fallito nella carriera militare: a causa di questa sorta di compensazione voluta dal genitore René vivrà momenti molto duri.
Abbandonata la scuola si iscrive all'università della sua città; continua poi gli studi in Germania, prima a Monaco di Baviera poi a Berlino. Sarà comunque Praga a fornire l'ispirazione per le sue prime poesie.
Nel 1897 conosce Lou Andreas-Salomè, donna amata da Nietzsche, che sarà anche amica fedele e stimata di Freud: sarà lei a chiamarlo Rainer sostituendolo al nome originario René, creando così un'assonanza con l'aggettivo tedesco rein (puro).
Rilke si unisce in matrimonio nel 1901 con la scultrice Clara Westhoff, allieva di Auguste Rodin: poco dopo la nascita della figlia Ruth si separano.
Compie un viaggio in Russia e rimane colpito dall'immensità di quella terra; conosce l'ormai anziano Tolstoj e il padre di Boris Pasternak: dall'esperienza russa, nel 1904 pubblica le "Storie del buon Dio". Quest'ultima opera è si caratterizzata da un garbato umorismo, ma in fondo sottolineano anche il suo interesse verso il tema teologico.
Compie poi un viaggio a Parigi dove collabora con Rodin; viene colpito dalle avanguardie artistiche e dal fermento culturale della città. Pubblica nel 1910 i "Quaderni di Malte Laurids Brigge" (1910), scritti in una prosa nuova e originale. Del 1923 sono le "Elegie duinesi" e i "Sonetti a Orfeo" (scritti a Muzot, in Svizzera, in meno di tre settimane). Queste ultimi due lavori nel loro insieme costituiscono l'opera di poesia più complessa e problematica del XX secolo.
Avverte i primi sintomi della leucemia nel 1923: Rainer Maria Rilke muore il giorno 29 dicembre 1926 a Valmont (Montreux). Oggi è considerato uno dei più importanti poeti di lingua tedesca del XX secolo.
WER, wenn ich schriee, hörte mich denn aus der Engel
Ordnungen? und gesetzt selbst, es nähme
einer mich plötzlich ans Herz: ich verginge von seinem
stärkeren Dasein. Denn das Schöne ist nichts
als des Schrecklichen Anfang, den wir noch grade ertragen,
und wir bewundern es so, weil es gelassen verschmäht,
uns zu zerstören. Ein jeder Engel ist schrecklich.
Und so verhalt ich mich denn und verschlucke den Lockruf
dunkelen Schluchzens. Ach, wen vermögen
wir denn zu brauchen? Engel nicht, Menschen nicht,
und die findigen Tiere merken es schon,
daß wir nicht sehr verläßlich zu Haus sind
in der gedeuteten Welt. Es bleibt uns vielleicht
irgend ein Baum an dem Abhang, daß wir ihn täglich
wiedersähen; es bleibt uns die Straße von gestern
und das verzogene Treusein einer Gewohnheit,
der es bei uns gefiel, und so blieb sie und ging nicht.
O und die Nacht, die Nacht, wenn der Wind voller Weltraum
uns am Angesicht zehrt –, wem bliebe sie nicht, die ersehnte,
sanft enttäuschende, welche dem einzelnen Herzen
mühsam bevorsteht. Ist sie den Liebenden leichter?
Ach, sie verdecken sich nur mit einander ihr Los.
Weißt du’s noch nicht? Wirf aus den Armen die Leere
zu den Räumen hinzu, die wir atmen; vielleicht daß die Vögel
die erweiterte Luft fühlen mit innigerm Flug.
Ja, die Frühlinge brauchten dich wohl. Es muteten manche
Sterne dir zu, daß du sie spürtest. Es hob
sich eine Woge heran im Vergangenen, oder
da du vorüberkamst am geöffneten Fenster,
gab eine Geige sich hin. Das alles war Auftrag.
