Il genere del serio-comico e il
carnevale alle origini del romanzo polifonico europeo[1]
Ritratto del 1872 ad opera di Vasilij Perov (Galleria Tret'jakov, Mosca)
Polifonia e romanzo polifonico.
Per polifonia si intende la pluralità delle voci e delle coscienze
indipendenti e disgiunte che, pur conservando la propria inconfondibile
individualità, si uniscono nell’unità di un certo evento.
Dostoevskij
è il creatore del romanzo polifonico, in cui gli eroi principali sono
veramente, nello stesso disegno creativo dell’artista, non soltanto oggetti
della parola dell’autore, ma anche soggetti della propria parola immediatamente
significante. La parola dell’eroe su se stesso e sul mondo è pienamente
autonoma come lo è l’ordinaria parola dell’autore; essa non è assoggettata
all’immagine oggettiva dell’eroe come una delle sue caratteristiche, ma neppure
serve da altoparlante della voce dell’autore. Possiede un’autonomia assoluta
all’interno della struttura dell’opera, quasi risuona accanto a quella
dell’autore e si unisce in un modo particolare con essa e con le voci
altrettanto autonome degli altri eroi.
Ne
consegue che tutti gli elementi della struttura del romanzo sono in Dostoevskij
profondamente originali. Essi sono tutti determinati dal nuovo compito
artistico che soltanto questo scrittore ha saputo porre e risolvere in tutta la
sua ampiezza e profondità: il compito di costruire un mondo polifonico e di
distruggere le forme costituite del romanzo europeo fondamentalmente
monologico.
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All’inizio
dell’antichità classica, e poi nell’età ellenistica, si formano e si sviluppano
numerosi generi, esteriormente piuttosto differenti, ma legati da intima
affinità e costituenti perciò un settore particolare della letteratura, che gli
stessi antichi chiamarono con il nome di spoudogšlaion (spoudoghélaion),
cioè il settore del “serio-comico”.
I
generi del serio-comico sono uniti dal profondo legame con il folclore
carnevalesco. Essi sono tutti permeati in vario grado da uno specifico sentimento
carnevalesco del mondo e alcuni di essi sono direttamente varianti
letterarie dei generi orali folclorico-carnevaleschi. Il sentimento
carnevalesco del mondo possiede una potente forza vivificante di trasformazione
e di vitalità indistruttibile. Chiameremo letteratura carnevalizzata la
letteratura che ha risentito – in modo diretto o indiretto, attraverso una
serie di anelli di mediazione – dell’influsso di certe forme di folclore
carnevalesco (antico o medievale). Tutta la sfera del serio-comico è il primo
esempio di tale letteratura.
Particolarità
dei generi del serio-comico:
1)
Nuovo rapporto verso la realtà: il
punto di partenza della comprensione, valutazione e formulazione della realtà è
costituito dalla viva, spesso addirittura scottante contemporaneità. Per
la prima volta nella letteratura antica l’oggetto della rappresentazione seria
è dato senza alcuna distanza epica o tragica, è dato non nel passato assoluto
del mito e della leggenda, ma al livello della contemporaneità.
2)
I generi del serio-comico non si
fondano sulla tradizione e non si fanno consacrare da essa; essi si
fondano coscientemente sulla esperienza e sulla libera
invenzione: il loro rapporto con la tradizione è nella maggior parte dei
casi profondamente critico, e a volte cinico-smascheratorio.
3)
Voluta pluralità di stili e di voci:
rifiuto dell’unità stilistica dell’epopea, della tragedia, dell’alta retorica,
della lirica. La pluralità di toni del racconto, la mescolanza di sublime e
infimo, di serio e di ridicolo, si servono di altri generi inseriti in maniera
incidentale: lettere, manoscritti ritrovati, dialoghi riferiti, parodie di
generi sublimi, citazioni parodisticamente interpretate, ecc...
Il genere romanzesco ha tre radici
fondamentali: epica, retorica e carnevalesca. A seconda della preponderanza di
una di queste tre radici si formano tre linee di sviluppo del romanzo europeo:
epica, retorica e carnevalesca. Nel campo del serio-comico sono da ricercare i
punti di partenza dello sviluppo delle varietà della terza.
Per
la formazione di quest’ultima linea di sviluppo del romanzo o “linea
dialogica”, un’importanza determinante hanno due generi del settore
serio-comico: il dialogo socratico e la satira menippea.
