Catena d'amore
Aurora corre sulla spiaggia con il suo secchiello: si avvicina alle verdi onde spumose del mare, lo riempie d'acqua e poi torna a costruire palline e palline di sabbia.
Le lunghe cicatrici sul suo corpo, testimonianza di un grave intervento chirurgico, sono quasi del tutto nascoste da un costumino colorato.
La bambina sorride felice e abbraccia sua sorella Marianna, più grande di due anni, anch'essa impegnata a preparare una minestra di sassolini lucenti.
Solo la mamma Giovanna, dietro gli occhiali scuri, ricorda le lunghe giornate di alcuni anni prima, trascorse ad attendere notizie all'Ospedale Pediatrico, uno dei più avanzati in Europa.
Ogni giorno, alle 12,30, i genitori dei bambini ricoverati nell'Unità di Terapia Intensiva, si trovavano davanti alla grande porta rossa che chiudeva il reparto, per incontrare il medico del reparto.
I minuti erano un'altalena di speranza e di paura e, per non pensare troppo, si scambiavano poche parole, condividendo la propria pena con gli altri:
-Buon giorno, signora, come va?
-Al solito. Vengo qui da sei mesi e quello di mio figlio sarà un ricovero ancora lungo. Purtroppo, egli non riesce a respirare autonomamente, senza ossigeno: qualche giorno va meglio ma poi... di nuovo ha una crisi. Ormai, lo scopo della mia vita sono questi viaggi quotidiani, assai lunghi perché abito a cento chilometri da qui.
Le lacrime scendevano dagli occhi stanchi.
- Mio figlio, invece, è nato dopo solo 28 settimane di gravidanza. Ora, purtroppo, ha subito un intervento. La mia angoscia è non sapere se sopravvivrà e se potrà avere una vita normale.
Dopo il colloquio con il medico, ognuno correva dall'altra parte dell'edificio: là, dalle finestre a vetri, si potevano scorgere i propri figli nella stanza all’interno, imprigionati nelle macchine che li tenevano in vita.
Aurora era là, nell'incubatrice, legata mani e piedi come Cristo in croce, con la cannula dell'ossigeno e tanti altri tubi infilati ovunque. Persino le sue dita, senza carne intorno, sembravano mostruosamente lunghe.
- In questo periodo le abbiamo fatto quattro trasfusioni, signora, - aveva spiegato il medico - era un'emergenza. Come vede, il cibo le arriva direttamente in vena attraverso una flebo, il suo apparato digerente non è ancora in grado di assumere nulla.
Il sole splende sul mare e le voci rallegrano l'aria, mentre Aurora e Marianna vogliono nuotare con i loro braccioli di gomma.
Le onde si infrangono sulla terra con delicatezza, levigando le pietre con cui i bambini costruiscono bellissimi castelli di sabbia.
Oggi, Aurora è allegra e piena di vitalità ma, in quei giorni, ogni parte del corpo sembrava non voler funzionare: i reni, i polmoni, forse la vista…
- La vita di questi bambini, nati prima del tempo e non del tutto formati, è appesa a un filo. - spiegava il dottore.
Il dolore era avvilente: Giovanna aveva trascorso un mese immobile in un letto d’ospedale per ritardare la sua nascita, senza mai alzarsi neppure a sedere per mangiare.
In quella stanza, nel lettino a fianco, erano state ricoverate, in quel mese, diverse donne: tutte avevano dei problemi con la gravidanza. Eppure, ognuna si sottoponeva a terapie e tormenti, pur di salvare il suo bambino!
Purtroppo, nonostante le cure dei medici, Aurora era scivolata fuori, nel mondo, dopo solo 30 settimane di gravidanza, meno di sette mesi, e 1540 gr. di peso.
Quando si lotta con tutte le forze per l’esistenza e l'ostacolo diventa insormontabile, può venire in mente la storia di Abramo a cui Dio aveva chiesto in sacrificio la vita del figlio carissimo.
Isacco sale su per la montagna e ha fiducia in suo padre, Abramo crede in un Padre più grande e con il cuore pieno di fede si prostra ad accettare.
Oh Dio, se è questo che tu vuoi da noi, il sacrificio della nostra creatura, già tanto amata fin dall'attimo del concepimento, noi accettiamo la Tua volontà.
L’abbiamo adorata quando i medici ce l'hanno mostrata, forse per l'ultima volta, che aveva solo un giorno, così piccola e indifesa, spaventosa tanto era scarna, prima dell'ingresso nella sala operatoria. Ma ci abbassiamo davanti a Te che sai tutto e Ti offriamo la nostra debole fede.
Giorno dopo giorno, Aurora era salita su per la montagna, come Isacco, sotto gli occhi del Padre celeste, mentre Giovanna attendeva notizie, con gli altri genitori, davanti alla porta rossa della rianimazione.
- Questi bambini non devono sentirsi soli, qui, tra di noi, - dicevano le infermiere - per questo parliamo con loro, li carezziamo, facciamo sentire la nostra presenza. - e sorridevano sempre, abili e gentili.
Aurora ride, tra gli spruzzi delle onde, insieme a sua sorella e chiacchiera ragionevolmente come una piccola signorina: la loro gioia si spande nell'atmosfera dolce del mattino.
Infine, dopo tante giornate difficili, anche a Giovanna era stato concesso di entrare nel reparto, con il camice verde e la mascherina, toccare la figlia nell'incubatrice e, in seguito, persino prenderla in braccio.
Quel giorno, era stata troppo forte la paura che qualcuna di quelle macchine potesse suonare, segnalando qualcosa che non andava nella fragile creatura, che il cuore potesse rallentare la sua corsa, per un attimo: Aurora, tra le braccia, per la prima volta!
Oh Dio, l’hai risparmiata, così come hai fatto con Isacco.
La Tua volontà si è compiuta attraverso quelli che credono nella vita umana, nel bisogno di salvare chi soffre, che non vivono l'odio e la violenza così comuni nel nostro mondo!
Attraverso le mani dei medici, dalle infermiere, il sangue dei donatori, l'hai restituita alla nostra famiglia e noi non lo dimenticheremo.
Per questo, quando qualcuno ci chiederà, non dovremo mai rispondere di no.
Renata Rusca Zargar
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