Aber bewältigtest du’s? Warst du nicht immer
noch von Erwartung zerstreut, als kündigte alles
eine Geliebte dir an? (Wo willst du sie bergen,
da doch die großen fremden Gedanken bei dir
aus und ein gehn und öfters bleiben bei Nacht.)
Sehnt es dich aber, so singe die Liebenden; lange
noch nicht unsterblich genug ist ihr berühmtes Gefühl.
Jene, du neidest sie fast, Verlassenen, die du
so viel liebender fandst als die Gestillten. Beginn
immer von neuem die nie zu erreichende Preisung;
denk: es erhält sich der Held, selbst der Untergang war ihm
nur ein Vorwand, zu sein: seine letzte Geburt.
Aber die Liebenden nimmt die erschöpfte Natur
in sich zurück, als wären nicht zweimal die Kräfte,
dieses zu leisten. Hast du der Gaspara Stampa
denn genügend gedacht, daß irgend ein Mädchen,
dem der Geliebte entging, am gesteigerten Beispiel
dieser Liebenden fühlt: daß ich würde wie sie?
Sollen nicht endlich uns diese ältesten Schmerzen
fruchtbarer werden? Ist es nicht Zeit, daß wir liebend
uns vom Geliebten befrein und es bebend bestehn:
wie der Pfeil die Sehne besteht, um gesammelt im Absprung
mehr zu sein als er selbst. Denn Bleiben ist nirgends.
Stimmen, Stimmen. Höre, mein Herz, wie sonst nur
Heilige hörten: daß die der riesige Ruf
aufhob vom Boden; sie aber knieten,
Unmögliche, weiter und achtetens nicht:
So waren sie hörend. Nicht, daß du Gottes ertrügest
die Stimme, bei weitem. Aber das Wehende höre,
die ununterbrochene Nachricht, die aus Stille sich bildet.
Es rauscht jetzt von jenen jungen Toten zu dir.
Wo immer du eintratest, redete nicht in Kirchen
zu Rom und Neapel ruhig ihr Schicksal dich an?
Oder es trug eine Inschrift sich erhaben dir auf,
wie neulich die Tafel in Santa Maria Formosa.
Was sie mir wollen? leise soll ich des Unrechts
Anschein abtun, der ihrer Geister
reine Bewegung manchmal ein wenig behindert.
Freilich ist es seltsam, die Erde nicht mehr zu bewohnen,
kaum erlernte Gebräuche nicht mehr zu üben,
Rosen, und andern eigens versprechenden Dingen
nicht die Bedeutung menschlicher Zukunft zu geben;
das, was man war in unendlich ängstlichen Händen,
nicht mehr zu sein, und selbst den eigenen Namen
wegzulassen wie ein zerbrochenes Spielzeug.
Seltsam, die Wünsche nicht weiterzuwünschen. Seltsam,
alles, was sich bezog, so lose im Raume
flattern zu sehen. Und das Totsein ist mühsam
und voller Nachholn, daß man allmählich ein wenig
Ewigkeit spürt. – Aber Lebendige machen
alle den Fehler, daß sie zu stark unterscheiden.
Engel (sagt man) wüßten oft nicht, ob sie unter
Lebenden gehn oder Toten. Die ewige Strömung
reißt durch beide Bereiche alle Alter
immer mit sich und übertönt sie in beiden.
Schließlich brauchen sie uns nicht mehr, die Früheentrückten,
man entwöhnt sich des Irdischen sanft, wie man den Brüsten
milde der Mutter entwächst. Aber wir, die so große
Geheimnisse brauchen, denen aus Trauer so oft
seliger Fortschritt entspringt –: könnten wir sein ohne sie?
Ist die Sage umsonst, daß einst in der Klage um Linos
wagende erste Musik dürre Erstarrung durchdrang;
daß erst im erschrockenen Raum, dem ein beinah göttlicher Jüngling
plötzlich für immer enttrat, die Leere in jene
Schwingung geriet, die uns jetzt hinreißt und tröstet und hilft.