Statua di Socrate
Caratteristiche del
dialogo socratico:
1)
Alla base è l’idea socratica della
natura dialogica della verità e dell’umana riflessione su di essa. Il metodo
dialogico di ricerca della verità si contrapponeva al monologismo ufficiale,
che rivendicava il possesso di una verità bell’è pronta: si contrapponeva alla
ingenua presunzione di quegli uomini che credono di sapere con certezza qualcosa: di essere, cioè, gli assoluti depositari
di determinate verità. La verità nasce tra uomini che insieme cercano la
verità, nel processo stesso della loro comunione e del loro confronto in
termini dialogici.
2)
Due i procedimenti fondamentali del
dialogo socratico:
a. sincrisi:
confronto di differenti punti di vista su una determinata materia
b. anacrisi:
metodi atti a suscitare e provocare le parole dell’interlocutore, per
costringerlo ad esprimere il suo pensiero fino in fondo.
La
sincrisi e l’anacrisi dialogizzano il pensiero, lo portano all’esterno, lo
trasformano in replica, lo associano alla migliore capacità dialettica tra gli
uomini. Ambedue questi procedimenti costituiscono la cosiddetta maieutica socratica e rispecchiano la
convinzione del filosofo circa il naturale fondamento dialettico di ogni
verità.
3)
Personaggi del dialogo socratico sono gli
ideologi. Anche lo spunto tematico che si sviluppa nel corso del d.s. è un
avvenimento eminentemente ideologico, di ricerca e verifica progressiva della
verità in esame
4)
Accanto all’anacrisi si impone a volte,
ai fini della provocazione mediante la parola, anche la situazione d’intreccio
del dialogo, ovvero la tendenza a creare una situazione eccezionale, che sia in grado di purificare la parola da
qualsiasi radicato preconcetto e costringere gli interlocutori a scoprire gli
strati più profondi della propria personalità e del proprio pensiero. Si può
già parlare di un particolare tipo di “dialogo sulla soglia estrema” (Schwellendialog), largamente diffuso
nella letteratura ellenistica e romana, come in quella del Medioevo, del
Rinascimento e dell’epoca della Riforma.
5)
L’idea nel “dialogo socratico” si lega
organicamente con l’immagine dell’uomo che ne è il portatore. La
sperimentazione dialogica dell’idea è nel contempo anche sperimentazione
dell’uomo che la rappresenta. Si può quindi parlare di una raffigurazione
discorsiva dell’idea, che tuttavia ha ancora carattere sincretistico.
Menippo in un dipinto di Diego Velázquez
Caratteristiche della satira menippea:
1)
Aumenta il significato dell’elemento
comico
2)
Si libera pienamente delle limitazioni storico-memorialistiche
che erano ancora proprie del dialogo socratico, è caratterizzata dalla
eccezionale libertà di invenzione narrativa e filosofica.
3)
La più audace e sfrenata fantasia è qui
interamente motivata, giustificata, illuminata da un fine puramente
filosofico-ideale: quello di creare situazioni
eccezionali e tuttavia non gratuite, solo in apparenza bizzarre, rigorosamente
intese a provocare e sperimentare l’idea-parola filosofica -- la Verità da
voler conseguire -- impersonata nella figura del saggio che cerca di
approssimarsi onestamente ed obiettivamente al nucleo più veritiero di
qualsiasi determinata argomentazione.
4)
Organico combinarsi di libera fantasia,
di simbolismo, e a volte di elementi mistico-religiosi, sotto forma di un
naturalismo estremo non di rado grottesco e addirittura sordido.
5)
L’audacia dell’invenzione e della
fantasia si combina, nella menippea, con un eccezionale universalismo
filosofico e con una concezione del mondo estremamente caratterizzata. La
menippea è il genere delle questioni e posizioni filosofiche ultime. La menippea
si sforza di approdare quasi alle parole ultime, determinanti, e agli atti
ultimi decisivi anch’essi per l’uomo, in ciascuno dei quali si compendia tutta
la vita umana nella sua interezza.
6)
La relazione con l’universalismo
filosofico si manifesta in una struttura tripartita: l’azione e la sincrisi
dialogiche spaziano passando dalle preoccupazioni terrene, a quelle degli dei
dell’Olimpo e dei trapassati nell’Ade.
7)
Osservazione da un punto di vista inconsueto, ad esempio dall’alto, in modo tale che i
fenomeni della vita assumano di colpo
proporzioni diverse da quelle abituali
8)
Sperimentazione psicologico-morale: raffigurazione
di stati psichici ed etici anomali, quali la follia umana di qualsiasi tipo, lo
sdoppiamento della personalità, la sfrenata fantasticheria, i sogni strani e le
allucinazioni, le passioni umane vissute ai limiti della demenza, ecc...
