To the Wonder
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Rappresentazione organica della realtà del sentimento
Un film di Terrence Malick. Con Ben Affleck, Olga Kurylenko, Rachel McAdams, Javier Bardem, Tatiana Chiline. Drammatico, USA 2012.
Neil e Marina s’innamorano a Parigi di un amore grande e galoppante come le maree di Mont Saint Michel. La forza di attrazione li conduce verso 'la meraviglia' e i campi sconfinati dell'Oklahoma. Madre di una bambina di dieci anni, Marina cerca in Neil riparo e sicurezza. Ispettore ambientale operativo sul territorio, Neil ospita l'amore di Marina senza decidersi a realizzarlo. Molti abbracci dopo, col permesso di soggiorno scade l'intensità del loro sentimento: Marina torna in Europa, Neil ritorna a una relazione passata. Alla maniera della marea, il loro amore è in perpetuo movimento e una mattina risale e avanza verso una nuova meraviglia, verso gli States e verso una casa finalmente da arredare e da abitare. Li accoglie e li ascolta Padre Quintana, alla ricerca del cuore dietro le parole sempre deludenti dei dogmi. Davanti alla natura e al suo spettacolo, scenderanno nelle loro solitudini per scoprire, nella gioia e nel dolore, i termini del loro richiamo..
To the Wonder rappresenta l’apice di questo processo di spoliazione del mezzo filmico, perché l’emozione alla base del film è in assoluto la più elevata: l’Amore, quello con la A maiuscola, Amore per la vita, amore per un Dio cui rivolgersi nei momenti di sconforto, amore per la Natura, per la propria casa, per la propria terra, per il prossimo, ma soprattutto amore tra due persone, in questo caso amore tra un uomo e una donna.
In questo si coglie il risultato di tale operazione di semplificazione, di riduzione agli elementi essenziali: spogliato di un contesto storico, di una riflessione universale, di quanto poteva ancora esserci di debolmente narrativo o rappresentativo, il film raggiunge una scarna essenzialità realmente in grado di prendere e commuovere. (…)
Diviene quindi fondamentale il commento fuori campo, che copre buona parte del film. La pellicola è in massima parte recitata in francese, con consistenti parti in spagnolo e anche in italiano. I dialoghi “diegetici”, realmente pronunciati in inglese, sono rari e ridotti spesso a bisbigli, a borbottii sommessi ed esclamazioni gergali. Ne consegue che la voce fondamentale, la vera colonna portante è data dall’ininterrotto monologo interiore di Marina, la donna che ha seguito Neil dalla Francia fino in Oklahoma: con toni ora di estasi, ora di tormento, la donna rivive come in un ricordo la sua intera esperienza d’amore, dalle incertezze iniziali ai momenti di gioia, agli slanci appassionati e alle dolorose separazioni. Le fa da contraltare il travagliato soliloquio di Padre Quintana, che cerca negli umili e nei malati una risposta da parte di quel Dio cui ha consacrato la sua esistenza, e dal quale si sente più che mai abbandonato.
Giunge il tempo della rivelazione. Così è nell’incantata preghiera finale, un appello accorato a un Cristo che appare nei dettagli più irrilevanti dell’esistenza: nei rami di un albero, nelle mani di una donna, nel cielo mattutino. E così è anche per chi, perso nel suo vagare disperato, realizza infine di avere amato: e questa è l’unica cosa che conta. Ma è solo un attimo, un bagliore improvviso. Alla fine resta solo il ricordo, la visione di quella “meraviglia” da cui tutto era partito e al quale tutto, infine, può fare ritorno.
Capolavoro.
Fabio Cassano
Ho cercato nel Web qualche notizia, e ho considerato che la recensione di Cassano corrisponde al mio pensiero, anche se per ragioni di spazio, ho in parte tagliato.
Ieri sera sono rimasta incollata alla TV per seguire questo straordinario film.
Una sinfonia d’immagini della natura, dai colori intensi. Movimenti lenti, anche nel continuo danzare della ieratica protagonista, quasi fosse un inno alla Creazione.
Pochissime parole essenziali, come versi poetici che si ripetono e rincorrono, il cui centrale consiste in “E’ L’Amore che ti ama”.
Un film statico, lento, qualcuno potrebbe provarne noia, anche a causa di Ben Affleck, poco espressivo, ma forse utile per meglio entrare nel pensiero dello straordinario regista.
Un giovane prete, che sente allontanarsi il suo Dio, che crede distratto, occupato in altre faccende, e non riesce a trovarlo neppure se lo cerca: “Dove sei?”. Il suo è quasi un grido silenzioso, per poi rivelarsi tra gli ultimi, i malati, i disperati, e il sacerdote scopre così il vero senso dell’amore.
Il messaggio è chiaro, almeno così l’ho interpretato: si cerca l’amore negli altri o dentro se stessi, e che spesso risulta trattarsi di un amore a senso unico, esclusivo. Non appena l’attrazione si dilegua, ecco che pare tutto stia crollando intorno a noi. Non dobbiamo però scordare che non siamo noi ad amare, è l’Amore che ama noi.
Danila Oppio
Chi è il regista?
Terrence Frederick Malick (Ottawa, 30 novembre 1943) è un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense.
Noto per la sua riservatezza e il suo perfezionismo maniacale, è stato fin dai suoi primi progetti considerato un regista di grande prestigio, nonostante abbia diretto appena dieci film nell'arco di cinquant’anni di carriera. I suoi film sono noti per le loro riflessioni filosofiche e spirituali, lo stile registico ricercato ed ermetico, i temi naturalistici affrontati e per il dividere quasi sempre i giudizi della critica o del pubblico.
Ha vinto la Palma d'oro a Cannes nel 2011 per The Tree of Life, l'Orso d'Oro a Berlino nel 1999 per La sottile linea rossa, il premio per la regia a Cannes nel 1979 per I giorni del cielo e la Concha de Oro al Festival di San Sebastián nel 1974 per il film d'esordio La rabbia giovane. È stato candidato due volte al Leone d'oro a Venezia e tre volte all'Oscar (due per la miglior regia e una miglior sceneggiatura originale).
Nel 2011, il critico cinematografico Roger Ebert l'ha definito "uno dei pochi registi i cui film non sono mai meno che capolavori".
Vorrei aggiungere che Malik, puntiglioso nella ricerca della perfezione dell'immagine, e del suono, spesso ottenuto dall'accompagnamento di pezzi operistici o classici, come la colonna sonora tratta dal Parsifal: Prelude to Act One - Richard Wagner.
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