Elegie Duinesi. I
Chi, se pur gridassi, mi udrebbe dalle gerarchie
degli angeli? E se uno mi stringesse d’improvviso
al cuore, soccomberei per la sua più forte presenza.
Ché nulla è il bello, se non l’emergenza
del tremendo: che possiamo appena reggerlo ancora,
e lo ammiriamo tanto, perché rilasciato
non degna distruggerci. Ognuno degli angeli è tremendo.
E mi trattengo così, e inghiotto l’appello d’oscuri
singulti. Ah! Chi possiamo allora chiamare in aiuto?
Gli angeli no, gli uomini no, e i sagaci
animali già lo notano che non siamo troppo
affidabili a casa nel mondo già interpretato.
Ci resta forse un albero sul pendio, che ogni giorno
possiamo rivedere; ci resta la strada di ieri
e l’adusato fidarsi di una abitudine, cui piacque
stare in noi, così rimase, e non se ne andò.
Oh, e la notte, la notte, quando il vento colmo
di cosmici spazi ci corrompe il volto – a chi mai
potrebbe mancare l’agognata, che sì dolcemente delude,
lei che di fronte al cuore solingo con fatica
si dispone? È più lieve agli amanti? Ah!
si nascondono soltanto l’un l’altro il destino.
Non lo sai ancora? Getta dalle tue braccia il vuoto
verso gli spazi che respiriamo; forse là gli uccelli
sentono l’aria dilatata con volo più intimo.
Sì, le primavere ebbero bene bisogno di te. Osò
qualche stella, che tu la sentissi sfiorare. S’alzò
un’onda nel passato, o là mentre passasti,
a una finestra aperta, venne a offrirsi un violino.
Tutto questo era un compito. Ma tu,
lo potresti reggere ? Non eri là ancora
disperso dall’attesa, come se tutto ti annunciasse
un’amata? (dove vorresti custodirla,
da te i grandi pensieri estranei tuttavia
vanno e vengono e indugiano spesso la notte.)
Se ti senti, canta allora gli amanti; ancora lungi
dall’essere immortale il loro sentimento famoso.
Quelle, tu quasi le invidi, abbandonate, che tu
tanto più amorose trovasti delle appagate. Dai inizio
sempre di nuovo all’inarrivabile lode;
pensa: l’eroe rimane; anche il trapassare fu per lui
solo un pretesto, per essere: la sua ultima nascita.
Ma gli amanti l’esausta natura in sé li riprende
come non ci fosse più una seconda forza
per questo operare. Hai poi pensato abbastanza
a Gaspara Stampa, così che una qualche fanciulla,
cui sfuggì l’amato, ne senta l’influsso
esaltato esempio: e se io come lei diventassi?
Non devono forse infine questi antichissimi dolori
diventare più fecondi per noi? Non è tempo che con amore
ci liberiamo noi dall’amato e tremanti resistiamo:
come la freccia resiste la corda, raccolta nello scatto,
per essere da più di se stessa. Ché il rimanere non ha un luogo.
Voci, voci. Ascolta mio cuore, come altrimenti solo
i santi seppero udire: che loro l’immane richiamo
sollevò dal suolo; ma loro in ginocchio,
oltre il possibile, e ancora, e senza badarci:
così stavano in ascolto. Non che tu possa lontanamente
sopportare la voce di Dio. Ma quel che spira ascolta,
l’ininterrotta notizia che da silenzio si forma.
Freme ora, per te, di quei giovani morti.
Ogni volta che entrasti, nelle chiese a Roma
o Napoli, non ti parlava pacato del loro destino?
O ti si presentò sublime una scritta, come la lapide,
di recente, a Santa Maria Formosa.
Cosa vogliono da me? Piano devo rimuovere
l’apparenza dell’ingiustizia, che del loro spirito
il movimento puro talvolta un poco impedisce.
Certo, è curioso non abitare più la terra,
non esercitare più usi solo ora appresi,
alle rose, e ad altre cose piene di promesse
non dare senso di umano futuro;
quanto eravamo in mani infinitamente ansiose
non essere più, e persino dal proprio nome
prescindere come giocattolo infranto.
