Beatificare i Draghi
di Mario Pezzella
Il governo Draghi porta a compimento fenomeni già in atto da molto tempo: lo svuotamento della democrazia parlamentare, la messa in mora della nostra Costituzione, l’ingresso diretto della sovranità finanziaria nella gestione del potere.1 Nei mesi scorsi, anche da molto a sinistra, si è accusato il debole e badogliano governo Conte, di “dittatura sanitaria”, di colpo di Stato, di attentato alle libertà, laddove invece si trattava di un timido, maldestro e probabilmente irrealizzabile tentativo di affrontare la crisi riproponendo alcuni temi classici della socialdemocrazia. Bene, a forza di gridare al lupo, il lupo è arrivato: ora in effetti la democrazia parlamentare è in stato di sospensione, e il potere commissario, non “sanitario” ma economico, è un dato di fatto.
C’è qualcosa di grottesco, il tipico sublime-grottesco all’italiana, nel tripudio generale con cui vengono portati sugli altari un opaco politico democristiano e un banchiere fedelmente affiliato ai poteri finanziari globali e italiani: così come è un esempio perfetto di servitù volontaria la rapida e irresistibile sacralizzazione mediatica dei due protagonisti di questa vicenda. Ricorda la celebre storiella dei titoli di giornale su Napoleone tornato dall’Elba.2
La vita di Draghi viene raccontata nei particolari, ammirati e stupefatti testimoni ricordano le svariate circostanze in cui un lembo della sua veste li ha provvidenzialmente sfiorati, e insomma la sua biografia diviene molto simile all’agiografia di un taumaturgo (agiografia: termine usato a designare la letteratura, o più in genere quell’atteggiamento sentimentale che tende a svolgere narrativamente motivi leggendarî intorno a una personalità della storia politica o religiosa, sentita ed esaltata miticamente; Enc. Treccani). Mentre Mattarella è il santo che lo ha evocato e destinato a sanare le piaghe del paese: come i sovrani dell’antica teologia politica, investiti di autorità divina, che curavano col tatto i brufolosi e gli storpi.
Gli uomini che comandano in Italia non basta che abbiano potere: devono elevarsi in una trasfigurazione religiosa, devono assumere una qualche caricaturale contraffazione del sacro. Ma questo era già vero per tanti altri duci e conduttori italiani. Per una democrazia la persona e la corporeità del capo dovrebbero essere poco influenti: ma in realtà la nostra politica non riesce a fare a meno di forme giubilatorie e pastorali di sovranità. Così stupisce oltre che la meccanica ripetitività della formula, la rapidità con cui avviene in questo caso – anche il nostro Draghi se non è proprio l’eletto e l’unto del Signore, diviene quella che Debord definiva una vedette, nella fantasmagoria immaginaria della società spettacolare, e cioè il surrogato immaginario di un potere che non potrebbe esibirsi nella sua scheletrica e astratta freddezza finanziaria.
Nelle sue serie dedicate a personaggi dello spettacolo o della politica (da Marilyn Monroe a Elisabeth Taylor, da Mao Tse Tung a Jackie Kennedy) Warhol ha analizzato, scomposto e messo allo scoperto la produzione artificiale e fantasmatica delle vedettess. Le serie riproducono «personaggi famosi: artisti, collezionisti, divi del cinema, politici e delinquenti. In una società dominata dai mass media la fama è un indicatore quasi naturale del successo sociale. Al Capone fu in vita uno dei personaggi più amati di Chicago».3 La vedette offre se stessa al desiderio come feticcio. Il desiderio – all’interno del dominio del capitale – è orientato feticisticamente su immagini di sogno, le quali prefigurano un successo e un soddisfacimento totale. La vedette propone un modello di realizzazione dell’Io destinato a rimanere deluso e che tuttavia attrae un soggetto disposto a credere alla utopica felicità promessa dal capitale. Nel linguaggio di Freud, l’alienazione capitalistica nega il disagio della civiltà, il negativo da esso prodotto, la limitazione e la servitù del soggetto, nello stesso momento in cui li incrementa all’infinito: li produce e li maschera in una contraddizione protratta e sempre più lacerante. L’immagine di una vedette vale in quanto divenga fantasma modulatorio del desiderio: e come tale appare fittiziamente dotata di quell’irripetibilità e di quell’aura, che la persona reale non possiede affatto.
