Collège Sismondi
Gruppo di
italiano
INTRODUZIONE
1. Le due nature del commento
Quando
ci si accinge a leggere un testo
letterario del livello della Commedia, a cui non a caso i posteri
diedero l’epiteto di «divina»,
consacrato dalla edizione veneziana del Giolito (1555), non si può oggi non
evocare qualche aspetto del pensiero di Michail Bachtin. Questo grande
semiologo e critico russo del nostro secolo si accostò con un punto di vista
nuovo alle due operazioni fondamentali della lettura di un capolavoro. La prima
consiste nel «capire l’opera così come la capiva l’autore stesso, senza andare
oltre i limiti della sua comprensione». È un’operazione difficile perchè oggi
noi siamo lontani dal tempo e dalla cultura di Dante. La prima finalità di un
commento alla Commedia è allora questa: ricostruire con pazienza, sul materiale
storico - culturale a disposizione, il pensiero dell’autore, la struttura, la
coerenza interiore e l’arte del testo.
Ma
vi è una seconda operazione altrettanto importante, che Bachtin definisce il
cogliere «l’alterità del testo». Cosa significa tale definizione operativa? Le
opere letterarie, afferma Bachtin, «spezzano le frontiere del loro tempo e
vivono nei secoli, cioè nel tempo grande, e spesso (le grandi opere sempre) di
una vita più intensa e piena che nell’età loro contemporanea» . Come dire che
noi, lontani posteri di Dante, proprio dalla nostra «extra località», cioè dal
nostro appartenere a un altro spazio e a un altro tempo culturale, riceviamo lo
stimolo a dialogare col testo, il quale, in seguito al nostro dialogo, svela le
proprie profondità, quindi fenomeni di senso che all’epoca lontana della composizione esistevano
in forma occulta, allo stato potenziale.
Ciò
significa anche che un’atra cultura, come è la nostra di lettori del Novecento,
entrando in contatto con una cultura lontana meglio ne svela attraverso il
dialogo la natura. Né il processo è finito: le future generazioni leggeranno la
Commedia ponendosi altre domande,
creando un nuovo dialogo. A questo punto è chiaro che un commento al poema dantesco
ha una seconda natura e finalità, oltre a quella di capire l’opera così come la
capiva l’autore stesso: cioè il commento deve essere tale da rendere conto del
dialogo che la cultura d’oggi, e in particolare i dantisti europei e americani
del Novecento, stanno attuando con il testo dantesco. Naturalmente questo è un
commento scolastico dedicato a lettori giovani, in parte ignari dei processi
culturali, anche se dotati delle antenne ricettive proprie dell’età giovanile;
il commento perciò non deve mai ignorare il punto di vista della scuola, la
necessità di chiarezza del linguaggio e di selezione delle notizie.
Ancora
una premessa: nella seconda meta del nostro secolo è stata edita una grande
quantità di materiale filosofico, teologico, mistico, giuridico - politico,
storico - culturale, che giaceva in manoscritti pergamenacei e cartacei sotto
la polvere dei secoli. Ciò permette oggi ai commentatori attenti della Commedia
di imbattersi in fonti finora ignorate e di possedere strumenti di ricerca con
cui meglio ricostruire la posizione d’avanguardia dantesca all’interno della cucitura dei secoli XII e
XIV. Di conseguenza si cercherà in questo commento di segnalare ai giovani
lettori, con la discrezione pertinente ai fini della scuola, i più importanti
ritrovamenti e qualche gradevole curiosità.
2. La «Guida alla Commedia»
Chi
leggerà il commento a questa edizione incontrerà spesso dei rimandi ai saggi
della Guida, indicati con il cognome dell’autore del saggio e il numero del
paragrafo (per esempio: à FORTINI, 1). Non si tratta di un generico accompagnamento
nel cammino della lettura, ma di una guida abbastanza organica alla
chiarificazione e all’approfondimento di particolari tematiche e di specifiche
operazioni testuali dantesche. I saggi sono otto.
Il
primo, Alle soglie del poema: titolo e
date di Mariarosa Bricchi, offre notizie sul mutarsi del titolo e una
panoramica delle varie ipotesi formulate dai dantisti sull’epoca e le fasi di
composizione del poema. Il secondo, Geografia
dell’Oltretomba dantesco di Sandro Orlando, vuole aiutare lo studente a
muoversi con il pellegrino Dante attraverso i tre regni dell’Oltretomba. A tal
fine il saggio è accompagnato da cartine illustrative tratte dal volume di G.