Curioso non desiderare più i desideri. Curioso
tutto quel che si atteneva, vedere sì dissolto
fluttuare nello spazio. E stanca essere morti
e di continuo ripetere, per sfiorare man mano
un poco d’eternità. – Ma i viventi commettono
tutti l’errore di tracciare confini troppo netti.
Gli angeli (si dice) spesso non saprebbero se
procedono fra vivi o fra morti. L’eterna corrente
lacera attraverso entrambi i regni ogni età,
sempre porta via, e sovrasta con il suono entrambi.
Infine non hanno più bisogno di noi i morti precoci,
ci si svezza da quanto terreno con facilità, come dal seno
materno si cresce miti. Ma noi, che di così grandi segreti
abbiamo bisogno, noi cui dal lutto, sì sovente un beato progresso
si sprigiona -: potremmo essere noi senza di loro?
Vana la saga, che un tempo nel compianto per Lino
una prima audace musica pervadesse l’impietrito deserto;
che solo nello spazio sgomento, cui sfuggì quasi divino un fanciullo
improvviso e per sempre, il vuoto riuscisse
a entrare in tale vibrazione, che ora ci trascina, consola e aiuta.
GLI SPLENDIDI LAVORI di SANTINA FOTI
Per quanto mi impegni nei lavoretti manuali, quando ho visto
quelli di Santina
sono rimasta a bocca aperta. Merita uno spazio tutto suo, su questo Blog, anche se ho dovuto eseguire, a malincuore per ragioni di spazio, una selezione tra le molteplici sue creazioni
di queste sue mani di Fatina.
mercoledì, novembre 18
IL PANE DURO - di WILDER HERNANDEZ, PSICOLOGO
IL PANE DURO
Wilder Hernadez, psicologo
A volte ci avanza un pezzo di pane, dopo aver fatto colazione ed il giorno dopo diciamo: “Questo pane è duro” e spesso è proprio così. Ma, pensandoci bene e pensando ad una riflessione che ho letto di un grande psicologo, Wilder Hernadez, oggi vorrei condividere una riflessione con te:
“Il pane non è duro: duro, è non avere pane”.
Sembra una cosa assurda, ma siamo specialisti nel lamentarci e la maggior parte delle volte senza ragione, senza pensarci, per superficialità, per egoismo…
Il pane non è duro, duro è non avere pane.
Che significa questo?
Che il lavoro che fai non è duro: duro è non avere un lavoro.
Che avere la macchina rotta, non è duro. Duro, è non avere una macchina. Ed avere la macchina rotta e dover andare a prendere l’autobus a piedi, è duro?
No: non è duro. Duro è non aver gambe: duro è non poter camminare. Mangiare riso e sardine non è duro.
Duro è non aver nulla da mangiare
Perdere una discussione in famiglia non è duro.
Duro (e credimi, questo sì che è duro!) è perdere una persona della tua famiglia.
Dire “Ti amo” guardando negli occhi un’altra persona, non è duro. Duro è doverlo dire davanti ad una lapide o una bara, quando ormai sono inutili le parole.
Lamentarsi non è duro: duro è non saper essere riconoscenti.
Oggi è un buon giorno per ringraziare Dio per la vita, per tutto ciò che abbiamo e per non lasciare che la nostra felicità dipenda da qualcosa o qualcuno.
La nostra felicità dipende solo da noi e da quante volte alziamo gli occhi al cielo per ringraziare il Signore.
La vita non è perfetta, però è meravigliosa, quando la viviamo in Cristo. Caro Dio, non importa ciò che sto passando in questo momento della mia vita, ti ringrazio del privilegio di essere vivo oggi.