9)
Caratteristiche sono le scene di scandali, di
comportamento eccentrico, di discorsi e interventi inopportuni, cioè di ogni
specie di violazione di codici etico-morali generalmente approvati e regolarmente
rispettati nella convivenza quotidiana, delle norme stabilite di comportamento
e di etichetta, di comunicazione
attraverso il linguaggio.
10)
Fra bruschi contrasti e stridenti
combinazioni, si ama giocare con improvvisi trapassi e imprevedibili mutamenti:
con alti e bassi, slanci e cadute, frequenti accostamenti di ciò che è lontano
e separato.
11)
Elementi di utopia sociale che sono introdotti sotto forma di visioni oniriche,
viaggi sulla luna o in paesi sconosciuti.
12)
Largo uso di “generi” fra loro
eterogenei: stralci di novelle, lettere, orazioni, opere di taglio teatrale
ecc.; libera commistione di prosa formalmente ”lirica” e versificazione di
tematiche “prosastiche”, o addirittura “impoetiche” rispetto a specifici
criteri convenzionali.
13)
Pluralità di stili e di toni: instaurando un nuovo rapporto verso la parola come
materiale letterario, si pone una pietra miliare per tutta la futura linea
dialogica nell’ambito della prosa e della poesia.
14)
Carattere pubblicistico di attualità. E’ una
specie di genere giornalistico che, fin dall’antichità, mostra uno spiccato
interesse verso i fatti di cronaca e gli avvenimenti sociopolitici del giorno.
Il
carnevale e la carnevalizzazione della letteratura
Il
carnevale non è naturalmente un fenomeno letterario, ma una forma di spettacolo
sincretistica di carattere rituale; esso ha elaborato tutto un linguaggio di
forme simboliche concretamente percepibili. Questo linguaggio, essendo per
l’appunto simbolico, non può essere mai completamente, adeguatamente ed
esaurientemente spiegato attraverso la parola comune, ma consente una certa
concreta trasposizione nel linguaggio ad esso più affine: quello delle immagini
raffigurative, ovvero del linguaggio artistico-letterario per eccellenza. Questa
trasposizione si definisce carnevalizzazione.
Definizione
e caratteri del carnevale. Il carnevale è uno spettacolo senza
ribalta e senza divisione in attori e spettatori. Nel carnevale tutti i
partecipanti sono ugualmente attivi; il carnevale non si contempla e non si
recita, lo si vive secondo le sue leggi; e finché queste leggi si mantengono in
vigore, il vivere si fa carnevalesco: cioè un vivere sottratto al suo
normale binario, una “vita all’incontrario”, un “mondo alla rovescia, a testa
in giù”.
1. Viene a cadere qualsiasi distanza
fisica, estetica, sociale e culturale tra gli individui; si instaura un contatto interpersonale eccezionalmente libero
in ogni senso, basato sull’improvvisa scomparsa di quelle barriere gerarchiche che
nella vita normale sono invalicabili. Questa categoria del “contatto
assoluto” si riflette anche nella tipica
organizzazione delle manifestazioni di massa e di piazza, dove imperano il
libero movimento costante, la danza sfrenata, il canto, il rumore nonché -
soprattutto - una totale libertà di parola resa provvisoriamente possibile
dall’episodio carnevalesco.
2. Viene elaborato un nuovo modo di
rapportarsi tra gli esseri umani, in contrapposizione ai costrittivi rapporti
gerarchico-sociali tipici della vita extra-carnevalesca. Il comportamento, il
gesto, e la parola così affrancati divengono istintivamente eccentrici,
inopportuni e persino scandalosi dal punto di vista della logica della normale
vita extracarnevalesca. L’eccentricità è, infatti, una categoria fondamentale
del senso carnevalesco del mondo.
3. Altra categoria sono le mésalliances
carnevalesche: il rapporto libero e familiare si effonde senza limiti,
abbracciando valori, pensieri, fenomeni e cose. Nelle combinazioni
carnevalesche entra in contatto e si confonde tutto ciò che la concezione del
mondo gerarchica extracarnevalesca teneva isolato, separato, nettamente diviso.
4. Non vi resta estranea nemmeno la
voglia di profanazione: di qui gli
svariati “sacrilegi” carnevaleschi, tutto il sistema di esibizioni provocatorie
spesso legate al sesso, alla fertilità, alla forza generativa e produttiva, le urlate
oscenità, le audaci parodie dei testi e
delle opere sacre, e così via.
