POETANDO

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mercoledì, settembre 28

In Dante Alighieri - La Commedia - di Maria Corti

Collège Sismondi

Gruppo di italiano
 MARIA CORTI
INTRODUZIONE


1.         Le due nature del commento  

Quando ci si accinge a leggere un testo  letterario del livello della Commedia, a cui non a caso i posteri diedero l’epiteto di  «divina», consacrato dalla edizione veneziana del Giolito (1555), non si può oggi non evocare qualche aspetto del pensiero di Michail Bachtin. Questo grande semiologo e critico russo del nostro secolo si accostò con un punto di vista nuovo alle due operazioni fondamentali della lettura di un capolavoro. La prima consiste nel «capire l’opera così come la capiva l’autore stesso, senza andare oltre i limiti della sua comprensione». È un’operazione difficile perchè oggi noi siamo lontani dal tempo e dalla cultura di Dante. La prima finalità di un commento alla Commedia è allora questa: ricostruire con pazienza, sul materiale storico - culturale a disposizione, il pensiero dell’autore, la struttura, la coerenza interiore e l’arte del testo.
Ma vi è una seconda operazione altrettanto importante, che Bachtin definisce il cogliere «l’alterità del testo». Cosa significa tale definizione operativa? Le opere letterarie, afferma Bachtin, «spezzano le frontiere del loro tempo e vivono nei secoli, cioè nel tempo grande, e spesso (le grandi opere sempre) di una vita più intensa e piena che nell’età loro contemporanea» . Come dire che noi, lontani posteri di Dante, proprio dalla nostra «extra località», cioè dal nostro appartenere a un altro spazio e a un altro tempo culturale, riceviamo lo stimolo a dialogare col testo, il quale, in seguito al nostro dialogo, svela le proprie profondità, quindi fenomeni di senso che  all’epoca lontana della composizione esistevano in forma occulta, allo stato potenziale.
Ciò significa anche che un’atra cultura, come è la nostra di lettori del Novecento, entrando in contatto con una cultura lontana meglio ne svela attraverso il dialogo la natura. Né il processo è finito: le future generazioni leggeranno la Commedia ponendosi altre domande, creando un nuovo dialogo. A questo punto è chiaro che un commento al poema dantesco ha una seconda natura e finalità, oltre a quella di capire l’opera così come la capiva l’autore stesso: cioè il commento deve essere tale da rendere conto del dialogo che la cultura d’oggi, e in particolare i dantisti europei e americani del Novecento, stanno attuando con il testo dantesco. Naturalmente questo è un commento scolastico dedicato a lettori giovani, in parte ignari dei processi culturali, anche se dotati delle antenne ricettive proprie dell’età giovanile; il commento perciò non deve mai ignorare il punto di vista della scuola, la necessità di chiarezza del linguaggio e di selezione delle notizie.
Ancora una premessa: nella seconda meta del nostro secolo è stata edita una grande quantità di materiale filosofico, teologico, mistico, giuridico - politico, storico - culturale, che giaceva in manoscritti pergamenacei e cartacei sotto la polvere dei secoli. Ciò permette oggi ai commentatori attenti della Commedia di imbattersi in fonti finora ignorate e di possedere strumenti di ricerca con cui meglio ricostruire la posizione d’avanguardia dantesca  all’interno della cucitura dei secoli XII e XIV. Di conseguenza si cercherà in questo commento di segnalare ai giovani lettori, con la discrezione pertinente ai fini della scuola, i più importanti ritrovamenti e qualche gradevole curiosità.


