IL CORPO RIVOLTATO DALL’ESTERNO ALL’INTERNO, DALL’INTERNO A …
(Omaggio a un amico)
Un palloncino nel cesso piantammo, monito agli agguati linguacciuti della vita
E nella nostra infinita arroganza al bianco di sponde e rintocchi giocammo baluginanti sparizioni nei crateri celesti
Flebili voci al telefono e alchimie di quel nulla risultante da deliri cronici in sovrapposizione: se non altro per tramortire le stesse idee, se non altro perché quell’ampio vuoto si rivelasse a ognuno, in una squallida camera condominiale, coi suoi riverberi comicamente cosmici. Uno spas(i)mo di tragedia incompiuta
Di dissolvenze musicali, irreversibili à rebours.
Noi che non avevamo proprio niente da dirci o da darci, ma solo trame scinte da ordire e mandare a monte in congiunta solitaria, quale gelo ci possedeva , ho dimenticato il suo volto
Fantasma a me, fantasma a te
Del non manifestarsi
Porte sbattute, mai aperte e mai chiuse
Passeggiando come ologrammi fra l’ombre e gli orrori, assieme a melodie struggenti ci godemmo lo strutto dell’essere sempre in ritardo su di noi
Gatti in volo dal balcone dell’infanzia, noi che non siamo riusciti ad alzare davvero la voce né a versar lacrime una sola volta, equivocando languori e rancori nel peggior liquore infine
A quale luce – neanche oggi le candele riposano abbastanza - ci incollammo come insetti
“Dato, dato, giocato
Avuto, perduto, furnuto “
Eppure per anni ancora tornò nel mio canto, vaga e stonata, la spirale del tuo disincanto, e nelle stanze del tuo carillon suonarono da lontano le mie sconfitte.
Coucou, Sèlavy!
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