Le
azioni carnevalesche
1. La burlesca incoronazione
e successiva scoronazione del re del carnevale: alla base di questo atto
rituale è il nucleo stesso del senso carnevalesco del mondo, il pathos delle sostituzioni e dei
mutamenti, della morte e del rinnovamento. Il carnevale è la festa del tempo
che tutto distrugge e tutto rinnova.
L’incoronazione-scoronazione
è un rito bivalente, che esprime al tempo stesso l’inevitabilità e l’imprevedibilità insite nel fenomeno di
avvicendamento-rinnovamento: la gaia relatività di qualsiasi regime e ordine,
di qualsiasi potere e posizione gerarchica. Nell’incoronazione è già contenuta
l’idea dell’imminente scoronazione: essa è un inizio dell’ambivalente.
Nella fase di
scoronazione si mostra con particolare evidenza il pathos carnevalesco degli avvicendamenti e dei rinnovamenti,
l’immagine ambigua della morte creatrice. Questa fase del rito è stata forse maggiormente
ripresa ed elaborata in letteratura. Il rituale carnevalesco della
incoronazione-scoronazione ha in effetti determinato un particolare tipo di
costruzione delle immagini artistiche e di intere opere d’arte, in cui al
momento “negativo” della scoronazione dell’eroe viene attribuito uno spiccato
carattere bivalente.
2. Natura
ambivalente delle immagini carnevalesche. Tutte le immagini del carnevale
sono uniche e duplici al tempo stesso, unendo in sé i due poli di
avvicendamento della crisi: nascita e morte, benedizione e maledizione, lode e
ingiuria, gioventù e vecchiaia, ecc... Caratteristici sono l’uso di figure accoppiate,
scelte per contrasto o per somiglianza, l’uso degli oggetti alla rovescia.
Principali immagini
ambivalenti nel carnevale:
a.
fuoco, che
contemporaneamente distrugge e rinnova il mondo
b.
riso, legato ad
antichissime forme di riso rituale, rivolto verso qualcosa di superiore e
legate alla morte e alla resurrezione, all’atto della riproduzione, ai simboli
della vita riproduttiva. Il riso carnevalesco è anch’esso diretto verso l’alto,
all’avvicendamento dei poteri e delle verità, degli ordinamenti del mondo. Esso
invade e comprende ambedue i poli dell’avvicendamento, la stessa crisi.
Nell’atto del riso carnevalesco si uniscono morte e resurrezione, negazione e
affermazione.
c.
parodia:
è un elemento fondante di tutti i generi carnevalizzati, è la creazione di un
sosia scoronizzante, è sempre “mondo alla rovescia”. I sosia parodianti
divengono un fenomeno abbastanza frequente anche nella letteratura
carnevalizzata successiva a quella antica. (Cfr. Cervantes e non solo per il
suo Don Chisciotte, Erasmo, Rabelais e lo stesso Dostoevskij.)
3. La piazza. Costituisce, insieme alle vie adiacenti, la scena
principale delle azioni carnevalesche.
Idealmente il Carnevale nasce per abbracciare tutto quanto il popolo; è
il momento universalizzante per antonomasia, al quale tutti sono
indistintamente invitati a partecipare. E la piazza è il simbolo di questo tipo di universalità popolare.
Nella letteratura carnevalizzata il
significato della piazza, come luogo in cui si svolge l’azione, diventa
bipolare: attraverso la piazza reale
è come se si intravedesse la piazza
carnevalesca del libero contatto e delle coronazioni-scoronazioni popolari.
Carnevale e carnevalesco nel corso dei secoli
Le feste di tipo
carnevalesco ebbero un posto di enorme importanza nella vita delle più vaste
masse popolari dell’antichità, sia greca che latina, in
cui la festività principale di carattere carnevalesco erano i saturnali. In quest’epoca tutto il
settore artistico del serio-comico subì il processo della carnevalizzazione.
Nel Medioevo
la vastissima letteratura comica e parodistica nelle lingue nazionali e in
latino in un modo o nell’altro era legata alle feste di tipo carnevalesco: si
può dire che l’uomo medievale vivesse due
vite: una ufficiale, monoliticamente seria e accigliata, sottomessa a un
rigoroso ordine gerarchico, piena di paura, dogmatismo, devozione e pietà, e
un’altra carnevalesca, di piazza: straripante di riso sfrenato, di sacrilegi,
profanazioni, degradazioni e oscenità, di intimo contatto familiare con tutto e
con tutti.