2.         La «Guida alla Commedia»

Chi leggerà il commento a questa edizione incontrerà spesso dei rimandi ai saggi della Guida, indicati con il cognome dell’autore del saggio e il numero del paragrafo (per esempio: à FORTINI, 1). Non si tratta di un generico accompagnamento nel cammino della lettura, ma di una guida abbastanza or­ganica alla chiarificazione e all’approfondimento di particolari tematiche e di specifiche operazioni testuali dantesche. I saggi sono otto.
Il primo, Alle soglie del poema: titolo e date di Mariarosa Bricchi, offre notizie sul mutarsi del titolo e una panoramica delle varie ipotesi formulate dai dantisti sull’epoca e le fasi di composizione del poema. Il secondo, Geografia dell’Oltretomba dantesco di Sandro Orlando, vuole aiutare lo studente a muoversi con il pellegrino Dante attraverso i tre regni dell’Oltretomba. A tal fine il saggio è accompagnato da cartine illustrative tratte dal volume di G. Agnelli Topo - cronografia del viaggio dantesco, Hoepli, Milano 1891.
Con il terzo saggio, La metrica della «Commedia» di Franco Fortini, si en­tra nell’universo dei valori formali del poema. Fra vari illuminanti rilievi si segnala qui l’affermazione dell’unità linguistico - stilistica e ritmica di ogni terzina, osservazione importante tanto che se ne è tenuto conto nell’impaginazione stessa della Commedia, dove non si va mai a pagina nuova se non con terzina nuova. Il che agevola di molto il rapporto fra testo e commento nel corso della lettura, e quindi la comprensione dello studente.
Il quarto saggio, Il percorso politico di Dante di Federico Sanguineti, offre un punto di vista univario attraverso il qua le leggere i molteplici interventi di Dante riguardanti il mondo politico del suo tempo, e i rapporti di potere, reali o auspicati, fra impero e papato, fra poteri temporali e spirituali.
Nel quinto saggio, L’eredità stilnovistica nella «Commedia» di Bianca Garavelli, lo studente troverà a sua disposizione un utile catalogo dette forme stilnovistiche passate alla Commedia, particolarmente nella seconda cantica. A illuminare nel corso del poema il pensiero filosofico di Dante, le sue attenzioni alte varie fasi del cammino di filosofia e teologia, è assai pertinente il sesto saggio, La ricerca di Dante tra Sapienza umana e Rivelazione divina di Anna Longoni : i nomi di Aristotele, Alberto Magno, San Tommaso costituiscono le pietre miliari del viaggio filosofico.
Il settimo saggio, Dante, la «Commedia», la mistica di Manuela Colombo, è rivolto a segnalare nel poema, e in particolare nella terza cantica, il fascino che su Dante ha esercitato la speculazione mistica e la conseguente estasi, con tutti i complessi riflessi sulle possibilità teoriche e pratiche del linguaggio mistico, sulla sua natura di linguaggio «ineffabile», cioè indicibile con parole umane. Nell’ultimo saggio, l’ottavo, Percorsi mentali di Dante nella «Commedia» di Maria Corti, si indaga il potere della memoria interna dantesca e i suoi effetti, fra cui il ricorso alle autocitazioni che si richiamano da una cantica all’altra, oltre alla presenza di un caso molto suggestivo di intertestualità : una fonte che influenza la struttura stessa del poema, caso illustrato esso pu­re con cartine, tratte questa volta dallo studio di M. Asin Palacios, La escatologia musulmana en la Divina Commedia, Madrid 1961.


