Un vecchio afgano con i sandali rotti e infangati, e il turbante
con la coda che scendeva fino alla cintura, stava accanto al figlio di sei anni
nel pronto soccorso dell’ospedale di Quetta.
Il bambino si chiamava Khalil e aveva il volto e le mani, o quel
che ne restava, coperti di abbondanti fasciature. Stava sdraiato, immobile, la
camicia annerita dall’esplosione. Qualcuno aveva strappato una manica e ne
aveva fatto un laccio, legato stretto sul braccio destro per fermare
l’emorragia.
“E’ stato ferito da una mina giocattolo, quelle che i russi tirano
sui nostri villaggi” disse Mubarak, l’infermiere che faceva anche da
interprete, avvicinandosi con un catino di acque e una spugna.
Non ci credo, è solo propaganda, ho pensato, osservando Mubarak che
tagliava i vestiti e iniziava a lavare il torace del bambino, sfregando
energicamente come se stesse strigliando un cavallo. Non si è neanche mosso, il
bambino, non un lamento.
In sala operatoria ho tolto le bende: la mano destra non c’era più,
sostituita da un’orrenda poltiglia simile a un cavolfiore bruciacchiato, tre
dita della sinistra completamente spappolate.
Avrà preso in mano una granata, mi sono detto.
Sarebbero passati solo tre giorni, prima di ricevere in ospedale un
caso analogo, ancora un bambino. All’uscita della sala operatoria, Mubarak mi
mostra un frammento di plastica verde scuro, bruciacchiato dall’esplosione.
“Guarda, questo è un pezzo di mina giocattolo, l’hanno raccolta sul
luogo dell’esplosione. I nostri vecchi le chiamano pappagalli verdi”… e si
mette a disegnare la forma della mina: dieci centimetri in tutto, due ali con
al centro un piccolo cilindro. Sembra una farfalla più che un pappagallo,
adesso posso collocare come in un puzzle il pezzo di plastica che ho in mano, è
l’estremità dell’ala. “…Vengono giù a migliaia, lanciate dagli elicotteri a
bassa quota. Chiedi ad Abdullah, l’autista dell’ospedale , uno dei bambini di
suo fratello ne ha raccolta una l’anno scorso, ha perso due dita ed è rimasto
cieco.”
Mine giocattolo, studiate per mutilare bambini. Ho dovuto crederci,
anche se ancora oggi ho difficoltà a capire. (…)
Mine antiuomo di fabbricazione russa, modello PFM-1.Li gettano nei
villaggi come fossero volantini pubblicitari che invitano a non perdere lo
spettacolo domenicale del circo equestre.
La forma della mina, con le due ali laterali, serve a farla
volteggiare meglio. In altre parole, non cadono a picco quando vengono
rilasciate dagli elicotteri, si comportano proprio come i volantini, si
sparpagliano qua e là su un territorio molto più vasto. Sono fatte così per una
ragione puramente tecnica – affermano i militari – non è corretto chiamarle
mine giocattolo.
Ma a me non è mai successo, tra gli sventurati feriti da queste
mine che mi è capitato di operare, di trovarne uno adulto.
Neanche uno, in più di dieci anni, tutti rigorosamente bambini.
La mina non scoppia subito, spesso non si attiva se la si calpesta.
Ci vuole un po’ di tempo – funziona, come dicono i manuali, per accumulo
successivo di pressione. Bisogna prenderla, maneggiarla ripetutamente,
schiacciarne le ali. Chi la raccoglie, insomma, può portarsela a casa,
mostrarla nel cortile agli amici incuriositi, che se la passano di mano in
mano, ci giocano.
Poi esploderà. E qualcun altro farà la fine di Khalil. Amputazione
traumatica di una o entrambe le mani, una vampata ustionante su tutto il torace
e, molto spesso, la cecità. Insopportabile.
Ho visto troppo spesso bambini che si risvegliano dall’intervento chirurgico
e si ritrovano senza una gamba, o senza
un braccio. Hanno momenti di disperazione poi, incredibilmente, si riprendono.
Ma niente è insopportabile per loro, come svegliarsi al buio.
I pappagalli verdi li trascinano nel buio, per sempre.
Che cosa spinge la mente umana a immaginare, a programmare la
violenza?
Ho immaginato – sapendo che era tutto maledettamente vero – un
ingegnere efficiente e creativo, seduto alla scrivania a fare bozzetti, a
disegnare la forma delle PFM-1. E poi un chimico, a decidere i dettagli tecnici
del meccanismo esplosivo, ed infine un generale compiaciuto del progetto, e un
politico, che lo approva, e operai in un’officina che ne producono a migliaia,
ogni giorno.