Agnelli Topo - cronografia del viaggio
dantesco, Hoepli, Milano 1891.
Con
il terzo saggio, La metrica della
«Commedia» di Franco Fortini, si entra nell’universo dei valori formali
del poema. Fra vari illuminanti rilievi si segnala qui l’affermazione
dell’unità linguistico - stilistica e ritmica di ogni terzina, osservazione
importante tanto che se ne è tenuto conto nell’impaginazione stessa della Commedia, dove non si va mai a pagina
nuova se non con terzina nuova. Il che agevola di molto il rapporto fra testo e
commento nel corso della lettura, e quindi la comprensione dello studente.
Il
quarto saggio, Il percorso politico di
Dante di Federico Sanguineti, offre un punto di vista univario attraverso
il qua le leggere i molteplici interventi di Dante riguardanti il mondo politico
del suo tempo, e i rapporti di potere, reali o auspicati, fra impero e papato,
fra poteri temporali e spirituali.
Nel
quinto saggio, L’eredità stilnovistica
nella «Commedia» di Bianca Garavelli, lo studente troverà a sua
disposizione un utile catalogo dette forme stilnovistiche passate alla Commedia, particolarmente nella seconda
cantica. A illuminare nel corso del poema il pensiero filosofico di Dante, le
sue attenzioni alte varie fasi del cammino di filosofia e teologia, è assai
pertinente il sesto saggio, La ricerca di
Dante tra Sapienza umana e Rivelazione divina di Anna Longoni : i nomi di
Aristotele, Alberto Magno, San Tommaso costituiscono le pietre miliari del
viaggio filosofico.
Il
settimo saggio, Dante, la «Commedia», la
mistica di Manuela Colombo, è rivolto a segnalare nel poema, e in
particolare nella terza cantica, il fascino che su Dante ha esercitato la
speculazione mistica e la conseguente estasi, con tutti i complessi riflessi
sulle possibilità teoriche e pratiche del linguaggio mistico, sulla sua natura
di linguaggio «ineffabile», cioè indicibile con parole umane. Nell’ultimo
saggio, l’ottavo, Percorsi mentali di
Dante nella «Commedia» di Maria Corti, si indaga il potere della memoria
interna dantesca e i suoi effetti, fra cui il ricorso alle autocitazioni che si
richiamano da una cantica all’altra, oltre alla presenza di un caso molto
suggestivo di intertestualità : una fonte che influenza la struttura stessa del
poema, caso illustrato esso pure con cartine, tratte questa volta dallo studio
di M. Asin Palacios, La escatologia
musulmana en la Divina Commedia, Madrid 1961.
3. La lingua e lo stile : plurivocità e plurilinguismo
La
complessa orchestrazione di terni concettuali e di elementi fantastici, di
esposizioni dottrinali e interpretazioni polemiche o parodistiche, l’aspirazione
dell’artista a un poema che fosse compendio della civiltà europea del suo tempo
e insieme guida, per uso personale e universale, ad statum felicitatis, «alla condizione della felicata», come egli scrisse
nella Epistola XIII a Cangrande della Scala, hanno di necessita suggerito al
poeta tutta la ricchezza linguistica e stilistica produttrice della
plurivocità del poema. Con plurivocità, vocabolo che nuovamente conduce a
Bachtin, si intende quella varietà di forme espressive, di moduli e registri
linguistici che quotidianamente vivono all’interno dei vari strati della
realtà sociale, da cui passano alla lingua del testo letterario.
Cesare
Segre, riprendendo il pensiero linguistico di Bachtin, osserva come parole e
forme possano conservare nel testo «le armoniche contestuali che le collegano a
un ambiente, a una professione, a una concezione del mondo»: cioè il testo può
riflettere la polifonia del parlare sociale. Ne viene di conseguenza che il testo
letterario può non avere una lingua unitaria, ma costruirsi su varie unità
stilistiche. Orbene la Commedia,
proprio in quanto summa della vita e della cultura del tempo di Dante, presenta
un eccezionale sottoinsieme linguistico. Intanto non va dimenticato che l’opera
è costruita con parti diegetiche, cioè descrittive, in cui una certa
omogeneità è dovuta alla voce di Dante autore, e con parti mimetiche, cioè
dialogiche, in cui si incontrano le voci dei vari personaggi che si muovono e
agiscono nella storia, compreso il personaggio Dante pellegrino che, a seconda
degli incontri e del rapporto instaurato con l’anima del dannato o
dell’espiante o del beato, cambia registro.
