Di Angela Fabbri
Il 3 giugno
1977 partii per il mio personale Far West. 384 Km di treno, una città
sconosciuta, imparare un mestiere di cui nessuno dalle mie parti sapeva nulla
(1), e chi avrei incontrato? E ce l’avrei fatta?
E’ triste
dirlo perché alla fine del corso il Capo della Ditta presso cui l’avevo
frequentato, mi comunicò l’esito: talvolta avevo intuizioni geniali e talaltra
sembravo non capire nulla.
Tuttavia mi
tenne, come altri, a lavorare a cottimo, eravamo cioè pagati a riga di
programma e se si considera che allora non esistevano i videoterminali, che un
programma si scriveva a mano in stampatello, riga per riga, rispettando
l’ordine numerato delle colonne, su fogli appositi che poi venivano perforati
su schede da apposite signorine la cui qualifica era appunto ‘perforatrici’
(avevano cioè lo stesso nome delle macchine su cui lavoravano), le schede
caricate sul primo elaboratore disponibile, corretti gli errori da noi perforando
nuove schede ognuna delle quali sostituiva una o più righe del programma, che
poi andava di nuovo caricato sul primo computer disponibile e eseguito per
vedere se funzionava, si capisce forse che il risultato era molto lontano
(programma funzionante = guadagno).
Ad ogni modo
il mio primo programma partì come un razzo, eseguì il suo compito e terminò OK
al primo giro. Evidentemente i libri di informatica, che avevo comprato e
studiato di notte, rielaborati in modo del tutto inconscio dal mio cervello,
davano i loro frutti.
Mi ero rivolta
ai libri già durante il corso di programmazione perché i miei colleghi o erano
già periti informatici o laureati in quella disciplina o era almeno la seconda
volta che frequentavano quel tipo di corso (ricordo che gli unici neofiti
eravamo io e un giovane Capostazione di Porta Susa) e, dato che si frequentava
per poi avere il lavoro, le informazioni tra noi non è proprio che viaggiavano
in generosa libertà.
Capii che ero
fatta per quel lavoro. Considerando però che mi affidavano pochi programmi, che
li dovevo passare sempre sui computer disponibili al momento, fossero in centro
a Torino o fuori come a Settimo Torinese dove arrivavo e tornavo in corriera a
mie spese, guadagnavo troppo poco anche per mantenermi all’Ostello dove la
Comunità Valdese, su domanda della mia zia Itala madre di Andrea, mi aveva
trovato posto.
Chiesi quindi
alla Software House per cui facevo programmi se aveva altro lavoro al di fuori
di quello e mi affidarono il centralino della loro nuova sede. Così cominciai a
scrivere programmi con una mano e a rispondere al telefono con l’altra. E non
c’erano influenze o mal di gola a farmi sospendere il lavoro in quell’inverno
pieno di neve.
Quello che mi
seccava di più era dover portare a mio padre solo le mie pive nel sacco. Mio
padre era piuttosto ‘tirato’ nell’esborso di denaro. E, dopo che tutto si
sistemò e da allora sempre, gliene ho reso merito perché mi ha insegnato l’arte
del risparmio e dell’investimento e a non far mai il passo più lungo della mia
gamba.
L’unica cosa
che mi teneva in vita, sprofondata com’ero nella vergogna della sconfitta, era
sapere che anche il mio amato Charlie Chaplin non ce l’aveva fatta nella sua
prima volta in America.
E così,
proprio come lui, anch’io rifeci il viaggio, il mio 2° verso Torino, grazie al
fratello grande di Andrea, mio
cugino Paolo, che mi trovò da dare un esame per un’altra Software House che
cercava programmatori junior.
Superai
l’esame, venni presa come apprendista e poi assunta in pianta stabile.
Ma mio padre,
che piangeva la mia lontananza, mi iscrisse a un concorso indetto a Ravenna
dalla Lega delle Cooperative (Tripartite) per numero1 posti da programmatore al
loro Centro Elettronico.
Vinto il
concorso e con lui uno stipendio da favola per l’epoca (554.000 lire nel 1979,
contro le 390.000 che guadagnavo) ebbi anche un’altra grandissima
soddisfazione, più importante, molto più importante della ‘grana’ che sarei
andata a percepire: alle mie dimissioni, la Ditta di Torino, per bocca dei 3
soci, rispose che, se non avessero saputo che volevo avvicinarmi a casa, mi
avrebbero messo i bastoni fra le ruote per impedirmi di lasciarli.
Dovevano
riconoscermi delle qualità di cui io non sospettavo l’esistenza. In effetti,
durante il periodo di prova avevo preso il morbillo e dovuto assentarmi dal
lavoro per più di un mese, eppure mi rivollero indietro fino ad assumermi a
tempo indeterminato dal 1° gennaio 1979 come ‘impiegato di
concetto, inquadrato al 3° livello del
Settore Commercio’ (2).
(1) NdA. Nel 1977, per quel che ricordo, esisteva la Laurea in Informatica solo a Pisa e il Diploma di Perito informatico aTorino.
(2) NdA: All'epoca, le figure professionali in campo informatico non erano ancora definite nei Contratti Nazionali del Lavoro (eravamo solo al principio).
- Fine della
Seconda Parte -
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