Duro non è condividere questa riflessione con un buon amico;
duro è non aver un amico con cui condividerla…
Villaggio degli gnomi risistemato di Danila Oppio
Danila
AGENDA HELICON 2021 di ROBERTO DI PIETRO
Tutto appartiene agli altri
tranne il tempo, che è un bene solo tuo…
…ogni ora che passa esce dal tuo forziere
e va a far parte del dominio della morte…
(Lucio Anneo Seneca)
…com’è difficile trovare l’alba
dentro l’imbrunire…
(Franco Battiato)
Ah, perché la Disgrazia
non fu mai sazia di parole!
(W. Shakespeare/R. V. Di Pietro – Riccardo III)
AVE, CORONAVIRUS, CAPTIVI TE SALUTANT
(dopo la rilettura
di un’ Epistula ad Lucilium)
Tu t’accorgessi almeno, sbeffando, che si muore
un poco ad ogni sosta davanti a un orologio
presente in ogni stanza: spettrale! ovunque accanto!
col sole…con la luna…
di sera…di mattina!
E illuderci, ogni volta, che Morte sia una farsa
remota?... da venire?...Laddove Lei, all’istante,
in barba ad ogni morbo plebeo o coronato,
dal dì che il Tempo nacque
sta già alle nostre spalle.
(aprile 2020)
*********
This earth I saw within the universe;
with a shudder, I sensed it in the sky!
And myself I beheld small and astray,
roaming among the stars upon a star.
(G. Pascoli/Roberto V. Di Pietro)
??? C O V I D 19 !!!
(a relentless nightmare)
Your body stiff and cold and motionless…
and you?…Oh you!…Poor soul…dangling aloft --
a dismal helpless ghost
just looking on.
Hey, there…old breathless you! You’ve lost your sense
of smell?... and taste?... Forget it, close your eyes:
the less you watch,
the better the surprise.
(November 2020)
…in confinio duorum populorum,
simul ante retroque prospiciens…
(Francesco Petrarca – Rerum memorandarum)
Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca
per non venir sanza consiglio a l’arco;
ma il popol tuo l’ha in sommo de la bocca.
Molti rifiutan lo comune incarco;
ma ‘l popol tuo sollicito risponde
sanza chiamare, e grida: “I’ mi sobbarco!”
(Dante Alighieri -- Purgatorio, VI)
“Oh misera, misera patria mia!
Quanta pietà mi stringe per te
qual volta leggo, qual volta scrivo
cosa che a reggimento civile abbia rispetto.”
(Dante Alighieri – Convivio, IV, xxvii)
Rubando fiori al chiaro di luna,
a destra e a manca me ne scuso,
ma non mi dichiaro colpevole.
(Nicanor Parra – Frasi memorabili)
“Chiamalo un controsenso, se ti pare,” disse,
“ma certe volte ho sentito dei controsensi in confronto ai quali
questo sembra essere pieno di senso
come un dizionario.”
(Lewis Carroll – Attraverso lo specchio)
Sia un cataclisma, sia una pandemia…
sodali e solidali solamente
fra loro i lestofanti? Ovunque, sempre,
ladroni inveterati?... E quanti in fila
a dirsi immiseriti! Ah, spudorati,
a mendicare qualche regalia!
E a che volerti affliggere?... Se un OGGI
(ignominioso e buio…più che mai?...)
è puntualmente ancora quel FUTURO
che IERI t’auguravi – oh, n’eri certo! --
sarebbe stato meno…meno…o almenooo…
a un dio piacendo, almeno un po’…
diverso.
(agosto 2020)
Je ne reconnais plus
ni les murs ni les rues
qui ont vu ma jeunesse…
(“La bohème” – Charles Aznavour)
Mi ‘v parlo ‘d coj ani
che ij giovo’d vint’ani
a ricorderan nen…
(“Porta Pila” – Gipo Farassino)
Torino, città di nettari sepolti…
(Renzo Guerci)
SENZA TRADIRTI
Non sei più tu. No, non ti riconosco:
ti sei tinta di rosa! e verde! e cremisi!
le chiome che fluivano discrete
sulle tue spalle erette di Signora
vestita con regale austerità.