Come
esempio di un linguaggio di ambiente, ecco che nel canto XXV dei Purgatorio il
poeta Stazio, in quanto dedito a una esplicazione filosofica dei concetti
aristotelici di virtù informativa e di generazione dell’anima razionale, parla
con un linguaggio impregnato di lessico e di stilemi filosofici aristotelico -
tomistici da un lato, e di qualche elemento agostiniano dall’altro. In questo
caso il linguaggio di Stazio proviene da ambienti filosofici specifici, ben
riconoscibili al livello alto della società al tempo di Dante. Questa è pero
una situazione complessa in quanto si fondono plurivocità e intertestualità
(cioè Dante ha fonti anche specifiche che provengono dalla Metafisica e dal De anima di Aristotele, magari attraverso
i commenti che ne fecero Alberto Magno e San Tommaso). Da sublime demiurgo il
poeta vuole una polifonia linguistico - stilistica, soprattutto nelle prime due
cantiche.
Tipico
e indicativo dei fenomeni qui in analisi, oltre che divertente, il linguaggio
dei diavoli nella prima cantica. C’è quello del diavolo del canto XXVII
dell’Inferno che sorprende Guido da Montefeltro opponendosi a San Francesco con
un ragionamento basato sul principio di non contraddizione della logica:
Inf.,
XXVII 118-120
ch’assolver non si può chi non si
pente,
né pentere e volere insieme
puossi
per la contradizion che nol
consente".
Con
la postilla ironica, sempre del diavolo: "Forse tu non pensavi ch’io loico
fossi!" (vv. 122-123).
E
c’è il linguaggio plebeo e furbesco dei diavoli di Malebolge, detti i
Malebranche, che prende particolare quota nel canto XXI, dove compare la pattuglia
dei dieci diavoli in un’atmosfera caricaturale segnata da gesti triviali, da
risse, da un lessico popolare e quasi gergale (groppone, accocchi ...) e da una
onomastica grottesca (Scarmiglione, Cagnazzo, Libicocco, Draghignazzo,
Graffiacane ...). Particolare risalto assume infine la beffarda chiusa del
canto: ed elli avea del cul fatto
trombetta (v. 139).
Il
commento farà notare, quando se ne presenti l’occasione, anche gli aspetti
suggestivi dell’oralità evocata attraverso la resa dell’intonazione, dei soprassalti
interrogativi («Come? / dicesti “elli
ebbe”? non viv’elli ancora? (...)», Inf.,
X 67-68), dei movimenti sintattici connotati come echi in direzione
dell’oralità.
Va
allora osservato che la plurivocità esistente negli strati sociali del
linguaggio diventa nella Commedia un
irresistibile elemento orchestrale, quindi strutturale, che connota personaggi
e situazioni nell’atto stesso in cui organizza lo stile pluridiscorsivo
dell’opera. C ‘è in Dante qualcosa del genio organistico di un Bach, scrisse
il poeta russo Osip Mandel’stàm nel Discorso
su Dante, aggiungendo «In poesia conta solamente questa comprensione
realizzatrice, che non è passivamente riproduttiva né parafrastica»,. Certo è
che Dante nel secolo XIV con la Commedia
ha presentato sull’arena mondiale una lingua italiana che si configura già come
un ricco sistema espressivo e comunicativo.
A
tale esito si deve sia il titolo di Commedia
dato all’opera in conformità ai precetti retorici dello stile comico, sia la
contrapposizione tradizionale nelle storie letterarie fra plurilinguismo di
Dante e monolinguismo del Petrarca. se l’autore produce l’incontro - scontro
ben lubrificato a fini ludici o di parodia fra lessico e forme di due registri
linguistici diversi, allora si ha l’avventura del plurilinguismo come esito
espressionistico. I singoli prelievi verranno offerti nel corso del commento.
