Avevo partecipato alla IV Edizione del concorso Lettere a Letizia, con il racconto Un vecchio quadro. A distanza di tempo sono stata contattata dall'Editore Calogero Vitale di Sanremo, perché uno dei premi relativi al concorso consisteva nella stampa gratuita di alcune copie di un quaderno, che avrebbe potuto raccogliere racconti o poesie. Ho deciso di scegliere la silloge, contenuta in venti poesie. Finalmente, dopo una serie di disguidi da parte dell'editore - la silloge avrebbe dovuto arrivarmi per la festa della donna, o almeno per Pasqua - ho oggi ricevuto il pacco contenente i quaderni della mia silloge poetica.
Il concorso è ideato da Onde donneinmovimento;
ha il patrocinio del Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Caltanissetta, del Comune di Caltanissetta, del Consorzio Universitario di Caltanissetta;
è realizzato con il sostegno di: AUSER-Circolo “ Letizia Colajanni, Coordinamento pari opportunità UIL Caltanissetta, Sindacato pensionati SPI- CGIL Caltanissetta, Gruppo di lettura Caltanissetta.
Il titolo della silloge è VAGANDO NELLA NEBBIA, l'immagine di copertina è un disegno da me realizzato appositamente.
La breve prefazione, per presentare le mie 20 composizioni poetiche, è la seguente:
Con gioia condivido questa mia nuova pubblicazione, e vi ripropongo il racconto che ha avuto come risultato il premio sopra descritto.
* O di Piazza
Mirabello a Milano. Anna vive a Roma, e ha raccolto consensi nella sua vita
artistica. Il suo cognome è Melato, come la sorella Mariangela, splendida e
indimenticata attrice, scomparsa l’11 gennaio 2013. Questo racconto è a loro
dedicato, con grande affetto.
Danila Oppio
ha il patrocinio del Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Caltanissetta, del Comune di Caltanissetta, del Consorzio Universitario di Caltanissetta;
è realizzato con il sostegno di: AUSER-Circolo “ Letizia Colajanni, Coordinamento pari opportunità UIL Caltanissetta, Sindacato pensionati SPI- CGIL Caltanissetta, Gruppo di lettura Caltanissetta.
Il titolo della silloge è VAGANDO NELLA NEBBIA, l'immagine di copertina è un disegno da me realizzato appositamente.
La breve prefazione, per presentare le mie 20 composizioni poetiche, è la seguente:
Con gioia condivido questa mia nuova pubblicazione, e vi ripropongo il racconto che ha avuto come risultato il premio sopra descritto.
Un vecchio
quadro
Un quadro.
Ecco cosa mancava sulla parete bianca, di una vita
ormai agli sgoccioli. Nel quadro era inserita una vecchia fotografia di quella
piazzetta, dal nome poco indicato per la grande metropoli di Milano: Mirabello.
Chissà cosa c’è di bello da mirare, non lo so. E’ una piazza come tutte le
altre, qualche albero striminzito, nel centro poche aiole e un vialetto che le
taglia in mezzo. Qualche panchina per le persone anziane, e per noi giovani,
che ci sedevamo a suonare la chitarra.
E’ un bel quadro, ma in bianco e nero, perché i
colori si sono sbiaditi col tempo. Però ricordo, anche se ero un personaggio
non dipinto nel quadro, che stavo lì a guardare, partecipavo in disparte.
Osservavo.
Sulla piazza si affaccia un bar, avrà anche avuto
un nome, ma noi lo chiamavamo “Dall’Oreste”. Era il nome del proprietario, un
omone grosso e buono come una pagnotta. Si trattava di un bar senza pretese,
non come quelli attuali, che curano l’arredamento, e preparano sfiziosi panini o
drink. Se volevi riempire lo stomaco, pane e salame erano sempre a
disposizione, come un toast farcito. Se volevi bere, non mancava nulla di quel
che c’era, dai superalcolici all’aranciata, ai caffè e cappuccini con brioche
sempre fresche. Il locale era grande, a
me pareva immenso: nel centro, due grandi tavoli da biliardo, in fondo,
addossati alla parete, alcuni jukebox. Dei vecchi tavolini di legno e sedie,
non proprio accoglienti, erano il resto dell’arredamento, oltre al banco del
bar.
Pur essendo un locale così scalcagnato, era molto
frequentato, da gente di ogni età e ceto sociale. Poco distante da quel bar, si
trova “El Tombon de San Marc”, locale frequentato fin dall’ottocento dagli
artisti squattrinati, pittori che pagavano la consumazione a suon di quadri e,
un po’ più in là, all’angolo di Via Brera, c’è il Jamaica, altro bar
frequentato dai soliti noti, studenti dell’Accademia, pittori, musicisti, e quegli scatenati che organizzavano gli
scioperi del famoso “68.
