Ovviamente la mia curiosità ha avuto il sopravvento, e così ho aperto subito il link - che trovate qui sopra - e sono rimasta piacevolmente sorpresa della bella, semplice e chiara recensione di Anna. Non si è fermata sui particolari, ha invece dato uno sguardo ad ampio raggio sulla situazione dell'epoca del dopoguerra.
Sono orgogliosa di aver ricevuto l'impressione di Anna Montella riguardo al contenuto del mio libro, recensione che ha addirittura pubblicato nella pagina dei Servizi Editoriali del Caffè Letterario La Luna e il Drago.
Per ragioni di spazio, ho dovuto ridurre la pagina ripresa dal sito creato da Anna Montella, per questa ragione riporto il testo a caratteri più grandi.
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Danila Oppio - Storia di Vera - Ipazia Books Edizioni - 2018 - pp. 116
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Attraverso i ricordi di Vera l’autrice ci offre lo spaccato di un’epoca. Quella della provincia veneta, contestualizzata nella realtà contadina del tempo, e quella di una Milano a cavallo degli anni ’50/’60 dove d’inverno tutti portavano il cappotto e Vera, che il cappotto non lo aveva (nel paese di campagna da cui proveniva nessuno sentiva il bisogno di portarlo) , era “quella senza cappotto che parlava in dialetto”.
Uno spaccato da cui emergono figure femminili forti, matriarcali, forgiate dalle intemperie della vita. Donne su cui grava il carico familiare mentre sullo sfondo si muovono figure maschili sfumate, lontane perché emigranti in terra straniera, spesso oltreoceano, o nella stessa Italia, ma in regioni distanti dal focolare domestico, per garantire il pane alla famiglia. Padri e mariti che, se andava bene, si rivedevano a Pasqua e Natale e se andava male ogni 4 o 5 anni.
Il tempo di mettere in cantiere un altro figlio e di ripartire per tornare, poi, dopo un lustro e trovare il figlio già cresciuto. In un contesto così, in cui le donne svolgevano lavori pesanti fino al momento di partorire e se ti ammalavi non c’era una sanità pubblica che ti sostenesse nelle spese, non restava molto spazio per indulgere in tenerezze o per preoccuparsi del superfluo.
Garantire il necessario era già così difficile e la piccola Vera tante volte aveva guardato a scuola le compagne fare merenda mentre lei doveva accontentarsi della colazione fatta al mattino, che era sicuramente abbondante ma non aveva lo stesso fascino e lo stesso sapore di quelle merende che erano una festa per gli occhi oltre che per il palato.
Ricordi dolce/amari che si snodano sotto lo sguardo del lettore come se si sfogliasse un album di foto in bianco e nero che, a tratti, si anima prendendo vita con una esplosione di colori e profumi che ci riportano a quello che pare un altro tempo ma che, a ben pensare, è stato soltanto ieri e che, probabilmente, molti di noi hanno vissuto.
Un libro quello di Danila Oppio, che è anche autrice dello splendido disegno di copertina, che si legge d’un fiato senza interruzioni. Io l’ho letto in due ore.
Danila Oppio - Storia di Vera - Ipazia Books Edizioni - 2018 - pp. 116
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Attraverso i ricordi di Vera l’autrice ci offre lo spaccato di un’epoca. Quella della provincia veneta, contestualizzata nella realtà contadina del tempo, e quella di una Milano a cavallo degli anni ’50/’60 dove d’inverno tutti portavano il cappotto e Vera, che il cappotto non lo aveva (nel paese di campagna da cui proveniva nessuno sentiva il bisogno di portarlo) , era “quella senza cappotto che parlava in dialetto”.
Uno spaccato da cui emergono figure femminili forti, matriarcali, forgiate dalle intemperie della vita. Donne su cui grava il carico familiare mentre sullo sfondo si muovono figure maschili sfumate, lontane perché emigranti in terra straniera, spesso oltreoceano, o nella stessa Italia, ma in regioni distanti dal focolare domestico, per garantire il pane alla famiglia. Padri e mariti che, se andava bene, si rivedevano a Pasqua e Natale e se andava male ogni 4 o 5 anni.
Il tempo di mettere in cantiere un altro figlio e di ripartire per tornare, poi, dopo un lustro e trovare il figlio già cresciuto. In un contesto così, in cui le donne svolgevano lavori pesanti fino al momento di partorire e se ti ammalavi non c’era una sanità pubblica che ti sostenesse nelle spese, non restava molto spazio per indulgere in tenerezze o per preoccuparsi del superfluo.
Garantire il necessario era già così difficile e la piccola Vera tante volte aveva guardato a scuola le compagne fare merenda mentre lei doveva accontentarsi della colazione fatta al mattino, che era sicuramente abbondante ma non aveva lo stesso fascino e lo stesso sapore di quelle merende che erano una festa per gli occhi oltre che per il palato.
Ricordi dolce/amari che si snodano sotto lo sguardo del lettore come se si sfogliasse un album di foto in bianco e nero che, a tratti, si anima prendendo vita con una esplosione di colori e profumi che ci riportano a quello che pare un altro tempo ma che, a ben pensare, è stato soltanto ieri e che, probabilmente, molti di noi hanno vissuto.
Un libro quello di Danila Oppio, che è anche autrice dello splendido disegno di copertina, che si legge d’un fiato senza interruzioni. Io l’ho letto in due ore.
Anna Montella
ps. Avrei voluto spaziare maggiormente ma ... non mi sono soffermata sui particolari per non togliere agli altri lettori la sorpresa e il piacere di leggerlo. :-)
RispondiEliminaE' perfetta così la tua recensione, Anna, e ti ringrazio di cuore.
RispondiEliminaDanila