4. Le letture di Dante e l’intertestualità nella «Commedia»
Che
Dante fosse un assiduo lettore al punto da mettere in pericolo la sua vista
durante le veglie solitarie, è lui stesso a dircelo nel Convivio: E però puote anche la stella parere turbata;
e io fui esperto di questo l’anno medesimo che nacque questa canzone, che per affaticare
lo viso molto, a studio di leggere, in tanto debilitai li spiriti visivi che le
stelle mi pareano tutte d’alcuno albore ombrate (III, IX 15). Delle sue
assidue letture già aveva parlato in Convivio,
II, XII 2-7, dove sono ricordati i trenta mesi di studio intenso, di frequentazione
delle scuole de li religiosi e delle
disputazioni de li filosofanti (e si veda ancora II, XV).
Dante
ha viaggiato come pochi nella cultura del suo tempo, donde la ripetuta
metafora della navigazione, del pelago e del porto (non si dimentichi che,
vissuto in epoca di grande arte del navigare a vela, egli ne conosce le regole,
anche quelle del bordeggio che sfrutta il vento contrario). I suoi simbolici
viaggi sono emblematici di molte fasi del cammino stesso degli intellettuali
suoi contemporanei.
È
perciò utile sforzarsi di chiarire e definire i rapporti che si instaurano fra
il testo dantesco e le sue fonti, dirette e indirette. allora le oscurità del
testo o il suo spessore non sempre afferrabile a una prima lettura si
risolveranno a vantaggio di noi lettori. I francesi al proposito usano
l’espressione profondeur de la surface, «profondità cioè spessore della superficie».
Il
fenomeno della intertestualità è quello per cui dentro un testo, nel nostro
caso la Commedia, prendono posto e
traspaiono agli occhi del lettore attento altri testi, detti normalmente
fonti. Però l’intertestualità non significa solo la presenza di fonti vere e proprie, ma anche
di citazioni esplicate o occulte, di suggestioni o reminiscenze di un altro
testo o movimento cultura te. In genere, mentre la plurivocità della scrittura,
di cui si è parlato al paragrafo 3, proviene dai vari strati della lingua del
tempo, l’intertestualità proviene dai vari strati della letteratura e cultura.
Dante dialoga con le opere del suo tempo e in più ha una memoria formidabile,
sicché è naturale che nelle tre cantiche si individuino molte presenze di altri
testi che lo hanno influenzato a livello tematico, cioè di contenuto, e
formale. C’è pero una difficoltà di cui bisogna tener conto: a volte una
espressione tecnica di Aristotele o una frase poetica di un autore classico può
venire da un compendio, da una enciclopedia o summa, e non avere a che fare con una fonte diretta.
Alcune
fonti agiscono sulla struttura stessa della Commedia
e in tale caso si tratta di suggestioni riguardanti l’impianto genera le,
l’organizzazione della tematica; fonti diverse da quelle il cui influsso
investe un’immagine, un dialogo, un tratto specifico. Dante conosceva
sicuramente sia i viaggi d’Oltretomba sia le visioni dell’Aldilà, testi di cui
è ricca la cultura medievale: viaggi di San Paolo, San Patrizio, San Brandano
.., opere che sono state già messe a confronto con il Poema da vari dantisti.
La ricerca recente più puntuale e intelligente che illumina la cosmografia
dantesca e la confluenza di viaggio e visione si trova nel volume di Cesare
Segre, Fuori del mondo.
Ivi
è assegnato un giusto posto al Libro
della Scala, testo arabo del secolo VIII, tradotto in castigliano fra il
1264 e il 1277 circa, e dal castigliano in latino e francese da Bonaventura da
.Siena, che in quegli anni era notaio alla corte di Alfonso il Savio, dove era
venuto nel 1259 Brunetto Latini, suggeritore forse delle traduzioni romanze.
Notizie sul Libro della Scala e
riproduzione di alcune cartine della sua geografia dell’Oltretomba si
offriranno nella Guida alla «Commedia», al saggio ottavo. Qui interessa solo
segnalare, sulla scia di Segre, che nel Libro
della Scala si trova «una precisa partizione dell’Inferno, anche in rapporto
con una classificazione dei peccati»d. si tratta dunque di un caso di
intertestualità che agisce a livello soprattutto di struttura, anche se il
nostro commento non ignorerà il Libro
a proposito della «metafisica della luce» nel Paradiso dantesco.
