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L’autunno ha veglie di parole di Francesco Federico. Recensione di Laura Vargiu
Titolo: L’autunno ha veglie di parole Autore: Francesco Federico Genere: Poesia Editore: Este Edition, 2013
Isbn: 978-88-6704-081-0 Pagine: 64 Prezzo: € 8,00
Non perde luci e colori che le sono propri la poesia di Francesco Federico ne L’autunno ha veglie di parole, così come conserva intatti i suoi profumi dipinti in versi,
nonostante il quotidiano odore di morte, i toni cupi e il grigiore delle stagioni, umane ancor prima che temporali, che si rincorrono sotto “silenti sentieri di cielo”.
Luci, colori e profumi, perfetti riverberi mediterranei, si stagliano sullo sfondo di una terra, la Sicilia, che riconferma tutto il suo fascino nella nuova silloge del poeta di Bagheria pubblicata lo scorso anno dalla casa editrice Este Edition di Ferrara.
“La nostra è terra argillosa / ha radici nell’acqua salata / dove crescono coralli [...] / La nostra terra ha sussulti di vento / e l’inerzia delle città assolate [...] / La nostra terra ha il cielo umido / che profuma di zolfo / e di lava incandescente / dove approdano / i fenicotteri rosa [...]”
(da Canto della terra e dell’acqua, pag.16).
Ma è anche terra d’arrivo di disperati, “popoli in fuga dal deserto / nei barconi notturni”, mentre la primavera sboccia fredda nei suoi silenzi che attendono di essere colmati, da parole ma anche da sorrisi, gesti d’accoglienza e umana partecipazione all’altrui dolore. Da questi e altri versi disseminati in ogni poesia traspare l’occhio attento, e anche il cuore, dell’autore verso la realtà, a tratti spietata, del tempo in cui viviamo.
Così come pure ne Il viaggio difficile (Federico Editore, 2004) e Sulla linea del cerchio (Federico Editore, 2011), le emozioni, i sentimenti e i pensieri dell’io s’intrecciano indissolubilmente con le inquietudini e gli affanni del mondo che si materializzano attraverso una fabbrica abusiva teatro di morte o attraverso il volo assassino di uccelli rapaci che dall’alto scrutano le potenziali prede o semplicemente prendono consistenza nel “vociare litigioso” che ci giunge alle orecchie dalle strade illuminate in attesa del Natale. È da una società di tal genere che si desidera prendere le distanze, allontanarsi, fuggire in particolare durante la lenta stagione dell’autunno che, come recita la lirica che dà il titolo all’intera raccolta, “ha veglie di parole”: la veglia, dunque, come sospensione di un sonno che anestetizza i nostri dolori generati dal quotidiano vivere, come silenzio notturno dopo i frastuoni incessanti del giorno e come ineludibile momento di riflessione alla ricerca, proprio grazie alle “ali delle parole”, di quel senso dell’esistenza non sempre facile da trovare né, tanto meno, da comprendere.
Il bosco
LAURA VARGIU
Non più ti disseterai
alla frescura delle ombrose mie fronde
fra terra e cielo protese
ad abbracciar l’infinito
Non più in primavera
ascolterai fiorire le mie storie
né altra stagione ti vedrà ancor cingere
gli antichi profumi scolpiti dal tempo
Vieni, affrettati
rantoli di fumo s’alzano
dalle mie carni legnose
e braci ancor accese
Lasciati guidare dall’eco dei rintocchi
che il mio cuore agonizzante
affonda in questa terra
progenitrice ormai di deserti