Non sono fantasmi, purtroppo, sono esseri umani: hanno una faccia
come la nostra, una famiglia come l’abbiamo noi, dei figli. E probabilmente li
accompagnano a scuola la mattina, li prendono per mano quando attraversano la
strada, ché non vadano nei pericoli, li ammoniscono a non farsi avvicinare da
estranei, a non accettare caramelle o giocattoli da sconosciuti…
Poi se ne vanno in ufficio, a riprendere diligentemente il proprio
lavoro, per essere sicuri che le mine funzionino a dovere, che altri bambini
non si accorgano del trucco, che le raccolgano in tanti. Più bambini mutilati,
meglio se anche ciechi, e più il nemico soffre, è terrorizzato, condannato a
sfamare questi infelici per il resto degli anni. Più bambini mutilati e ciechi,
più il nemico è sconfitto, punito, umiliato.
E tutto ciò avviene dalle nostre parti, nel mondo civile, tra
banche e grattacieli. Non ho saputo più nulla di Mubarak, da sette anni. Ho
incontrato molti Khalil in giro per il mondo, l’ultimo si chiama Thassim. (…)
GINO STRADA
Ho letto tutto il libro di Gino Strada, Pappagalli Verdi, e andrebbe conosciuto da ogni essere umano vivente su questo pianeta. Poi ho svolto una piccola ricerca, quelle mine
antiuomo, di produzione russa, non sono le sole ad essere vendute ai
guerrafondai, anche l’Italia ha la sua gran parte di colpa.
Noi stiamo in un letamaio cerebrale, la puzza è tanto forte, da non
farci più avvertire il profumo della verità. Assopiti i sensi, l’indifferenza
abbonda, “tanto, tutto questo avviene lontano da noi!” questa è il pensiero che
ognuno pensa, che lo ammetta o meno!
Il racconto di Gino Strada, leggermente abbreviato per questioni di
spazio, è uno dei tanti narrati nel libro, ambientati in varie parti del mondo,
dove le guerre sono quotidiane, che ci crediamo o no. Africa, Asia, Sud
America…
Forse, ma credo si tratti di mera utopia, se le fabbriche di armi
cambiassero produzione e si occupassero di giocattoli veri, di attrezzi da
lavoro, i distruttori di popoli perderebbero la materia prima per innescare
guerre. Ma il giro di danaro è immenso, e le belve assassine non sono mai sazie
di sangue!
Dovere di ogni uomo, è informarsi e non rimanere all’oscuro o
girare il capo da un’altra parte, tacitando la propria coscienza. Tutti siamo
responsabili, se non alziamo le nostre voci contro gli abomini.
PRODUTTORI
DI MINE
Valsella meccanotecnica spa di brescia
La Valsella è controllata dal gruppo Borletti, anche se non è chiara la conclusione della lunga trafila, iniziata alla fine del 1994, per la cessione della precedente quota del 50% del capitale sociale della Meccano Tecnica Mt spa, la finanziaria di controllo della Valsella, che faceva capo alla Fiat Ciei spa (gruppo Fiat).
La Valsella dichiara che le mine terrestri oggi non sono in produzione. D'altro canto essa è pronta a "rendere disponibili" prodotti nel campo delle cosiddette "mine intelligenti", cioè le mine programmabili a tempo, nel caso venissero considerate accettabili.
Valsella meccanotecnica spa di brescia
La Valsella è controllata dal gruppo Borletti, anche se non è chiara la conclusione della lunga trafila, iniziata alla fine del 1994, per la cessione della precedente quota del 50% del capitale sociale della Meccano Tecnica Mt spa, la finanziaria di controllo della Valsella, che faceva capo alla Fiat Ciei spa (gruppo Fiat).
La Valsella dichiara che le mine terrestri oggi non sono in produzione. D'altro canto essa è pronta a "rendere disponibili" prodotti nel campo delle cosiddette "mine intelligenti", cioè le mine programmabili a tempo, nel caso venissero considerate accettabili.
Sei, società
esplosivi industriali spa di brescia
La Sei è controllata dalla Saepc, Societè Anonyme d'Explosifs et de Produit Chimique di Parigi.
La Sei controlla per l'89,55% la Sarda spa di Cagliari. Il gruppo Epc, Explosifs et Produit Chimique, è un importante gruppo chimico che, nel campo degli esplosivi, è presente con due stabilimenti in Francia, due in Gran Bretagna, uno in Marocco, uno in Portogallo, oltre all'Italia
Non si hanno dati sulla quota della produzione Sei destinata al mercato militare. La Sei dichiara di non produrre più mine terrestri, ma continua sicuramente a produrre mine marine.
La Sei è controllata dalla Saepc, Societè Anonyme d'Explosifs et de Produit Chimique di Parigi.
La Sei controlla per l'89,55% la Sarda spa di Cagliari. Il gruppo Epc, Explosifs et Produit Chimique, è un importante gruppo chimico che, nel campo degli esplosivi, è presente con due stabilimenti in Francia, due in Gran Bretagna, uno in Marocco, uno in Portogallo, oltre all'Italia
Non si hanno dati sulla quota della produzione Sei destinata al mercato militare. La Sei dichiara di non produrre più mine terrestri, ma continua sicuramente a produrre mine marine.
Immagini dal web ( e ho scelto quelle meno sconvolgenti, per non ferire troppo la sensibilità di chi legge)
Danila Oppio
Nessun commento:
Posta un commento