Desidero pubblicare questo articolo di Dacia Maraini, poiché condivido pienamente il suo pensiero e penso che molte altre persone siano dello stesso avviso.
27NOV/150
Articolo di Dacia Maraini (Corriere 27.11.15) “A un
civile e savio relativismo e a una umana tollerante convivenza, c’è chi sente
il bisogno di contrapporre, con gesta eclatanti, la fedeltà a un Dio antico,
dispotico e fermo nel tempo”
“”«Il fanatismo sta
alla superstizione come il delirio sta alla febbre. Chi ha delle visioni e
scambia i sogni e le proprie fantasie per profezie, è un entusiasta. Chi
scambia la propria follia per un impegno ad uccidere, è un fanatico». Lo scrive
Voltaire nel 1764. Il fanatismo ha radici antiche, profonde. E ubbidisce a una
drastica e volontaria semplificazione della realtà. Chi conosce la complessità
del mondo, sa che il diverso va prima di tutto conosciuto, poi avvicinato, per
confrontarsi, per discutere, per contrattare. Il mondo è ampio e diversificato.
Chi semplifica, non vuole conoscere l’altro, vuole solo eliminarlo. Tagliare
una testa è più semplice, più chiaro, più decisivo che dialogare. Ma per
tagliare le teste bisogna disporre di armi, libertà di movimento e potere; per
questo il fanatico cercherà di procurarsi armi e denaro, senza tanti scrupoli,
con l’imbroglio, il furto, la rapina se necessario. Per il semplificatore, il
fine giustifica sempre i mezzi. «Una volta che il fanatismo ha incancrenito il
cervello, la malattia è quasi incurabile», continua Voltaire, «i fanatici sono
persuasi che il Dio che li ispira sia al di sopra delle leggi e che il loro
entusiasmo sia la sola legge che devono ascoltare… Cosa rispondete a chi
dichiara che è sicuro di meritare il cielo scannandovi?».
Riconosciamo questa logica, che oggi praticano i ragazzi
dell’Isis, altrimenti detto Daesh. È una logica perversa, ma seducente nella
sua radicale brutalità. Ci vuole intelligenza, sensibilità, rispetto, pazienza,
per stabilire dei rapporti reali col mondo. Il Dio semplificatore, come la
regina folle del Paese delle Meraviglie, non conosce né rispetto, né pazienza,
ma solo un bisogno sbrigativo e spietato di imporre la propria funebre volontà:
via quella testa, via quell’altra! Presto, presto, tagliate, tagliate! «Sono di
solito i furfanti a guidare i fanatici e a mettere il pugnale nelle loro mani»,
continua Voltaire nella sua lucida analisi che sembra scritta oggi : «Le leggi,
la religione, non valgono contro questa peste degli animi. La religione, lungi
dall’essere per loro un cibo salutare, si trasforma in veleno… essi attingono i
loro furori dalla stessa religione che li condanna».
Si ricordano due avvenimenti che sono rimasti incisi a fuoco nella
memoria storica, per la loro atrocità. Il caso dei protestanti fatti a pezzi
dai cattolici al tempo della Regina Elisabetta: «I borghesi di Parigi corsero
la notte di san Bartolomeo ad assassinare, scannare, fare a pezzi e gettare
dalle finestre i loro concittadini che non andavano a messa». E quello della
setta di eretici ismaeliti che, guidati da un famoso «Vecchio della montagna»,
diffusero, nel secolo XI, il terrore in tutto il Medio Oriente con i loro assassini
a freddo, contro chiunque giudicassero non in linea con il loro Dio. Si
chiamavano Hashishiyyin (uomini dediti all’hashish), da cui deriva la parola
«assassino». Il Vecchio della montagna, Hasan i-Sabbah, prometteva loro un
paradiso di freschi ruscelli e di vergini disponibili e innamorate, se si
fossero lasciati uccidere; ma solo dopo avere pugnalato e sgozzato un buon
numero di miscredenti. Il Vecchio aveva un carisma straordinario e i ragazzi
andavano a morire pieni di entusiasmo, sicuri della meravigliosa ricompensa.
Ora ci chiediamo: erano solo criminali o ragazzi bisognosi di assoluto in un
mondo che aveva perso ogni rapporto con l’utopia? Ragazzi che scambiavano il
coltello per la chiave che avrebbe aperto loro le porte del paradiso?
La cronaca non parla mai del genere femminile. Non era pertinenza
delle donne tagliare le gole. Le donne vinte diventavano schiave, proprietà del
vincitore assieme alle pecore, ai cavalli, alle mucche. Merce pregiata che si
poteva comprare, vendere, utilizzare a proprio piacimento. Solo quando si
ribellavano all’orribile destino, venivano sgozzate pure loro.
Il fanatismo non appartiene a una cultura piuttosto che a
un’altra, non ha niente a che vedere con l’osservanza di una fede. Forse non è
neppure una espressione dell’odio che anima gli esseri umani. Chi odia è anche
capace di amore. Il fanatico respinge sia l’uno che l’altro. Piuttosto si
direbbe un bisogno profondo e non ascoltato di trascendenza. Un bisogno che,
non soddisfatto con umanità, si trasforma in un mostruoso innamoramento della
morte e del nulla.
