ALESSANDRO
NASTASIO: UN ILLUSTRE LOMBARDO
Alessandro
Nastasio è maestro di chiara fama nel campo delle arti figurative in genere,
ormai riconosciuto e quotato a livello internazionale. Si ha pertanto il
piacere di proporre, nell'ordine, alcune salienti notizie biografiche, relative
a questo esimio artista e un elenco cronologico delle sue mostre personali,
perlomeno alcune fra quelle considerate di maggior rilievo:
Nasce
a Milano nel 1934, dove tuttora risiede e intensamente lavora nel suo Atelier
di Via Eustachi, 22.
Fin
dal 1947, il pittore albanese Ibrahim Kodra ne intuisce le eccezionali
inclinazioni al dipingere e lo avvia alla ricerca concreta di un proprio
originale iter espressivo in quel
campo specifico.
Presso
l'Accademia di Brera, dal 1952 frequenta la Scuola Libera del Nudo sotto la
guida di Aldo Salvatori, fino a conseguire (nel 1966-67) la cattedra di
professore in "Belle Arti" ed intraprendere, congiuntamente alle
proprie attività autonome, una trentennale carriera di docente di educazione
artistica presso diversi istituti.
Nel
1960 frequenta l'Atelier di Giorgio Upilio, dove operano Giacometti, Lam,
Fontana, De Chirico, dei quali ha la preziosa possibilità di studiare da vicino
le distinte tematiche ispiratrici e modalità tecnico-lavorative.
Affina
ed estende progressivamente le proprie capacità ad altri settori del figurativo
collaborando dapprima con il maestro Tullio Figini (grazie al quale ha modo di
apprendere i segreti della fusione rinascimentale 'a cera persa', e il vantaggio
di potersi incontrare con artisti del calibro di Manzù, Crocetti, Manfrini,
Minguzzi, Fabbri...); e in seguito, con la fonderia De Andreis di Quinto de
Stampi, dove operano Marino Marini, Giò Pomodoro, Rudy Wach, Strebelle, Negri e
Rosental.
Nel
1965 la galleria P. Lucas di New York lo nota, lo propone come grafico e lo
segnala presentandolo personalmente a Salvador Dalì.
Una
profonda dimestichezza con i testi sapienziali dell'antichità (dalla Bibbia e i
Vangeli, ai Rig-Veda, le Upanishad, Jalaloddin Rumi...) lo induce a volerne
trarre spunto, attraverso gli anni, per innumerevoli illustrazioni sotto forma
di xilografie, acquetinte, acqueforti, linoleografie... unanimemente giudicate
di alto valore tecnico e particolare pregnanza sul piano mistico-evocativo.
Peraltro, da una concomitante spinta verso la ricerca del "bello
utile" e delle relative concrete applicazioni nel quotidiano, nascono ora
geniali soluzioni decorative, ora imponenti opere pittoriche di monumentale
portata (perlopiù commissionate da gestori di edifici di pubblico interesse e/o
famose chiese/basiliche italiane), di volta in volta realizzate in stretta
collaborazione con celebri architetti -- fra i quali Figini e Pollini, De
Carli, Gardella, Faranda, Selleri, Ponti.
La
sua prima mostra personale risale al 1957, alla Pinacoteca di Latina.
Successivamente
ha esposto in numerose gallerie e spazi pubblici italiani ed esteri, fra cui si
citano:
Biblioteca
Sormani, Milano (1960, 1964, 1978);
Galleria
Michaud, Firenze (1963, 1964);
Galerie
Maurice Bridel, Losanna (1965);
Max
G. Bollag Modern Art Center, Zurigo (1968, 1972, 1976);
Galleria
d'Arte Moderna Villa Palestro, PAC, Milano (1969);
Museo
Civico Arengario, Monza (1970);
Museo
Municipale, Campione d'Italia (1973);
Phyllis Lucas Gallery, New
York (1974);
Diogenes
International Galleries, Atene (1974)
Palazzo
dei Diamanti, Ferrara (1977) ;
Galleria
Ducale, Vigevano (1977);
TWS
Gallerie Isa Smith, Stoccarda (1978);
Biblioteca
Comunale, Milano (1978);
Theater
der Altstadt, Stoccarda (1979);
Galleria
Michelangelo, Firenze (1979;
Galleria
Porto di Ripetta, Roma (1979)
Antichi
Arsenali della Repubblica, Amalfi (1980);
Gall. Planula Elissar, Beyrouth,
Libano (1983);
Galerie
Le Coin, Osaka, Giappone (1984);
Università
Bocconi, Milano (1987);
Renitenz
Theater, Stoccarda (1987)
Museo
Nazionale della Repubblica Turca, Konya (1988);
Teatro
Chiabrera, Savona (1988)
Centro
Culturale San Fedele, Milano (1989)
Galleria
Rinaldo Rotta, Genova (1991)
Galleria
Ada Zunino, Milano (1991 - prima mostra personale interamente dedicata alla
scultura in unico esemplare - e 2002);
Comune
di Rozzano, Cascina Grande (1992);
Galleria
Am Jakobbsbrumen, Stoccarda (1993);
Istituto
Italiano di Cultura, Madrid (1994);
Collezione
Civica d'Arte, Palazzo Vittone, Pinerolo (1995);
Museo
di Crema (1996);
Istituto
Italiano di Cultura, Nairobi (2000);
Istituto
Italiano di Cultura, Addis Abeba (2001);
Daimler-Chrysler MKP/MBP, Stoccarda (2003)
(Precisi
ulteriori aggiornamenti all'anno in corso non
sono stati reperibili ai fini di questa nostra pubblicazione.)
