Non è facile rimembrare quel tempo in cui ho vissuto il dolce inganno da quella parte che lo crea, lo plasma, lo modella e al pubblico lo propone con tutta l’illusione di un sogno che di luce sullo schermo si compone. Non è facile parlare d’un grande amore che più non t’appartiene.
In ogni caso e non per volontà mia, era il novembre dell’89 e l’operatore Girometti ci chiamò a realizzare un film per cucire spezzoni di un programma dedicato a Paolo Panelli (di cui se vi farà piacere diremo in altra occasione). I più ‘anziani’ tra di voi lo ricorderanno come il compagno di una vita di Bice Valori, allora già scomparsa. Già a quel tempo avevo dismesso i panni da operatore per vestire quelli più grevi di macchinista avendo cosi il privilegio di conoscere la stirpe degli Allori e dei Diamante, dinastie di capi macchinisti d’un cinema oramai definitivamente scomparso.
Quello che pochi, se non coloro che ci lavorano, sanno è che il nostro cinema si fa’ essenzialmente con 10 cantinelle (listello di legno rigorosamente 2,5 x 4 cm lungo 4 metri), 4 murali, un rotolo di fil di ferro cotto, qualche lampadina, chiodi a iosa e una stratosferica dose di fantasia, creatività e, soprattutto, pazienza. Il tutto in un caos quasi assoluto e geniale che ha sempre destato l’ammirazione degli americani abituati, loro, a prevedere qualsivoglia eventualità per non parlare di story board ed altre amenità.
Noi ci portavamo appresso ogni cosa, soprattutto il cubo delle zeppe, senza le quali un’opera cinematografica non ha ragion d’essere. Quel giorno, come sempre, nessuno di noi sapeva cosa sarebbe successo né tanto meno cosa avremmo dovuto fare, per questo, quando arrivò sul set per un cammeo (stupenda definizione per un’amichevole apparizione) ne fummo sorpresi.
Era avanti negli anni ma per me che tutto sommato a quel mondo non appartenevo, il fascino vivente d’un mito. Si presentò con la semplicità d’una comparsa quasi si rendesse conto e se ne dispiacesse del suo ingombro. Gli ero vicino, potevo perfino toccarlo e, a dispetto di tutti coloro che avrebbero voluto essere al mio posto, mi pagavano e non poco. Un cammeo dura poco, troppo poco ed era solo per quel giorno. Panelli lo abbracciò e lui sorrise.
E’ strano ma quando per un qualsivoglia motivo mi viene alla mente la celeberrima frase ‘signori si nasce’ è il suo volto che si compone tra gli argentei cancelli della memoria. Ne ho conosciuti tanti in quei dieci anni e tutti molto meno famosi di lui e di se stessi tronfi e
ho detto tronfi, perché un linguaggio escatologico non m’appartiene. A voi rimangono le sue interpretazioni a me rimane l’umanità, la semplicità e la gentilezza con cui mi chiese una pedanina, perché nell’inquadratura risultava troppo basso. Era il mio lavoro, in quel tempo, io l’ultima ruota del carro e lui, lui era Marcello Mastroianni.
Massimo Mariani Parmeggiani
Massimo Mariani Parmeggiani
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