Il continuo battersi il petto gridando che siamo noi i
responsabili, siamo noi i colpevoli, suona un poco ridicolo a dire la verità e
anche presuntuoso: come se fossimo noi a determinare le svolte nelle coscienze
degli esseri umani. Perché dovremmo togliere a questi ragazzi la libertà di
scelta e di azione? Anche se loro non riconoscono il libero arbitrio, anche se
sostengono che è tutta colpa di chi ha cominciato per primo ad aggredire, che
sia il crociato o il colonialista, è presuntuoso ritenere che siamo
responsabili di quello che fanno. Certamente l’Europa ha compiuto dei grandi
errori, ma ciò non toglie che ogni generazione, ogni persona, risponde delle
proprie scelte e delle proprie azioni. Le giustificazioni suonano
paternalistiche e grottesche .
Le religioni si sono sempre divise, anche con ferocia, su questo
problema di fede: Dio esiste in quanto essere pensante, con un corpo
riconoscibile, o è una entità soprannaturale, una mente che comprende tutto e
tutto capisce, ma non può intervenire perché è più simile al cosmo infinito che
all’uomo finito? Le più feroci guerre esplose all’interno delle fedi monoteiste
si basano su questo punto: se Dio è onnipotente, perché permette il male? Se
invece Dio può solo il bene, poiché il male spetta al demonio, allora Dio non è
onnipotente, ma solo una parte che combatte contro un’altra. E come distinguere
il bene dal male? Ed esiste un male universale, riconosciuto da tutti? Quel
bene e quel male stanno in un Libro Sacro o nella coscienza degli uomini?
I Sunniti e gli Sciiti si sono combattuti per secoli su questi
interrogativi. Fagocitando e distruggendo altri gruppi religiosi come i
Mutaziliti (nel IX secolo) e le varie tendenze mistiche dei Sufi. Chi crede che
la volontà divina sia simbolica e ideale, è più disposto ad accogliere e
adattarsi alle trasformazioni storiche. Chi invece concepisce Dio come un Padre
assolutista, tirannico e geloso, è portato a ritenere che la realtà sia
immobile, che la storia non conti, e la ragione non abbia alcun valore.
Di solito le grandi Chiese hanno scelto l’interpretazione
simbolica e idealistica, (spesso paradossalmente unita a una precettistica
rigorosa), perché ha permesso loro di adeguarsi ai cambiamenti, di mutare visione
del mondo, di diventare più umane e di durare nel tempo.
Ogni tanto però, non si sa come, esplode un corto circuito. A un
civile e savio relativismo e a una umana tollerante convivenza, qualcuno sente
il bisogno di contrapporre, con gesta eclatanti, la fedeltà a un Dio antico,
dispotico e fermo nel tempo. Pretendendo di applicare i precetti del VII secolo
dopo Cristo. Come se da noi a qualcuno venisse in mente di applicare le regole
della Bibbia, quando la schiavitù era legale, la vendetta era l’unica forma di
giustizia e gli adulteri e gli omosessuali venivano lapidati. Come fingere di
non sapere che c’è stato Cristo, che ha contraddetto tutto quello che era
considerato normale a quei tempi, ha introdotto la pratica dell’umiltà, del
rispetto dell’altro, della povertà, dell’uguaglianza? Per questo è stato
crocefisso, ma alla fine il cristianesimo ha trionfato sui cultori della
Bibbia. E come fingere di non sapere quanto è costato raggiungere il concetto
della divisione fra Stato e Chiesa? Quanto è stato doloroso stabilire i valori
dei diritti civili?
L’accettazione della immanenza o meno di un Libro Sacro sta alla
base della saggezza di una religione. E certamente papa Francesco questo l’ha
capito bene e sta dando un esempio straordinario. Ma la logica, la tolleranza,
il rispetto, suonano come parole blasfeme per chi ha messo al posto del cuore
una spada appuntita, per cui ogni abbraccio diventa una ferita mortale.
Voglio finire queste brevi riflessioni, da una parte con le parole
di Voltaire, che ci raccomanda, nei momenti di crisi, di affidarci alla
filosofia, perché i filosofi non fanno la guerra ma ragionano e il ragionamento
è «il solo bene che abbiamo da contrapporre alle furie degli invasati». E,
dall’altra parte, con le parole del poeta Ibn Arabi, uno dei più grandi poeti
del XIII secolo, deriso e attaccato per le sue posizioni conciliatorie: «Un
tempo io mi offendevo col mio compagno se la sua religione non era uguale alla
mia, ma ora il mio cuore ammette ogni forma. Il mio cuore oggi è un prato per
le gazzelle, un chiostro per il monaco, una Kaaba per il pellegrino, per le
tavole della legge e per il sacro libro del Corano. Seguo la tenerezza e
dovunque mi portano i cammelli d’amore, là trovo la mia religione, la mia
fede».