A
fianco dei fenomeni di intertestualità strutturale ci sono quelli che si risolvono
in veri segnali di presenza locale di una fonte. È il caso del discorso di
Ulisse ai suoi compagni di navigazione nel canto XXVI dell’Inferno, dove è innegabile l’influsso anche formale dell’Etica Nicomachea di Aristotele, passata
attraverso il filtro dell’aristotelismo radicale (si veda il commento ai
canto). Può anche capitare che nel fenomeno dell’intertestualità la fonte sia
un testo non letterario, bensì epigrafico oltre che iconico. Ecco che Augusto
Campana ha trovato una curiosa fonte specifica la dove Dante, nel canto X del Purgatorio, paragona i superbi ai
telamoni o statue che nell’architettura romanica e gotica sostenevano capitelli
o altri elementi portanti della struttura architettonica. Dante scrive:
PURG.,
X 136-139
Vero è che più e meno eran
contratti
secondo ch’avien più e meno a
dosso;
e qual più pazïenza avea ne il
atti,
piangendo parea dicer: “più non
posso”.
Orbene,
in varie rappresentazioni iconiche dei telamoni vi sono iscrizioni per sottostanti che dicono: Non possum, enunciato che Dante
evidentemente conservò nella memoria e recuperò al momento opportuno. Come dire
che un insieme solidale di icona e iscrizione è divenuto fonte di un testo
scritto, nel quale ha prodotto un senso nuovo, cioè la metafora o simbolo della
situazione del superbo. Il lettore contemporaneo della Commedia certo coglieva più di noi il travaglio vivace della
intertestualità e il passaggio da un senso proprio a uno figurato, simbolico:
si tratta in fondo di due sistemi semiotici che divengono complementari.
Inoltre se per la friabilità della pietra o arenaria o per l’usura del tempo
l’iscrizione era solo parzialmente leggibile e decodificabile, il lettore
contemporaneo possedeva la competenza interdiscorsiva su massime e modi di dire
che gli faceva cogliere meglio di noi l’operazione dantesca. In questo caso la
nostra «extralocalità», per usare la pregnante metafora di Bachtin, non aiuta e
il commentatore deve usufruire della prima operazione di commento (cfr. qui il
paragrafo 1) e non della seconda. Esiste anche una forma di intertestualità
interna, legata alla «memoria interna» dello scrittore Dante, che gli consente
il recupero di stilemi, rime, ritmi da un ‘opera all’altra: proprio in seguito
allo studio comparato delle ricorrenze foniche, timbriche, ritmiche nelle varie
opere di Dante il critico Gianfranco Contini ha potuto considerare
«attribuibile» a Dante il poemetto Il
Flore.
Ancora
alla intertestualità interna si riferiscono e con essa si spiegano le autocitazioni
dantesche, che il poeta distribuisce nelle tre cantiche perché servano a
collegare presso il destinatario della Commedia
episodi che egli vuole vengano collegati. Di questo fenomeno si occupa nella Guida il saggio ottavo, soprattutto a
proposito dei canti I e XXVI dell’Inferno,
I del Purgatorio, Il del Paradiso.
Con
ogni probabilità Dante à anche intervenuto su fogli già scritti per la nuova
suggestione di ciò che stava scrivendo: intertestualità regressiva in questo
caso. Ma per la lontananza nel tempo (sei secoli), e la tormentata vita di
esule dello scrittore non si possiedono minute, prime stesure, prime redazioni,
singole varianti, come si hanno del Petrarca. Eppure avrà corretto e riscritto
anche lui, come tutti; ma un vecchio proverbio dice: «Il vento della vita disperde».
Il poeta Mandel’stàm, di cui si e già citato il Discorso su Dante, e che di scrittura poetica se ne intendeva,
ironicamente annota: «Da secoli ormai si scrive e si parla di Dante come se il
poeta si fosse espresso direttamente su carta da bollo (…) Si ragiona come se
Dante avesse avuto davanti l’opera bell’e pronta ancora prima di mettersi al
lavoro».
Per
concludere, di fronte alla Commedia
siamo doppiamente maldestri: non solo perché non possediamo il materiale per
accostarci alla fase creativa, al farsi dell’opera, ma anche perché di fronte
alla grande opera d’arte la nostra competenza rimane approssimativa. Il compito
è di cogliere segnali, e la speranza è di avere inattese illuminazioni: per una
cosa e l’altra un mezzo diretto può essere la scuola.
MARIA
CORTI
In
Dante Alighieri, La Commedia, Milano,
1993, pp. IX-XVII.
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