D’altra parte la vedette non potrebbe diventare tale se non suscitasse processi psichici profondi di identificazione e di pseudoriconoscimento. La società dello spettacolo non è repressiva, ma produce un regime del desiderio, una fantasmagoria euforizzante, e infine una forma particolarmente seducente di servitù volontaria. Il politico come vedette, che ha sostituito il politico come professione, permette di occludere il vuoto affiorante, la crisi della presenza di fronte alla cancellazione di ogni relazione corporea, sessuata, emotiva (che è il tratto idealtipico della nostra desolata condizione presente). Il sorriso sottile e indefinito di Draghi, inseguito da stupefatta e amorosa fascinazione, esprime perfettamente uno spirito del tempo diverso da quello di Berlusconi o di Renzi: quello di una fredda e rassicurante astrazione, che nella sua impassibile geometria sembra paradossalmente confortare i soggetti del potere attuale. Ci rassicura perché insieme riflette gli ectoplasmi che siamo diventati (esseri separati, privi di contatto emotivo e fisico) ed eleva la nostra miseria esistenziale a quantità trascurabile e calcolabile di un grande meccanismo sovrano e universale. Ecco: l’involucro immaginario fascinatorio con cui viene ricoperto il corpo mortale di Draghi è quello della scintillante e irresistibile potenza della meccanica finanziaria: un destino, irresistibile e imperscrutabile, un dio immanente, onnipotente, onniveggente. Magari ci annienta con un battito di ciglia, ma come è bello identificarsi in un aggressore superiore e sapiente, e che comunque sa: è il soggetto assoluto supposto sapere. E comunque sia: meglio allearsi e far parte della sua corte, di corsa, piuttosto che rimanere fra i dannati senza speranza, visto che la vedette Draghi ci si aspetta che duri (tra presidenza del Cosiglio e presidenza della Repubblica) almeno una decina d’anni. In effetti questo è più che un potere commissario provvisorio: è una sospensione di fatto, e una messa sotto controllo della democrazia in maniera duratura (irreversibie?). Si tratta di un processo storico in atto da tempo, che la pandemia ha permeso di accelerare a dismisura.
Quanto alla terza vedette di questa storia, basterà citare un passo di Elsa Morante che a lui si attaglia, anche se l’oggetto originario era un altro:
Debole in fondo, ma ammiratore della forza, e deciso ad apparire forte contro la sua natura. Venale, corruttibile. Adulatore. Cattolico senza credere in Dio. Corruttore. Presuntuoso. Vanitoso. Bonario. Sensualità facile, e regolare. Buon padre di famiglia, ma con amanti. Scettico e sentimentale. Violento a parole, rifugge dalla ferocia e dalla violenza, alla quale preferisce il compromesso, la corruzione e il ricatto. Facile a commuoversi in superficie, ma non in profondità, se fa della beneficenza è per questo motivo, oltre che per vanità e per misurare il proprio potere. Si proclama popolano, per adulare la maggioranza, ma è snob, e rispetta il denaro… Superficiale. Dà più valore alla mimica dei sentimenti , anche se falsa, che ai sentimenti stessi. Mimo abile, e tale da far effetto su un pubblico volgare… Si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, e quando essi lo portano alla rovina o lo tradiscono (com’è nella loro natura), si proclama tradito, e innocente, e nel dir ciò è in buona fede, almeno in parte; giacché, come ogni abile mimo, non ha un carattere ben definito, e s’immagina di essere il personaggio che vuole rappresentare.4
Anche se qui, più che di amanti, si dovrebbe parlare di cortigiani ossequienti.
L’esito più inquietante in questa di questa commedia all’italiana sarebbe se non l’alleanza almeno il compromesso tra quelli che finora ci erano presentati mediaticamente come opposti, vale a dire il neoliberismo finanziario e il populismo. Se questo accadesse potremmo assistere a una governance liberista in economia e con forti elementi autoritari e demagogici sul piano sociale. L’altra possibilità è una sorta di “welfare selettivo”, che ripartisca risorse comunque scarse tra i gruppi più influenti e sacrifichi gli insalvabili, depoliticizzi definitivamente il governo e contenga il sorgere di domande sociali che non sarebbero gestibili nell’attuale configurazione del capitale.5
Di contro a ciò, occorrerebbe rilanciare il conflitto sociale per richiedere una ripartizione selettiva delle risorse non succube degli interessi di Confindustria e capace almeno di condizionare le scelte del prossimo governo. A giudicare dalla passività con cui anche i sindacati assistono agli eventi, questa sembra una speranza di difficile realizzazione.
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Note
1 Ma su questo hanno scritto già altri e bene, per cui non mi ci soffermo: cfr. Marco Revelli, Tommaso Montanari, Emiliano Brancaccio, Bruno Montesano.
2 «Il mostro corso è sbarcato»; «Il generale Bonaparte marcia su Parigi»; «L’imperatore è entrato alle Tuileries».
3 K. Honnef, Andy Warhol, Taschen, Köln, 2015, p. 66.
4 Questa pagina, datata 1° maggio 1945 e pubblicata su «Paragone Letteratura», 456, n. 7, del febbraio 1988, è ora nel Meridiano delle Opere, Milano 1988, vol. I, pp. LI-LII.
5 Ciò che Alberto De Nicola ha definito come «stabilizzazione conservatrice» del sistema.
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