Nel quartiere Brera, quelli erano i locali
maggiormente frequentati ma, dall’Oreste, era un mondo tutto particolare.
La sera, ci si trovava per decidere dove andare, se
al cinema o a ballare in qualche discoteca. Discutendo le varie proposte,
riuscivamo a tirare così tardi, che alla fine non si andava da nessuna parte.
Allora si giocava a boccette –io con la stecca non ci andavo d’accordo – e se
riuscivo a fare filotto – saltavo come una matta, dando pacche sulle spalle a
destra e a manca.
Alcune sere, però, i tavoli da biliardo erano
intoccabili: arrivavano i fratelli Somaré, con Patrizia, non ho mai capito se
fosse fidanzata con Sandro o con Guido, erano sempre insieme come i tre
moschettieri! Patrizia era la figlia di Tonino, e nipote di Alberto Ascari, i
campioni di automobilismo. I due fratelli, entrambi pittori, (Guido era
definito il pittore del Jamaica), erano
più grandi di noi ragazzi di almeno una ventina d’anni, e ci toccava soccombere alla loro arroganza, sentendosi
importanti per essere figli di Enrico, celebre storico e critico della Pittura
Italiana dell’ '800 e, per parte di madre, nipoti di Cesare e Guido Tallone,
protagonisti della Scapigliatura e della Ritrattistica lombarda, a cavallo fra
‘800 e ‘900" sono stati testimoni di un’epoca fin dagli anni ’50. Hanno
partecipato in prima persona al clima culturale che in quel periodo aveva il
proprio centro attorno al leggendario “Bar Jamaica” e all’altrettanto celebre
Galleria Milano, fondata per altro dagli stessi artisti nel 1964 assieme a
Gianni Dova, Aldo Bergolli e Mario Rossello. Ma
noi poco e nulla sapevamo allora di tutto questo.
La maggior soddisfazione avveniva quando Victor e
Maurizio entravano nel bar, e con nonchalance dicevano ai moschettieri di
smammare! Che soddisfazione vedere quei tipi con la puzza sotto il naso, e
sacramentando nel classico birignao milanese, allontanarsi con la coda tra le
gambe! Ma Victor e Maurizio non erano persone qualsiasi, erano quelli
dell’Equipe 84 e nostri buoni amici. Fingevano di voler giocare una partita, e
poi ci cedevano il biliardo!
In quel bar entrava, di tanto in tanto, Mariangela,
che abitava con i genitori al piano di sopra, s’intratteneva con la sorella
Anna, poi andava in teatro per le prove della commedia ‘L’inserzione” di
Natalia Ginzburg. Mariangela aveva già quella voce profonda, da gran fumatrice
senza aver mai fumato in vita sua. Anna
invece suonava la chitarra, componeva qualche canzone, ma aveva solo
diciassette anni e due occhi verdi enormi, da far invidia a un ranocchio! Era
molto carina e mia buona amica. Dopo che le sorelle Melato si furono stabilite
definitivamente a Roma, ho sempre fatto visita alla loro mamma Lina, fino a
qualche anno prima della sua morte.
Ma questo fa parte della cornice del quadro.
Dentro quel bar, non mancava mai Piper – non
chiedetemi il suo vero nome, forse non l’ho mai saputo, un ragazzetto alto e
secco, sempre insieme alla sua Ornella, che lo seguiva come un’ombra. Piper,
così soprannominato perché fanatico di quella discoteca dove una certa Patty
Pravo cantava quasi tutte le sere, purtroppo aveva un problema: fumava. Ma non
Marlboro o Lucky Strike, fumava spinelli, e sempre di più, per cui era
schizzato come non pochi! Passava da uno
stato di euforia, a quello colmo di nervosismo, e non sapevi mai quando era di
luna buona. E’ scomparso anni fa, a soli trentanove anni. Aveva smesso di
fumare, messo la testa a posto e sposato la sua Ornella che gli era a fianco fin da ragazzini.
Ma anche
questo, fa parte della cornice del quadro.