3.         La lingua e lo stile : plurivocità e plurilinguismo

La complessa orchestrazione di terni concettuali e di elementi fantastici, di esposizioni dottrinali e interpretazioni polemiche o parodistiche, l’aspirazio­ne dell’artista a un poema che fosse compendio della civiltà europea del suo tempo e insieme guida, per uso personale e universale, ad statum felicitatis, «alla condizione della felicata», come egli scrisse nella Epistola XIII a Cangrande della Scala, hanno di necessita suggerito al poeta tutta la ricchez­za linguistica e stilistica produttrice della plurivocità del poema. Con plurivocità, vocabolo che nuovamente conduce a Bachtin, si intende quella varietà di forme espressive, di moduli e registri linguistici che quotidianamente vi­vono all’interno dei vari strati della realtà sociale, da cui passano alla lingua del testo letterario.
Cesare Segre, riprendendo il pensiero linguistico di Bachtin, osserva come parole e forme possano conservare nel testo «le armoniche contestuali che le collegano a un ambiente, a una professione, a una concezione del mondo»: cioè il testo può riflettere la polifonia del parlare sociale. Ne viene di conseguenza che il testo letterario può non avere una lingua unitaria, ma costruirsi su varie unità stilistiche. Orbene la Commedia, proprio in quanto summa della vita e della cultura del tempo di Dante, presenta un eccezionale sottoinsieme linguistico. Intanto non va dimenticato che l’opera è costrui­ta con parti diegetiche, cioè descrittive, in cui una certa omogeneità è dovuta alla voce di Dante autore, e con parti mimetiche, cioè dialogiche, in cui si incontrano le voci dei vari personaggi che si muovono e agiscono nella storia, compreso il personaggio Dante pellegrino che, a seconda degli incontri e del rapporto instaurato con l’anima del dannato o dell’espiante o del beato, cambia registro.
Come esempio di un linguaggio di ambiente, ecco che nel canto XXV dei Purgatorio il poeta Stazio, in quanto dedito a una esplicazione filosofica dei concetti aristotelici di virtù informativa e di generazione dell’anima razionale, parla con un linguaggio impregnato di lessico e di stilemi filosofici aristotelico - tomistici da un lato, e di qualche elemento agostiniano dall’altro. In questo caso il linguaggio di Stazio proviene da ambienti filosofici specifici, ben riconoscibili al livello alto della società al tempo di Dante. Questa è pero una situazione complessa in quanto si fondono plurivo­cità e intertestualità (cioè Dante ha fonti anche specifiche che provengono dalla Metafisica e dal De anima di Aristotele, magari attraverso i commenti che ne fecero Alberto Magno e San Tommaso). Da sublime demiurgo il poeta vuole una polifonia linguistico - stilistica, soprattutto nelle prime due cantiche.
Tipico e indicativo dei fenomeni qui in analisi, oltre che divertente, il linguaggio dei diavoli nella prima cantica. C’è quello del diavolo del canto XXVII dell’Inferno che sorprende Guido da Montefeltro opponendosi a San Francesco con un ragionamento basato sul principio di non contraddizione della logica:

Inf., XXVII 118-120

ch’assolver non si può chi non si pente,
né pentere e volere insieme puossi
per la contradizion che nol consente".

Con la postilla ironica, sempre del diavolo: "Forse tu non pensavi ch’io loico fossi!" (vv. 122-123).
E c’è il linguaggio plebeo e furbesco dei diavoli di Malebolge, detti i Malebranche, che prende particolare quota nel canto XXI, dove compare la pat­tuglia dei dieci diavoli in un’atmosfera caricaturale segnata da gesti triviali, da risse, da un lessico popolare e quasi gergale (groppone, accocchi ...) e da una onomastica grottesca (Scarmiglione, Cagnazzo, Libicocco, Draghignazzo, Graffiacane ...). Particolare risalto assume infine la beffarda chiu­sa del canto: ed elli avea del cul fatto trombetta (v. 139).
Il commento farà notare, quando se ne presenti l’occasione, anche gli aspet­ti suggestivi dell’oralità evocata attraverso la resa dell’intonazione, dei so­prassalti interrogativi («Come? / dicesti “elli ebbe”? non viv’elli ancora? (...)», Inf., X 67-68), dei movimenti sintattici connotati come echi in direzione dell’oralità.
Va allora osservato che la plurivocità esistente negli strati sociali del linguaggio diventa nella Commedia un irresistibile elemento orchestrale, quindi strutturale, che connota personaggi e situazioni nell’atto stesso in cui orga­nizza lo stile pluridiscorsivo dell’opera. C ‘è in Dante qualcosa del genio or­ganistico di un Bach, scrisse il poeta russo Osip Mandel’stàm nel Discorso su Dante, aggiungendo «In poesia conta solamente questa comprensione realizzatrice, che non è passivamente riproduttiva né parafrastica»,. Certo è che Dante nel secolo XIV con la Commedia ha presentato sull’arena mondiale una lingua italiana che si configura già come un ricco sistema espressivo e comunicativo.
A tale esito si deve sia il titolo di Commedia dato all’opera in conformità ai precetti retorici dello stile comico, sia la contrapposizione tradizionale nel­le storie letterarie fra plurilinguismo di Dante e monolinguismo del Petrarca. se l’autore produce l’incontro - scontro ben lubrificato a fini ludici o di parodia fra lessico e forme di due registri linguistici diversi, allora si ha l’avventura del plurilinguismo come esito espressionistico. I singoli prelievi verranno offerti nel corso del commento.


