C’è una sola cosa che si scrive solo per se stesso, ed è la lista della spesa.
Serve a ricordarti che cosa devi comperare, e quando hai comperato puoi distruggerla perché non serve a nessun altro.
Ogni altra cosa che scrivi, la scrivi per dire qualcosa a qualcuno.
Umberto Eco
Ecco, se lo dice lui, allora quel che già pensavo era giusto. Molti sostengono che si scrive per sé stessi. Credo che questo valga solo per il diario personale, che di norma resta segreto. Chi scrive, non lo fa solo per il piacere della scrittura, sia essa in prosa che in poesia, ma per comunicare agli altri il suo sentire, i suoi sogni, la sua filosofia di pensiero. Che poi lo traduca in un romanzo, o in qualche verso, poco importa. Se Manzoni avesse scritto I promessi sposi solo per un suo piacere personale, ora non conosceremmo la storia di Renzo e Lucia, immersa nella Storia. Dicasi così per tutti gli autori le cui opere sono materie di studio scolastico, o per quelli che hanno scritto romanzi di un certo pregio, che avvincono il lettore. E per chi ama le composizioni poetiche, non sapremmo mai di che trattava la Divina Commedia, o il Canzoniere.
Chi ha orecchi per intendere, intenda!
Mio consiglio è quello di scrivere sempre, serve come esercizio per la mente, e per creare un'occasione di scambio culturale con chi leggerà ciò che avete voluto trasmettere, anche se dovesse trasformarsi in uno scontro verbale, piuttosto che in un dialogo costruttivo.
Vedo su FB (Facebook) tanti post presi da pensieri altrui. Perché invece non scrivere direttamente il proprio modo di sentire, o di vedere le vicende della propria esistenza, usando la mente nostra e non quella altrui? L'aforisma di Eco è stato per me solo un mezzo per ampliare un discorso di più ampio respiro.
Danila Oppio
Cara Danila, permettimi di chiamarti così, sono un tuo lettore e penso potrei essere un tuo nonno. Io non vedo alcuna contraddizione dire che uno scrive per se stesso, perchè questo è vero nel senso della propria necessità di esternare per condividere le proprie sensazioni, emozioni o quello che vuoi confrontando la propria sensibilità con con quella degli altri. Riconosco che spesso si legge -scrivo per me stesso- è tutto si ferma lì perché, io penso, è sottinteso il resto. Perchè se così fosse, uno scrivente o poeta che sia, metterebbe ciò che ha scritto nel cassetto e non sul web, o addirittura su stampa. Comunque trovo molto interessante e ben impostato il tuo post che sicuramente toglierà ogni perplessità ai dubbiosi. Grazie per l'attenzione e scusa per l'evidente fretta nello scrivere. Un caro saluto
RispondiEliminaGiampietro Calotti
Carissimo Giampietro, non puoi essere mio nonno, perché hai solo 2 anni più di me! E sono nonna anch'io di due fantastici nipoti già adolescenti. Mi ha fatto molto piacere il tuo commento, che se permetti trasferirò direttamente sul blog. Infatti quando pubblico gli articoli che scrivo sui miei 3, spero sempre che qualcuno commenti direttamente nel sito stesso. In ogni caso, ho sempre pensato quanto ha sostenuto Eco con quel suo aforisma, ma mi sono anche "scontrata" con un'amica scrittrice, la quale sostiene che si scrive per sé stessi (e poi pubblica i suoi libri, ma va?). Certo che in parte è vero, in quanto chi scrive lo fa per amore verso la scrittura, ma poi è anche logico che gli fa piacere condividere con altri il suo pensiero, che potrebbe dare adito ad uno scambio sereno di opinioni e queste aiutano a crescere e a migliorarci. Serena domenica
RispondiEliminatengo a precisare che non è un errore grave scrivere "sé stesso" anzi che "se stesso". Qualcuno mi ha rimbrottato per quell'accento non necessario. Vorrei dire - considerato che in questi giorni si fa tanto parlare dell'Accademia della Crusca, su quel "petaloso" coniato da uno studente - ho fatto una ricerca sul sito della stessa, la quale sostiene che "stesso" aggiunto al "se" è rafforzativo e quindi non indispensabile l'accento: Ma leggiamo Manzoni che si esprime in modo contrario:Nell'edizione del 1840 dei Promessi Sposi possiamo ad esempio leggere: «tremava anche per quel pudore che non nasce dalla trista scienza del male, per quel pudore che ignora sè stesso, somigliante alla paura del fanciullo - Cap. 8.67». Al maschile plurale sono attestati 2 contesti, entrambi riguardanti il medesimo passo delle due edizioni dei Promessi Sposi, che qui cito dalla "quarantana": «I vaneggiamenti degl'infermi che accusavan sè stessi di ciò che avevan temuto dagli altri, parevano rivelazioni - Quindi per me restano valide entrambe le scritture.
RispondiElimina