Franco si sedeva accanto ad Anna e me, sulla
panchina del giardinetto, e suonavano la chitarra in perfetto sincronismo,
cantando canzoni di Fabrizio De Andrè. Franco aveva una voce profonda, stile
Elvis Presley, per intenderci, malgrado i suoi soli 16 anni. Suo fratello
Massimo, invece, era già al secondo anno nella facoltà di “non ricordo più”, ma
faticava a studiare. Non aveva problemi a dirci che andava avanti ad anfetamine
e altre stupefacenti cose! Sosteneva che era l’unico modo per riuscire a
studiare e passare almeno un esame. Ma
mi hanno detto che erano tutte palle, giusto per darsi un tono.
Ma anche questo fa parte della cornice del quadro.
Arrivava, nel pomeriggio del sabato o della
domenica, un gruppo di ragazzi “bene”, allora si usava definire così quei figli
di papà cui non mancava nulla: auto sportive di grossa cilindrata, abiti
firmati, soldi in tasca, e una spocchia da far spavento. Con aria annoiata, di
quelli cui basta un gesto per avere tutto, come quella pubblicità di un profumo
maschile “per l’uomo che non deve chiedere mai”. Si sedevano al nostro tavolo,
senza domandare se disturbavano, e chiedevano: che vogliamo fare stasera?
Volete venire con noi a una festa? E poi si guardavano con sguardi d’intesa,
certi di ottenere consensi: futuri giornalisti, futuri notai, futuri
avvocati…attuali e futuri rompiballe!
Anna, Ornella, Loredana ed io li guardavamo di
sottecchi e poi rispondevamo loro di non scocciare, che avevamo meglio da fare
che perdere tempo con gente noiosa come loro! Credevano di far colpo con le
loro auto di lusso, e tutto il resto? Oddio, erano anche dei bei ragazzi, su
questo non ci pioveva, ma sapevamo che erano quelli che allungavano le mani, e
che cambiavano ragazza con la stessa frequenza con cui cambiavano i calzini! E
noi non intendevamo essere prese in giro da quei cascamorti!
Michele, notaio affermato, è stato colpito da
infarto a cinquant’anni, dopo aver giocato a calcetto con gli amici. La figlia
Federica, che gli somigliava come una goccia d’acqua, disperata per la morte
del padre, ha accettato l’invito di un amico di famiglia, che l’ha portata col
suo aereo privato in Amazzonia, per distrarla un po’. Sono precipitati. Lei
aveva solo ventotto anni, ed erano trascorsi pochi mesi dalla morte del padre.
E anche questo fa parte della cornice del quadro.
C’era un ragazzo, Alberto, che quando mi vedeva,
s’illuminava d’immenso. A diciott’anni ero magra e bionda, e in un certo qual
modo potevo rassomigliare a Nicoletta Strambelli, per la quale, come tutti i
ragazzi dell’epoca, andava pazzo. Già da lontano lo sentivo gridare: sta
arrivando Patty Pravo! Ed infatti, a
bordo del mio Ciao, stavo per
raggiungere il bar.
Non volevo storie con nessuno, mi piaceva la
compagnia di tutti, stavo bene con le mie amiche e con i loro amici, mi piaceva
incontrare qualche pittore di una certa notorietà, come Gianni Dova, o Franco
Pedrina, lo scultore Luciano Minguzzi, i fratelli Somaré e altri ancora, noti o
ancora sconosciuti. E qualche cantante, come quelli dell’Equipe 84, ma
preferivo Anna, che aveva davanti una bella carriera non solo in campo
musicale.
Una sera, un ragazzo di colore era seduto a un
tavolo del bar, e piangeva come una fontana. Gli abbiamo chiesto cosa fosse
successo, all’epoca non c’erano vu cumpra’, o gli extracomunitari. Se a Milano
s’incontravano stranieri, di norma erano regolari. Ci ha spiegato che aveva
scoperto di essere stato adottato, da genitori italiani, bianchi! Ma ragazzo
mio, avresti dovuto saperlo che non era possibile tu fossi uscito nero, da
una coppia di genitori bianchi!
L’ingenuità di quel ragazzo ci ha intenerito e gli abbiamo spiegato che se è
stato desiderato dai suoi genitori adottivi, è sicuramente amato quanto un
figlio generato naturalmente.
I giorni trascorrevano felici, dall’Oreste, le
amicizie si rinsaldavano, ma io non ero dentro quel quadro: non ho mai
veramente legato con qualcuno in particolare: stavo in mezzo a loro,
condividevo musica, discorsi, uscite, passeggiate, film e concerti, ma era come
se fungessi da spettatore. Quella vita non mi apparteneva, io ne avevo
un’altra. Il bar di Oreste non esiste più, morto il gestore, morì per inedia
anche quel simpatico locale.
Anch’io facevo parte della cornice del quadro.