NEL FINITO L'INFINITO
(Un
afflato olistico nell'arte di Alessandro Nastasio)
Che si affidi a pitture, sculture, mosaici,
vetrate policrome, pannelli xilografici, collages o quant'altro di strumenti espressivi appaiano
di volta in volta più idonei, e che il soggetto prescelto sia ora scopertamente
"religioso" (da una trasumanata effigie del Cristo, al mistero di un'
Ultima
Cena, a un memorabile Pater Noster illustrato, invocazione
dopo invocazione, su tavole di bronzo fuso a cera persa...) ora, per contro, la
vivace stilizzazione di un Cancan di primo acchito equivocabile
per mero "dionisiaco" senza ulteriori risvolti, il peculiare atto
creativo di questo artista di multiforme genialità credo si riveli ovunque e
immancabilmente improntato ad una spontanea compresenza di sensibile e spirituale che
definirei "olistica": di terrestre respiro nel superno, di celeste
nel mondano, e quindi di perenne/sconfinato nel contingente, come sostanza
stessa delle passioni e del linguaggio materico volto a raffigurarle. Di qui,
in un inseparabile nesso tra "invenzione" e "tecnica", tra
ispirazione ed esercizio, in tutta quanta l'opera di Alessandro Nastasio
traspaiono gallerie/cunicoli/varchi di reciproca interrogazione circa le umane
sorti, presenti e ultraterrene, dove la mimesis,
suggerita dal Pensiero e subito sottoposta al lavorio immaginifico delle
metafore che ne discendono, propone in ogni caso a se stessa (e al suo
fruitore) il peso di una prossimità concettuale che al tempo stesso è distanza
in quanto istintiva tensione mistica verso il "sur-naturel" -- a voler mutuare un termine piuttosto
efficace a un'estetica per molti versi analogamente "bifronte" come
può dirsi quella baudelairiana. Per cui se, da un lato, le realizzazioni
compositive del nostro rinviano in genere ad una sentita impossibilità di
"imitare il naturale" ricalcandolo (specie laddove l'artista lo
percepisce svilito da segni di discutibile "incivilimento": e ad
esemplificare questa vena critica forse basterebbero, dopo Uovo cosmico, simbologia
della creazione, del 2002, due titoli nastasiani di per sé eloquenti
come Perdita
di identità e Non è colpa dello specchio se le facce sono
storte, risalenti all'anno immediatamente successivo), d'altro canto
ogni sua iniziativa artistica palpabilmente trasuda la duplice
"naturalezza" di sottostanti genuine intime motivazioni e, insieme,
di un autentico "goût du
travail": ovvero l'imprescindibile piacere di una artigianalità
plastico-scenografica ansiosa -- e sempre magistralmente capace -- di
contemperare l'etereo e il concreto, l'estro visionario e la manualità
destinata a tradurlo in poetica della materia rivisitata e rivivificata. Nell'agone
del postmoderno -- in cui troppo spesso si danno per Arte le più o meno
originali produzioni di qualche talentuoso homo
faber nel migliore dei casi in grado di scendere a patti con materiali variamente
plasmabili ma da ultimo destinati a rimanere inerti, non di rado prigionieri
della loro stessa opaca fisicità -- il nostro può ben dirsi raro modello di
vero Artista: demiurgo indagatore/risolutore di una dualità estetica dove l'infinito (pensiero poetante della natura naturans) e il finito (strumento raffigurante della natura naturata) si integrano ad ogni
passo, anzi indissolubilmente si immedesimano.