Nel Rinascimento
l’elemento carnevalesco contribuì ad abbattere molte barriere penetrando in
molti ambiti della filosofia esistenziale, intaccando per molti aspetti la
concezione della vita stessa come ufficialmente accreditata. E soprattutto si impadronì di quasi tutti i
generi della letteratura e li trasformò in maniera sostanziale. Si ebbe, in
effetti, una profonda e compatta carnevalizzazione di tutta la letteratura
propriamente artistica; ma Il Rinascimento può dirsi l’apice della “vita
carnevalesca” in senso lato.
A partire dal XVII
secolo il carnevalesco perde quasi del tutto la sua popolarità: il suo
valore liberatorio nella vita vissuta diminuisce nettamente, le sue forme
rituali si impoveriscono. Già nel tardo Rinascimento comincia a svilupparsi una
“cultura cortigiana” di “balli in maschera”: un gusto per le feste in costume e
simili intrattenimenti definibili piuttosto come “mascherate di élite”, ormai avulse dalla base popolare
e dalla piazza.
Mutò quindi anche il
carattere della carnevalizzazione della letteratura. Fino alla metà del XVII
secolo il popolo era direttamente coinvolto nelle manifestazioni carnevalesche e si rendeva
pertanto ”filosoficamente” partecipe del senso carnevalesco del mondo; la
carnevalizzazione aveva quindi un carattere ”vitalistico” immediato, la sua
fonte di ispirazione essendo il carnevale stesso, in tutte le sue concrete
sfaccettature. Essa inoltre offriva un orientamento estetico-formale, cioè
determinava non soltanto il contenuto, ma le scelte stesse del genere
stilistico dell’opera. Sicché, dopo la metà del XVII secolo, la carnevalizzazione artistica per
ispirazione diretta e autentica cede il passo all’influsso di una letteratura
carnevalizzata di seconda mano, già acquisita in epoche anteriori. Di conseguenza la carnevalizzazione viene a
configurarsi come un sedimento residuale, un succedaneo di matrice puramente
letteraria.
Il carnevalesco nel dialogo socratico e nella
satira menippea
Nel dialogo
socratico i dibattiti carnevalesco-popolari sugli argomenti precipui della
vita e della morte, della tenebra e della luce, della nascita e della
rinascita, ovvero tutti quelli contrassegnati dal pathos degli avvicendamenti esistenziali, al quale voler opporre una certa gaia
relatività capace di indurre il pensiero a non arrestarsi, né tanto meno a cristallizzarsi
sussiegosamente intorno a stereotipi e preconcetti unilaterali, stanno alla
base del nucleo originario di questo genere. L’ironia socratica non è che il
riso carnevalesco opportunamente attenuato. Carattere carnevalesco ha anche la
figura di Socrate (unione ambigua di bellezza interiore e di bruttezza fisica).
Nella satira
menippea la natura carnevalesca è ancora più evidente, in particolare nel
trattamento carnevalesco dei tre piani della menippea: l’Olimpo, la terra e
l’oltretomba. (Cfr. soprattutto il “mondo infero” che livellava i rappresentanti
di tutte le gerarchie terrene, e in cui
si trovava realizzata appieno la logica carnevalesca del mondo
rovesciato “a testa in giù”). La carnevalizzazione
inoltre permetteva di trasferire le questioni ultime dalle astrazioni
filosofiche al piano concreto-sensibile mediante il proliferare di situazioni narrative
immaginosamente cariche di un vitalismo viscerale ovunque palpabile, e perciò
tanto più incisive, cogenti e accattivanti.
Michail Bachtin
Considerazioni conclusive:
Nello sviluppo
ulteriore della letteratura europea, e non solo, la carnevalizzazione ha consentito – e, in epoca postmoderna,
tuttora consente -- di aggirare felicemente ogni artefatta distinzione tra i
generi, di superare gli schematismi dogmatici nelle scelte stilistiche e
lessicali, di sconfiggere ogni chiusura arbitraria nei confronti dell’umana
creatività, specie quella che saggiamente propugni il concetto di arte per la vita. Ad onta di ogni strumento
espressivo inutilmente vincolante ove non meglio ponderato e giustificabile, ha
avvicinato ciò che era assurdamente lontano, ha unito ciò che era ingiustamente
separato. In questo consiste la grande e duratura lezione della
carnevalizzazione nella storia della letteratura mondiale.
*§*§*§*§*
[1]
Liberamente tratto da Michail Bachtin, Dostoevskij, Torino, 1968 e 2002,
pp.139-79.
Roberto Vittorio Di Pietro
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