4.         Le letture di Dante e l’intertestualità nella «Commedia»

Che Dante fosse un assiduo lettore al punto da mettere in pericolo la sua vista durante le veglie solitarie, è lui stesso a dircelo nel Convivio: E però puote anche la stella parere turbata; e io fui esperto di questo l’anno medesimo che nacque questa canzone, che per affaticare lo viso molto, a studio di leggere, in tanto debilitai li spiriti visivi che le stelle mi pareano tutte d’alcuno albore ombrate (III, IX 15). Delle sue assidue letture già aveva parlato in Convivio, II, XII 2-7, dove sono ricordati i trenta mesi di studio intenso, di frequentazione delle scuole de li religiosi e delle disputa­zioni de li filosofanti (e si veda ancora II, XV).
Dante ha viaggiato come pochi nella cultura del suo tempo, donde la ripetu­ta metafora della navigazione, del pelago e del porto (non si dimentichi che, vissuto in epoca di grande arte del navigare a vela, egli ne conosce le regole, anche quelle del bordeggio che sfrutta il vento contrario). I suoi simbolici viaggi sono emblematici di molte fasi del cammino stesso degli intellettuali suoi contemporanei.
È perciò utile sforzarsi di chiarire e definire i rapporti che si instaurano fra il testo dantesco e le sue fonti, dirette e indirette. allora le oscurità del testo o il suo spessore non sempre afferrabile a una prima lettura si risolveranno a vantaggio di noi lettori. I francesi al proposito usano l’espressione profondeur de la surface, «profondità cioè spessore della superficie».
Il fenomeno della intertestualità è quello per cui dentro un testo, nel nostro caso la Commedia, prendono posto e traspaiono agli occhi del lettore atten­to altri testi, detti normalmente fonti. Però l’intertestualità non significa solo  la presenza di fonti vere e proprie, ma anche di citazioni esplicate o occulte, di suggestioni o reminiscenze di un altro testo o movimento cultura te. In genere, mentre la plurivocità della scrittura, di cui si è parlato al paragrafo 3, proviene dai vari strati della lingua del tempo, l’intertestualità proviene dai vari strati della letteratura e cultura. Dante dialoga con le opere del suo tempo e in più ha una memoria formidabile, sicché è naturale che nelle tre cantiche si individuino molte presenze di altri testi che lo hanno influenzato a livello tematico, cioè di contenuto, e formale. C’è pero una difficoltà di cui bisogna tener conto: a volte una espressione tecnica di Aristotele o una frase poetica di un autore classico può venire da un compendio, da una enciclopedia o summa, e non avere a che fare con una fonte diretta.
Alcune fonti agiscono sulla struttura stessa della Commedia e in tale caso si tratta di suggestioni riguardanti l’impianto genera le, l’organizzazione della tematica; fonti diverse da quelle il cui influsso investe un’immagine, un dialogo, un tratto specifico. Dante conosceva sicuramente sia i viaggi d’Oltretomba sia le visioni dell’Aldilà, testi di cui è ricca la cultura medievale: viaggi di San Paolo, San Patrizio, San Brandano .., opere che sono state già messe a confronto con il Poema da vari dantisti. La ricerca recente più puntuale e intelligente che illumina la cosmografia dantesca e la confluenza di viaggio e visione si trova nel volume di Cesare Segre, Fuori del mondo.
Ivi è assegnato un giusto posto al Libro della Scala, testo arabo del secolo VIII, tradotto in castigliano fra il 1264 e il 1277 circa, e dal castigliano in latino e francese da Bonaventura da .Siena, che in quegli anni era notaio alla corte di Alfonso il Savio, dove era venuto nel 1259 Brunetto Latini, suggeritore forse delle traduzioni romanze. Notizie sul Libro della Scala e riproduzione di alcune cartine della sua geografia dell’Oltretomba si offriranno nella Guida alla «Commedia», al saggio ottavo. Qui interessa solo segnalare, sulla scia di Segre, che nel Libro della Scala si trova «una precisa partizione dell’Inferno, anche in rapporto con una classificazione dei peccati»d. si tratta dunque di un caso di intertestualità che agisce a livello soprattutto di struttura, anche se il nostro commento non ignorerà il Libro a proposito della «metafisica della luce» nel Paradiso dantesco.
A fianco dei fenomeni di intertestualità strutturale ci sono quelli che si risolvono in veri segnali di presenza locale di una fonte. È il caso del discorso di Ulisse ai suoi compagni di navigazione nel canto XXVI dell’Inferno, dove è innegabile l’influsso anche formale dell’Etica Nicomachea di Aristotele, passata attraverso il filtro dell’aristotelismo radicale (si veda il commento ai canto). Può anche capitare che nel fenomeno dell’intertestualità la fonte sia un testo non letterario, bensì epigrafico oltre che iconico. Ecco che Augusto Campana ha trovato una curiosa fonte specifica la dove Dante, nel canto X del Purgatorio, paragona i superbi ai telamoni o statue che nell’architettura romanica e gotica sostenevano capitelli o altri elementi portanti della struttura architettonica. Dante scrive:

PURG., X 136-139

Vero è che più e meno eran contratti
secondo ch’avien più e meno a dosso;
e qual più pazïenza avea ne il atti,
piangendo parea dicer: “più non posso”.

Orbene, in varie rappresentazioni iconiche dei telamoni vi sono iscrizioni  per sottostanti che dicono: Non possum, enunciato che Dante evidentemente conservò nella memoria e recuperò al momento opportuno. Come dire che un insieme solidale di icona e iscrizione è divenuto fonte di un testo scritto, nel quale ha prodotto un senso nuovo, cioè la metafora o simbolo della situazione del superbo. Il lettore contemporaneo della Commedia certo coglieva più di noi il travaglio vivace della intertestualità e il passaggio da un senso proprio a uno figurato, simbolico: si tratta in fondo di due sistemi semiotici che divengono complementari. Inoltre se per la friabilità della pietra o arenaria o per l’usura del tempo l’iscrizione era solo parzialmente leggibile e decodificabile, il lettore contemporaneo possedeva la competenza interdiscorsiva su massime e modi di dire che gli faceva cogliere meglio di noi l’operazione dantesca. In questo caso la nostra «extralocalità», per usare la pregnante metafora di Bachtin, non aiuta e il commentatore deve usufruire della prima operazione di commento (cfr. qui il paragrafo 1) e non della seconda. Esiste anche una forma di intertestualità interna, legata alla «memoria interna» dello scrittore Dante, che gli consente il recupero di stilemi, rime, ritmi da un ‘opera all’altra: proprio in seguito allo studio comparato delle ricorrenze foniche, timbriche, ritmiche nelle varie opere di Dante il critico Gianfranco Contini ha potuto considerare «attribuibile» a Dante il poemetto Il Flore.
Ancora alla intertestualità interna si riferiscono e con essa si spiegano le au­tocitazioni dantesche, che il poeta distribuisce nelle tre cantiche perché ser­vano a collegare presso il destinatario della Commedia episodi che egli vuole vengano collegati. Di questo fenomeno si occupa nella Guida il saggio ottavo, soprattutto a proposito dei canti I e XXVI dell’Inferno, I del Purgatorio, Il del Paradiso.
Con ogni probabilità Dante à anche intervenuto su fogli già scritti per la nuova suggestione di ciò che stava scrivendo: intertestualità regressiva in questo caso. Ma per la lontananza nel tempo (sei secoli), e la tormentata vita di esule dello scrittore non si possiedono minute, prime stesure, prime redazioni, singole varianti, come si hanno del Petrarca. Eppure avrà corretto e riscritto anche lui, come tutti; ma un vecchio proverbio dice: «Il vento della vita di­sperde». Il poeta Mandel’stàm, di cui si e già citato il Discorso su Dante, e che di scrittura poetica se ne intendeva, ironicamente annota: «Da secoli ormai si scrive e si parla di Dante come se il poeta si fosse espresso direttamente su carta da bollo (…) Si ragiona come se Dante avesse avuto davanti l’opera bell’e pronta ancora prima di mettersi al lavoro».
Per concludere, di fronte alla Commedia siamo doppiamente maldestri: non solo perché non possediamo il materiale per accostarci alla fase creativa, al farsi dell’opera, ma anche perché di fronte alla grande opera d’arte la nostra competenza rimane approssimativa. Il compito è di cogliere segnali, e la speranza è di avere inattese illuminazioni: per una cosa e l’altra un mezzo diretto può essere la scuola.


MARIA CORTI


In Dante Alighieri, La Commedia, Milano, 1993, pp. IX-XVII.

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