Segui la moda?... E ahimè, ti sei imbruttita
ogni lembo di pelle con tatuaggi!
e anelli! e spilli!… e sfregi così turpi
che, forse, solo gli Unni sanguinari
(o i Maya più ispirati?...) li direbbero
fulgidi guizzi di ‘creatività’.
Non sei più mia, ma non ti disconosco.
Chino su un vecchio diario, ad occhi chiusi,
intatta ti ripenso… -- e fatalmente
risorta, ti possiedo: a te mi stringo,
Madre benigna, come quando in fuga
dal Nilo egizio che mi vide infante
giunsi alle rive di quel Grande Fiume
che il grembo ti feconda numinoso:
misterico altrettanto, e a me propizio
nel suo pulsare che confonde il Tempo,
stempera gli anni, ne addolcisce il solco.
Memoria estrema dei miei primi affetti,
passioni e affanni e gioie inesprimibili,
tale mi resti: pur se ormai m’appari
spogliata d’ogni grazia primitiva,
senza decoro, urbana gentilezza,
senza più traccia dei tuoi umori antichi,
nient’altro che un’odierna donnicciola
scurrile, greve, oscena in corpo e spirito,
per nulla al mondo io ti rinnegherei:
fra le tue braccia -- oh, quelle… d’altri… tempi…--
so che mi spegnerò
senza tradirti.
(marzo 2020)
Turpe senilis amor
(Ovidio)
Tutto è tentazione per chi la teme
(Jean de la Bruyère)
Cedere alla tentazione
è l’unico modo per resisterle
(Oscar Wilde )
Er più mejo attrezzo
che fece Gesucristo ar padr’Adamo…
(Giuseppe Gioacchino Belli)
V’è nella sensualità una sorta di allegrezza cosmica
(Jean Giono
Sussulto dei sensi sopiti: e nel letto
t’assale quell’ultima audace antipatica
mosca ottobrina
che a un tratto s’affaccia nel cuor dell’autunno:
sbucata dal nulla, ronzando ronzando
ti viene a svegliare: molesta e cocciuta
si posa sul naso!…sul mento!…sul collo!…
Ti vellica e ovunque ne soffri il prurito.
Imprechi spostando le coltri, sperando
che molli, che vada per sempre, sparisca!
Ma più la respingi, vieppiù ti tormenta:
se un po’ la minacci, per finta scompare;
poi torna e, spavalda, si piazza di fronte:
si libra e, di colpo, t’approda sul petto:
spalanca un ocello eee… sembra osservarti?...
No, pare (dio santo!) ti stia a giudicare:
più in qua s’avvicina, sorniona, e ti fissa!
Chissà ti derida?...O che si rattristi
di tanto immorale tuo assurdo rifiuto
d’un piccolo
estremo
ricordo
d’estate.
(ottobre 2020)
Sogni e favole io fingo; e pure in carte
mentre favole e sogni orno e disegno,
io lor, folle ch’io son, prendo tal parte
che del mal che inventai piango e mi sdegno.
(Pietro Trapassi – Metastasio)
…le vecchie parole sentite
da presso con palpiti nuovi…
(Giovanni Pascoli — La Poesia)
…ma per restare là dov’è ottimo
restar, sul puro limpido culmine,
o uomini; in alto,
pur umile: è il monte ch’è alto.
(Giovanni Pascoli – La Piccozza)
Grande-piccolo, bianco-nero, freddo-caldo
al loro massimo grado di opposizione
non sono che contrasti di polarità.
(Johannes Ittin – Farbkreis, Arte del colore)
Musica ambisci?... E istoriato Pensiero.
Ma, pur con voce sommessa, sai dirti
qual sia il colore dell’Arte in cui credi?
Ombra non sei, né iattanza di luce:
stai in quell’opaca radiosa immanenza
che
parimenti
nel nero e nel bianco
in sé comprime le tinte e squaderna
la tavolozza
dell’arcobaleno.
(novembre 2020)