In tutto
questo marasma del guadagnamoci il lavoro, non è che ho dimenticato i
sentimenti, i desideri fisici, il bisogno di amare e essere amata.
Durante il
primo anno di Torino avevo messo da parte Claudio, cercavo di non pensarci,
avevo da costruire qualcosa e pensavo anche che lo facevo per tutti e due.
Ma ero
perseguitata dalle lettere di una mia ‘cara amica’, vera femmina d’epoca, che
raccontavano con ricchezza di particolari come me lo stavano portando via
mentre ero via a costruirmi un lavoro. Così, tornando per un fine settimana,
andai a trovare Claudio.
Constatando
come era già ben sistemato, con la biondina veneta che gli serviva il cibo in
tavola (finalmente
capivo perché la biondina veneta mi era sempre stata insopportabile al liceo,
dove le nostre due classi facevano insieme le ore di ginnastica (3) ), uscii
dalla sua vita e lui dalla mia.
Adesso ero
davvero libera di costruire la mia libertà fondata sul lavoro.
Non mi rendevo
conto, allora, di interpretare così, di persona, il primo passo della nostra
Costituzione.
Inaugurai la
mia carriera di femmina alla cena e conseguente ballo di fine corso. Quando,
dopo essergli stata a lungo fra le braccia calde, baciai spudoratamente e
completamente uno dei colleghi, brutto ma uomo molto gentile e di aspetto molto
brasiliano.
Questa cosa
del bacio mi aveva sempre incuriosito e anche preoccupato, ma quella volta lì
venne così bene, così spontaneo e rilasciato e scivolato che non lo
dimenticherò mai.
Da allora mi è
sempre piaciuto baciare. Ma un’altra risposta brasiliana, con un uomo, non è
arrivata più.
Di Ravenna le
ragazze dell’Ostello Valdese, che venivano da luoghi molto diversi (piemontesi
del cuore del Piemonte e cioè Pinerolo e piemontesi delle montagne, poi da
Bergamo, da Ragusa, da Trapani e persino da Sarajevo in Bosnia) mi raccontavano
di stare attenta perché là, si sapeva, le ragazze erano vestite all’ultima moda
e sempre ‘in tiro’. Così mi guardavo la camicia poco stirata di stampo
militare, i calzoni di tela senz’altra firma che quella delle mie forme e finivo
sulle scarpe di vitello che la forma l’avevano scordata da un pezzo. In quei
panni io ci stavo proprio bene. E poi ero carina, almeno così qualcuno diceva.
Tuttavia, una
volta incamerati i primi favolosi stipendi, ecco che essi incominciarono a
essere investiti. Proprio così, anch’io dopo un po’, potevo dire di avere dei
soldi ‘in vestiti’.
E ho fatto
bene perché di lì a un anno tutta la magnificenza della paga si ridimensionò,
complice la crisi che continuava il suo lavoro silenzioso.
(3) NdA. All’epoca, adesso non so, al Liceo Scientifico “A.Roiti” di Ferrara non esistevano classi femminili, solo maschili e miste. Dunque le ragazze di 2 sezioni venivano accorpate per le ore di Educazione Fisica, analogamente accadeva ai ragazzi. Unica differenza: i maschi avevano l’uso della palestra ultramoderna entro l’edificio del liceo, le femmine dovevano scarpinare fino all’enorme capannone del Palazzetto dello Sport e ivi fare ginnastica al freddo. Tanto, cosa vuoi, alle ragazze interessa così poco l’educazione fisica che marcano visita ogni volta che hanno le mestruazioni (o meglio ‘le loro cose’, come
si diceva allora).
Il Capodanno
del 1981, di ritorno dal Lido di Jesolo dove l’avevamo festeggiato con amici,
in autostrada incontrai il primo cane della mia vita, Ricco, cucciolo
abbandonato e festoso che non voleva saperne di restare nello scatolone
(rimasto vuoto di viveri) dove l’avevo messo durante il viaggio in auto verso
casa.
Poco dopo, il
20 del mese, morì il mio amato Zio Alfredo che da piccola mi terrorizzava
perché si toglieva i denti finti (i suoi li aveva lasciati in Africa, durante
quella guerra, ma io allora non sapevo che la causa di quella mancanza era
scritta nella storia, la storia infinita delle guerre).
Mi raccontano,
io non lo ricordo, che da piccola rubai quella sua dentiera e dovettero
rincorrermi per riprenderla e portarmela via.
Forse per punirmi
di questa marachellona antica, in giorni recenti ho dovuto anch’io cedere i
miei denti.
Non
preoccupatevi, se mi incontrate non mi troverete senza: ho investito parte
della mia liquidazione a reimpiantarli su.
Il mese dopo
(2 febbraio 1981), anche Ricco mi venne portato via: un’auto lo investì e lo
stese per una mia disattenzione o meglio per la troppa attenzione che stavo
dedicando alla mia macchina fotografica e da allora non l’ho usata più.
Nel breve
periodo che con Ricco abbiamo vissuto insieme, tutte le domeniche andavamo a
Francolino, un piccolo paese a 10 km da Ferrara. Andavamo a trovare un caro
amico, un vecchio signore contadino che lavorava e amava la sua terra. Ma anche
lui mi lasciò, di lì a pochi giorni, per ‘un brutto male’ come lo si chiamava
allora.
Mi sembra che
a questo punto le morti vicine si fermarono per un po’.
E anch’io mi
fermo qui perché nel 1981 i miei vent’anni stavano finendo di consumarsi: il 3
di ottobre ne avrei compiuti 30.
Ricordo che da
giovane non facevo che spostare mentalmente in avanti il momento in cui mi
sarei fatta una famiglia.
Alla mia
epoca, se si arrivava a 25 anni senza essere sposate, si diventava ancora
zitelle.
Ma a me, mano
a mano che mi avvicinavo a quell’età, mi era importato sempre meno e di realizzare
me stessa sempre di più.
Dopotutto, mi
dicevo, 28 è una buona età per sposarsi e avere dei figli.
Allora, allora
sarò già diventata un bravo scrittore così da non riversare le problematiche
del mio scrivere sulla mia famiglia.
Però la crisi
economica si era abbattuta di traverso sulle mie idee.
Il lavoro era
stato da rincorrere e, una volta trovato, da farmelo piacere, ma qui ho
imparato presto.
Come ho
imparato presto che il lavoro, quando è preso completamente, non dà più spazio
per altro. All’inizio mi dicevo “Vabbè, adesso dedicati a questo, poi, quando
lo dominerai, tornerai a scrivere e disegnare”. Intanto l’idea di famiglia si
allontanava. Anche disegnare diventava complicato perché, sempre
in viaggio da un posto all’altro, le chine e la carta da disegno non me li
potevo portare.
Certo sono
intervenuti gli uomini a distrarmi, in buona quantità. E a onor del vero anche
alcune donne.
Ma mai
nessuno, né famiglia né amori, mi ha avuto mai più.
- Fine della Terza
Parte –
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