Il quadro è talmente sbiadito, che penso di
conservare la cornice, per inserirvi altri momenti, mentre la foto di gruppo la
porto in soffitta, tra le ragnatele dei ricordi. E scendo di sotto,
Quanta biancheria da stirare! Accendo la radio
perché mi faccia compagnia. Ne sgorga una ballata di De André ed è subito
flashback! Vedo Franco e Anna, seduti su di una panchina di Piazza Mirabello.
Suonano la chitarra e stanno eseguendo proprio questa canzone. La voce del
ragazzo è profonda e, in barba ai suoi soli diciassette anni – gli stessi di
Anna – ricorda quella di Fabrizio.
All’ombra
dell’ultimo sole
S’ era
assopito un pescatore…
La memoria torna indietro come un boomerang, di
decine d’anni. Era il ’68, tempo di contestazioni giovanili, e non solo. I miei
amici suonavano bene, avevano una bella voce, un vero piacere ascoltarli.
E aveva un
solco lungo il viso
Come una
specie di sorriso
Molti rimpiangono la gioventù passata, come
avessero perso qualcosa che non si può recuperare, con nostalgica malinconia.
Io no. Sono felice di avere gli anni che ho, e una vita vissuta pienamente. A
quell’età post-adolescenziale si hanno idee fumose, progetti a volte assurdi e
tanta, tanta paura del futuro.
Ci si chiede: come sarà? Sarò felice? Si sbobinano
film mentali a volte cupi, oppure surreali. Ipotizziamo la vita che si dipanerà
davanti a noi, simile a una strada che ci condurrà in nessun posto o colma di
sogni irrealizzabili.
Venne alla
spiaggia un assassino
Due occhi
grandi da bambino
Il futuro potrebbe anche rivelarsi un assassino che
uccide i nostri sogni giovanili. Quegli occhi grandi da bambino si potrebbero
spalancare su un orizzonte sereno, su panorami di straordinaria bellezza…perché
no?
Due occhi
enormi di paura
Erano gli
specchi di un’avventura
Giusto, la vita è un’avventura, dalla nascita,
ciascun giorno della nostra esistenza potrebbe essere vissuto passivamente,
oppure affrontato con grinta ed entusiasmo. Basta volerlo! Resta comunque
un’affascinante incognita.
E chiese al
vecchio dammi il pane
Ho poco
tempo e troppa fame
E chiese al
vecchio dammi il vino
Ho sete e
sono un assassino
Anche noi ci trasformiamo in assassini, se
sciupiamo il nostro tempo in gesti parole e pensieri che non hanno un fine
utile né a noi, né agli altri. Non occorre uccidere qualcuno per macchiarsi di
gravi pecche, è sufficiente gettare alle ortiche i giorni. Giorni che rendiamo
vuoti, come una lattina di birra bevuta d’un fiato e lanciata tra i rifiuti. A
volte penso di aver buttato via troppo tempo, da giovane. E allora perché una
canzone non mi porta a ricordare, come i migliori anni, quelli della mia
giovinezza, ma mi fa riflettere sul presente? Perché si deve forzatamente
credere che gli anni migliori fossero quelli in cui avevamo pochi anni e poca
esperienza? De André continua:
Gli occhi
dischiuse il vecchio al giorno
Non si
guardò neppure intorno
Ma versò il
vino e spezzò il pane
Per chi
diceva ho sete e ho fame
E brava Anna! Ha scelto una canzone che, pur in
tempi di rivoluzione culturale, contiene un ottimo insegnamento. Non fermiamoci
in superficie, scaviamo ne profondo: qual è la primaria necessità dell’uomo?
Vivere!
E fu il
calore di un momento
Poi via di
nuovo verso il vento
Davanti agli
occhi ancora il sole
Dietro alle
spalle un pescatore
Ho vissuto, il pescatore rappresenta la mia vita
trascorsa, il sole deve ancora tramontare davanti ai miei occhi. Gli anni
migliori della mia vita sono questi che sto vivendo. Ma se lo avessi dovuto
dichiarare decine d’anni fa, avrei asserito lo stesso concetto. E’ l’attimo
presente la parte migliore della nostra vita.
Dietro alle
spalle un pescatore
E la memoria
è già dolore
E’ già il
rimpianto d’un aprile
Giocato
all’ombra di un cortile.*
E all’ombra dei ricordi, cavolini di Bruxelles,
sono riuscita a bruciacchiare la camicia che stavo stirando!
Bel racconto e bei ricordi e, come giustamente dici, la vita è preziosa in ogni età!
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