Ma a monte di questo suo non comune esito
artistico, a me Alessandro Nastasio lascia indovinare un percorso interiore
ugualmente singolare e in qualche modo emblematico. "L'infinito (chi lo
asserisce e lo insegna è Rabindranath Tagore: il "gran vegliardo"
alla cui autorevolezza di poeta/pensatore/pedagogo non a caso il nostro ha
esplicitamente voluto dedicare un recentissimo tributo personale in veste di
artista/filosofo egli stesso) non è oggetto di rarefatta speculazione
intellettuale, esso è reale e concreto come lo sono la luce e il calore del
sole. In India la maggior parte della
letteratura è di carattere religioso proprio perché Dio, per noi, non è un Dio
lontano: Egli abita giorno e notte le nostre case, tutte le nostre cose
quotidiane, non meno che i nostri templi."
Ebbene, a me pare indizio significativo che, già parecchi anni fa,
Nastasio scegliesse di denominare suggestivamente una sua opera I
Novantanove Nomi di Dio; non saprei dire quanto consapevole fosse allora
il nostro di richiamarsi così, indirettamente, per molte affinità intuitive di
fondo, a quell'illustre poeta orientale Kabir (1400-1517), allievo dell'altrettanto
celebre Ramananda e all'epoca attivissimo mediatore religioso fra induisti,
musulmani e cristiani, i cui Bijak
(Canti) furono tradotti da Tagore perfino in bengali, affinché anche gli
allievi della sua famosa scuola potessero godere della profonda lezione
spirituale che per quel tramite poetico viene trasmessa. In effetti, gli
insegnamenti del Kabir 'ecumenico' sono appassionatamente elogiati e ribaditi da
Tagore nel contesto di "Personality": volume in cui, quattro anni
dopo aver conseguito il Nobel, egli volle compendiare sei delle sue conferenze
più provocatorie ad orientamento psicosociofilosofico, nel complesso concepite
come vademecum di "riflessioni
per l'uomo occidentale".
Ad implicito commento di tanta parte di
pensiero trasfigurato che l'arte di Nastasio sottende (e qui come non
rammentare, fra l'altro, fra il 1982 e il 1998, nell'ambito di una serie di
sculture poi raggruppate sotto il titolo rappresentativo di "Contraddizioni",
alcune proposte quali L'Albero della Vita, La Vita e la Morte allo Specchio, Qualche luce nell'Uomo?, o Spirito
celeste, uomo solare, o ancora Processo di solarizzazione...) mi
piace perciò riprendere per esteso uno dei Bijak
che figurano tra i fondamentali citati da Tagore in quel medesimo libro
suddetto:
Ritmico scocca il battito della vita e della morte:
l'estasi zampilla e tutto lo spazio s'irradia di
luce.
Là si suona musica non suonata, è la musica d'amore
di tre mondi:
Là dove, a milioni, ardono le fiaccole del sole e
della luna;
Là dove il tamburo rimbomba e l'amante si dondola nel
gioco;
Là dove echeggiano canti d'amore e, a scrosci, ne
piove la luce.
D'altra parte, il Nastasio assiduo
frequentatore e intenditore di simbologia di matrice anche diversa da quella
schiettamente biblico-evangelica, mi pare qua e là ispirato anche su quest'altro
versante complementare: a mio personale sentire, fin dal lontano 1977 ne
scaturivano mirabili esemplari di 'poesia concreta' sulla cui recondita allusività
esoterica qui sono indotto a voler riflettere. E penserei in particolare alla
stessa strutturazione scultorea di Preghiera celeste/Alfabeto e Crollo
di un alfabeto: opere entrambe segnatamente connotate da quella certa
simbolica "verticalità spaziale" per Tradizione riconducibile alle alterne
sacre epifanie dello Spirito/Verbo dall'alto verso il basso, e viceversa. Non diverso
torna a presentarsi l'impianto formale di un'altra scultura, datata 1989, Parole
logorate dal tempo, che, ben potendosi idealmente riallacciare alle due
cronologicamente anteriori, in definitiva viene a suggerirmi quanto radicato ed
accorato sia il perdurante cogitare filosofico di Nastasio intorno al
primigenio valore della Parola Divina in rapporto ad un Suo deplorevole
costante processo degenerativo di frantumazione, di desemantizzazione e/o
totale travisamento nella sempre più accomodante, ormai fatua interpretazione
contemporanea del miglior significato del "luminoso/numinoso" vivere
su questo nostro "atomo opaco del male".
Forse in parte stimolato dalla diffusa
plurivocità della mia ultima silloge poetica "Il vero, il bello...l'anello
che non tiene", oggi l'amico Alessandro così sensibilmente mi scrive:
"Carissimo, difficile è capire l'intreccio tra Verità e Bellezza, e tra
ragione e fede. A detta di Agostino, 'la verità abita nell'uomo interiore'. Se
non è pensata, è nulla."
Roberto Vittorio Di Pietro
Torino, settembre 2010
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